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Onda che va e non torna

Non aveva più termini dispregiativi per quel suono maledettamente odioso che la sveglia emetteva, inesorabile, tutte le mattine alle sei.
Cercò la ciabatta per tirargliela, ma come sempre, non la trovò.
Fu gioco forza uscire dal letto caldo, stirarsi, sbadigliare, spalancando le braccia al cielo e spegnere la maledetta sveglia.
Il solito meccanismo di preparazioni prima di uscire fu svolto dal corpo senza infrangere lo stato di quiete, che la mente assaporava ancora.
Poi il frastuono della strada e l’affaccendarsi della città riportò il corpo e l’attenzione alla materia ed al tempo attuale, quasi fosse una giostra, che ha esaurito la corsa.
L’ hangar numero sei era già gremito di colleghi indaffarati nei preparativi per l’allestimento al volo degli elicotteri. Giovanni il capo in seconda salutò Marco appena giunto, con un gesto della mano mentre era chino sugli attrezzi, poi si girò a guardarlo e gli disse:
-Marco, tutte le mattine partiamo presto e la sera, dopo molti rischi, torniamo tardi, da tre anni, credo, ma stamani ti vedo molto più nervoso del solito. Riposato male?
-Non lo so, avrei voluto sparare alla sveglia ma non avevo armi a portata di mano.
-Bene gli spari domani, ricorda di lasciare la pistola sul comodino stasera.
L’elicottero accese i motori, Mario e Giovanni ricevettero ordini su la rotta da seguire, sempre la stessa ormai da tempo, e le coordinate degli avvistamenti dei barconi pieni di migranti, che avevano segnalato alcune imbarcazioni nella notte.
Il volo era ormai una routine, i controlli del funzionamento delle attrezzature furono fatti come al solito con perizia e in modo meticoloso, l’aria era fresca ma il sole preannunciava una giornata marzolina piacevole, il braccio di mare che stavano sorvolando tra la Sicilia e la Libia appariva calmo e ricordava la glassa che ricopre le torte, con qualche cioccolatino qua e la, già i barconi dei migranti.
ORE 6 IN MARE
Un’onda più grande colpì la fiancata del barcone dove uomini, donne e bambini erano accatastati come carcasse di animali. Chissà da dove proveniva quell’onda anomala che inzuppo Aziz distogliendolo dalle sue preghiere mattutine.
“Già, pregare, chi e per cosa,l’unica cosa di buono da ieri è stata questa onda che mi ha riportato alla realtà.”
Pensava Aziz. Fuggito verso una speranza, da solo come ormai era rimasto dopo l’attentato che aveva sterminato la famiglia.
Ricordava ancora il ritorno a casa dopo una missione, a quella casa che non riusciva più a trovare, in quella strada ormai solo piena di macerie, disperazione, grida e pianti; su di una catasta che somigliava a quella sul barcone, i corpi della madre e della sorella.
Un’altra onda colpì il barcone e Aziz si voltò per non riceverla in faccia, fu così che vide nel cielo due punti neri che si avvicinavano. Capì subito che erano elicotteri, d’altronde era pilota anche lui.
“ Chissà che modelli sono. che importa, tanto non volerò più."
Pensava Aziz mentre il barcone ondeggiava paurosamente a causa della marea di persone che sbracciavano per attirare l’attenzione degli elicotteri.
Licata ore 21
Marco, una volta atterrato compilò i documenti di viaggio della giornata al quartiere comando, poi si diresse agli spogliatoi e dopo una lunga doccia ed un cambio d’abito ingranò la marcia della sua auto diretto, come quasi tutte le sere alla curva Anzaldi lungo la statale 615 che costeggia il mare e le ripide scogliere che lo sovrastano.
La solita sosta da Maria per ritirare l’identico mazzo di fiori poi via nel crepuscolo a cercare nella solitudine un po' di serenità.
Tre rose al vento giù dalla spalletta ricostruita da pochi anni, tre pensieri d’amore alla moglie ed alle due figlie, tre saluti “a presto”, tre ricordi che sono volati dà là per sempre.
20 giorni dopo ore 19 tramonto
Aziz percorreva a piedi il litorale di Licata per raggiungere il dormitorio, un colpo di fortuna gli aveva concesso la possibilità di lavorare presso un’officina come manutentore su attrezzature meccaniche agricole di provenienza russa, che ben conosceva.
Marco aveva ottenuto un turno di riposo dopo le due giornate di lavoro a ritmo sfrenato e si prestava a rinnovare il saluto alla moglie e le figlie scomparse.
L’auto di Marco tossicchiò e si fermò, come un vecchio per riposare le gambe. Alzato il cofano e controllato i vari contatti non ravvisò niente di rotto, quindi provò di nuovo a mettere in moto ma l’esito fu negativo, adesso il motore sembrava un vecchio catarroso in fin di vita.
Aziz camminava e pensava al caldo del suo paese, vide Marco indaffarato nel vano dell’auto, vide l’adesivo di riconoscimento degli elicotteristi sul vetro dell’auto, vide il suo passato, si fermò.
- Non funziona?
- Eh no non vuol più saperne, ferma immobile, come un asino con la testa dura!
- Posso guardare?
- Se ci capisci qualcosa fai pure, ma non credo che dalle tue parti usino modelli di auto UAZ.
Aziz prese una matassa di fili da sotto lo spinterogeno, ne stacco due e li invertì, sotto gli occhi indagatrici e sospettosi di Mario.
Prova adesso.
L’auto partì al primo colpo. Mario dette qualche colpo di acceleratore e spense la macchina, prese il mazzo di fiori e si diresse alla curva Anzaldi.
Aziz non comprendeva il perché ma sentiva di doverlo seguire.
I due si fermarono alla curva, si avvicinarono, si guardarono negli occhi da cui scesero lacrime silenziose, unirono le mani sulle tre rose e le lanciarono nel vuoto, restando a guardarle cadere tra le onde di un mare che va ma non torna.



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Opera scritta il 17/05/2016 - 15:55
Da paolo signorini
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