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UNA PROMESSA, FRATELLI.

Federico e Fabrizio erano seduti in salotto, una bottiglia di whisky e due bicchieri, sul tavolo: era il solito rituale della sera, malumori, cattivi pensieri e piccoli attimi di allegria, condivisi come capitava, senza freni e senza limiti. Tra loro non c'erano segreti, non era possibile per due come loro, che conducevano una vita come la loro. Erano uomini risoluti ed avvezzi a qualsiasi esperienza. Erano cresciuti insieme, essendo fratelli di latte, ma il loro legame andava ben oltre l'amicizia.
Si scambiarono ancora un occhiata ed un mezzo sorriso, si erano sempre capiti al volo e ciò, unito alla loro abilità e perfetta sincronia, aveva accresciuto la loro fama.
Fabrizio parlava seguendo il solito copione, ciniche osservazioni, alternate a lunghe pause di silenzio. Nei suoi racconti non seguiva mai un filo logico, ma egli era sempre riuscito a capirlo, a leggere tra le righe, anche se quella sera gli pesava. Doveva essere stanco, si disse mentre con la mente tornava alla promessa che si erano scambiati una mattina di vent'anni prima. Avevano solo dieci anni, ma quel patto li legava ancora, e da quel momento non c'era stato giorno in cui non si erano chiamati “fratelli”.
I pensieri di Federico vagavano in libertà, ed era assorto e dimentico di tutto, al punto che trasalì quando Fabrizio gli si parò davanti con aria interrogativa.
«Cosa vi prende?» Chiese. I suoi occhi lo scrutavano attenti. Federico tirò un sospiro.
«Nulla.»
«Stavate ascoltando o no?» Fabrizio era in attesa.
No. non ascoltava e non era mai accaduto prima di allora.
Una molla scattò nella sua testa mentre ripensava a tutte le volte che per onorare la promessa fatta aveva messo da parte i suoi progetti o le sue aspirazioni, spesso anche il suo sentire. In un lampo rivide tutta la vita che avevano condiviso, e benché non la rimpiangesse, ora percepiva, comprendeva l'impossibilità di continuarla.
«Non posso andare avanti. Il nostro patto non ha più valore.»Fabrizio scoppiò in un a risata di scherno.
«Vi siete ammattito?» La sua voce era calma, gelida, quasi metallica.
«Non sono mai stato così lucido.» Gli costava fatica e dolore ammetterlo.
«Lucido? No, non siete lucido.» Fabrizio era tornato a sedersi.
«Non scherzo, Fabrizio.» Egli non lo guardò neppure.
«Domani, spero, sarete tornato in voi.» Fabrizio non lo ascoltava.
Federico aveva raggiunto il limite. In uno scatto d'ira scagliò il bicchiere contro il muro.
«Santi numi! Cosa vi prende adesso, Federico? Vi ha dato di volta il cervello?»
«Facciamo una vita da ribelli e rinnegati, non ve ne rendete conto?»
«Che i numi vi assistano! Son discorsi da farsi? È la vita che ci siamo scelti!» La calma gelida di Fabrizio era solo il preludio alla collera. E Federico lo sapeva bene.
«No! Questa è la vita che voi avete scelto! Ma non vi rendete conto che siete già morto dentro?» La voce gli vibrava di passione.
«Pazzo. Siete pazzo!» Fabrizio era livido.
Entrambi si alzarono di scatto, pronti a fronteggiarsi.
«Ah, allora lo sapete, sapete che non fate altro che seminare odio intorno a voi. È stato così anche con Clara.» Un'ombra passò sul volto di Fabrizio.
«Tacete, tacete.»
«E perché mai? Sapete chi è il pazzo? Voi, voi che fate una vita da codardo, ma vi fregiate della pelle del leone!» Gli occhi scuri di Fabrizio mandavano lampi, come un cielo in tempesta.
«Siete diventato un santo per farmi la morale?»
«No. Ho solo capito che non posso più vivere la vostra vita. » Ed era una scoperta amara che gli dilaniava il petto.
«Perché ora?»
Fabrizio prese a colpirlo, voleva umiliarlo, ma Federico era pronto. Lo colpì a sua volta restituendogli colpo, su colpo.
«Non lo so, forse perché ora so che nonostante tutto, non posso continuare.»
«Non potete. Già e poi il codardo sarei io!» Fabrizio lo aveva afferrato nel tentativo di scuoterlo, ma ottenne solo di rafforzarlo nel suo intento. Federico si liberò con forza dalla stretta.
«Fatela finita! Quello che fate non ha più senso, ormai, ma è troppo ammetterlo, vero? Il vostro dannato orgoglio vi porterà alla deriva!»
«Smettetela! Fino a stamane la pensavate come me.» Fabrizio ora urlava.
«Come voi? Davvero siete così cieco? Non l'ho mai pensata come voi! Non ne avevo motivo.»
«Però mi seguivate.»
«Perché eravate mio fratello! Perché vi capivo e volevo esservi accanto. Mi è sempre pesato. Ora la misura è colma.»
« “Eravate”.» Gli fece eco Fabrizio, mentre faceva un passo indietro barcollando, quasi fosse invecchiato di colpo. «Andate via! Siete libero! Da oggi non siamo più fratelli.»
Federico incassò il colpo, che gli occhi vuoti e lo sguardo amaro, spento di Fabrizio gli infersero, e lasciò la stanza, ben sapendo che non l'avrebbe rivisto mai più.
“Libero”, quanto odio e quanto disprezzo in quella parola, ma era vero, ora era finalmente libero, ma quanto gli era costata quella libertà e che sapore amaro aveva.



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Opera scritta il 14/01/2016 - 12:36
Da Marirosa Tomaselli
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