in fondo in fondo,
il largo, un desiderio;
soprattutto,
una scintilla sempre accesa,
una parola sulla fiamma
dall’innocente pazzia
tra ebbrezza e tempesta.
…Nulla più.
E dateci nuvole azzurre,
una ad una
per volteggiarle,
tanto da quaggiù
chi osa ancora
flagellarsi d’immenso.
Dei paesaggi innevati
regalateci i silenzi
per placare i veleni
negl’esili dell’anima.
Ritorneremo
più insani di prima,
disarmati d’ogni disfatta.
Un foglio ci basta, sbiadito,
meglio di sogni imbevuto,
piume di giada
e sangue composto d’incanto
in queste vene controvento.
Concedeteci, ancora,
luci soffuse per incendiare
foreste d’emozioni,
terre sempre verdi
e dalle ceneri sparse
d’incantevole indulgenza
ascolterete tutte l’inumane sinfonie.
Anche l’universo,
sia posato o rabbioso,
impassibile si fermerà
per vederci ondeggiare.
Avanzeremo barcollanti
a testa alta,
onda dopo onda,
senza indugi
né inciampi
per verseggiare lacrime
sui spartiti d’ogni cuore.
Ma non chiamateci maledetti,
se tra l’una e l’altra nota
saremo proprio noi,
gl’assordanti rintocchi di quel faro;
noi,
i supersiti d’ogni deriva,
a reggervi la mano titubante
che scioglierà l’arcobaleno.
Cosa fareste poi,
mi domando,
dall’antico porto
su cui ormeggiare
adirate emozioni;
cosa chiedereste
se non fossimo qua,
l’infamia di questo viaggio
o la gloria di un paradiso
dimenticato da Dio?
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