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Alla spina

Ho rivisto mio padre l’altra sera.
Si rilassava bevendo una birra all’ombra di un sole assente.
Tramontato certo, ma stranamente presente.
Quest’epoca sghemba ci riserva ogni sorta di stramberia,
c’è da perdere il senno sul serio,
mica come ai tempi dei miei nonni.
Acqua purissima che corrode ponti a frotte.
Sempre più pericolanti.
Insomma, avvicino mio padre
e modestamente gli ricordo che lui è morto dieci anni fa.
O giù di lì.
Che così non si fa, che così disorienta le mie certezze sulla fisica della vita.
Che i morti sono morti e devono starsene belli e morti,
che sennò i vivi come fanno a fare il mestiere dei vivi.
E’ chiaro che così non ci si capisce più granché.
Mentre proseguo nello scivolamento,
non propriamente convinto di simili argomenti,
questo si alza e mi sferra un vivissimo destro.
Un fiotto possente schizza alto e magnifico,
si è staccato deciso dal mio patetico naso
e adesso, in un sublime avvoltolarsi su se stesso,
pare invocare approdi sensati.
All’ombra di quel sole assente è davvero una visione meravigliosa,
e io attendo dolorante , in estatica contemplazione
la ricaduta del sangue.
A terra, sull’asfalto tiepido.
Perché padre mi fai questo?
Ma lui non risponde dal momento che è morto
e i morti, si sa, non parlano.
Il rumore del sangue che si è appena frantumato
contro l’unica pozzanghera nel raggio di chilometri,
ci distrae per qualche secondo.
Ma serve a niente il cambio di scena,
quello si ricompone subitamente
e con un lampo di disprezzo mi indica i resti della sua birra da morto
e scompare.
Già papà, sono un miserabile accattone di sogni.
Ma solo in tempo di sconti, ovviamente.



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Opera scritta il 10/06/2016 - 15:21
Da Alessandro Carciola
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