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UNA CALDA GIORNATA DI MAGGIO

I muri non facevano altro che rilasciare calore, e anche se avevano aperto tutte le finestre della classe, la situazione non era affatto migliorata.
La professoressa Alcatese, continuava imperterrita la sua spiegazione, come avrebbe fatto ogni giorno. Parlava lenta, si muoveva lenta. Si alzava, scriveva alcune formule, sulla lavagna, tornava a sedersi e parlava, parlava.
La classe era mezzo deserta. Era una giornata troppo bella per chiudersi lì dentro, e molti alunni avevano optato, per il solito sciopero in bianco...un poco gli invidiava. In genere le piaceva la scuola, e la frequentava anche con buoni risultai, ottimi in alcune materie, certo che però due ore di matematica, quando fuori il cielo era di un azzurro fantastico, con sporadiche, bianchissime nubi, trasportate da un vento leggero... e la professoressa parlava, parlava, parlava e ad ogni parola sembrava andare più lenta. Tra un po' avrebbe cominciato ad andare all'indietro, pensò trattenendo a fatica uno sbadiglio. Certo che l'Alcatese era soporifera, molto meglio di un sonnifero. La penna sul foglio tracciava scarabocchi e disegni, mentre si sforzava di ritrovare la concentrazione, che ormai era persa del tutto. Voltò un po' lo sguardo, mettendosi ad osservare il cielo fuori, che gran senso di libertà! E le nuvole, poi, che forme strane, avevano, una sembrava un cagnolino, un altra un gatto che stava per saltare. Per un po' si sforzò di tenere un occhio sulla prof e uno sul cielo. Un po' guardava le nuvole e un po' l'insegnante, quando di colpo, una stana nube, che le ricordava un cappellaccio da strega, o befana, attrasse la sua attenzione. Spostò lo sguardo, la prof era di nuovo vicino alla lavagna, ma guardava la classe. Però quel tipo di cappello le sarebbe calzato a pennello! Di colpo, si girò a frugare nello zaino. Per poco non scoppiava a ridere in faccia alla prof!
Per un po' si costrinse a pensare solo alla lezione, prendendo appunti e cercando di prestare attenzione ad ogni parola, sempre più lenta.
La prima ora non era neanche a metà che di nuovo dovette trattenere uno sbadiglio. Tornò a guardare fuori dalla finestra. Oh, guarda quella nuvola! Si disse ancora una volta, mentre ne osservava una che le ricordava una chitarra...chitarra, quella rossa, elettrica, che suonava sempre il chitarrista del suo gruppo preferito, ad ogni concerto... concerto, quella parola fu come una scossa di adrenalina, tra due giorni avrebbe potuto davvero vederlo, al concerto.
Intanto la professoressa stava spiegando che per ogni funzione vi era una rappresentazione grafica differente e parlava, parlava, ma la sua mente era altrove...
Le luci, i suoni, la chitarra che poderosa faceva sentire la sua voce, in uno strabiliante assolo, mentre la batteria, il basso, cominciavano a rincorrere le note della chitarra e poi si univano la tastiera e l'altra chitarra, in un gioco meraviglioso, di musica e luci, in cui le 5 voci dei componenti del gruppo si mischiavano in un insieme armonico e perfetto. Le sembrava di essere lì, vederli saltare, camminare, cambiare espressione a seconda del brano che facevano, segno che sentivano dentro, tutti i brani che cantavano.
E intanto la professoressa parlava, parlava. Parlava.
Al posto della cattedra c'era la batteria, e il batterista stava picchiando sui piatti come solo lui sapeva fare, mentre i riccioli ribelli li cadevano sulla fronte. Dove stava la lavagna invece, stavano il bassista e il secondo chitarrista che saltavano, scambiandosi occhiate, al centro, al posto dei banchi della prima fila, il tastierista e al suo fianco il chitarrista, che si stava lanciando nell'ennesimo assolo, piegandosi un po' all'indietro, nel modo che gli era consono, quando dava una sferzata rock al brano.
La professoressa tracciò una parabola, spiegando la funzione, che l'aveva fatta scaturire e i vari calcoli. Non la smetteva di parlare, ma era solo un monotono brusio lontano.
Lei era persa nei suoni del concerto, tra i raggi laser e i fumi e le parole, vedeva i suoi cantanti preferiti, che saltavano, sul palco, regalando un grande spettacolo e una grande emozione.
Non l'insegnante, bassina, che si sforzava di raggiungere il punto più alto della lavagna.
Il concerto era nel vivo...un sogno. Loro suonavano, cantavano, sorridevano e salutavano le fan in delirio. Voleva cantare, urlare, ma aveva un nodo in gola.
Gli altri ragazzi sbadigliavano, faticando a tenere gli occhi aperti, alcuni parlottavano tra loro, altri guardavano fuori, dicendosi che la vita era lontano da quella prigione.
Lei non li vedeva, vedeva le folle oceaniche che puntualmente si riversavano ai concerti del gruppo, saltando e cantando.
E la prof, parlava, parlava, in un silenzio, quasi irreale. La voce, lenta, che risuonava, rimbalzava tra i muri, a causa dei numerosi banchi vuoti. L'ora scorreva lenta.
Il concerto era fantastico. Le canzoni stupende e fortissime che risuonavano nitide ed elettrizzanti. Si perdeva tra le luci che illuminavano a giorno la notte, mentre il vento scompigliava i pensieri e portava lontano le note, che danzavano libere nell'aria, quasi visibili nell'euforia generale, mentre i laser seguivano il ritmo della musica, ora più lenti, ora velocissimi, a seconda dei brani.
Era felice, felice, felice.
La prof, fece una pausa, dando un'occhiata al registro.
Lei sentiva di toccare il cielo con un dito, era una notte meravigliosa, il chitarrista in forma smagliante, stava attaccando il suo brano preferito...
La campanella.
Un suono ostile, stridulo e famigliare, troppo famigliare interruppe la magia. Il batterista, i chitarristi, il tastierista e il bassista, sparirono insieme alla folla e alle luci. Ai suoi occhi l'Alcatese ritornò l'Alcatese, coi suoi occhiali tondi e la sua voce pedante. La piazza era di nuovo la classe, con le grige pareti e le finestre aperte su una libertà lontana. Sospirò, addio felicità, addio sogno. Appoggiò la mano alla guancia, preparandosi alla seconda ora di matematica.
Ormai il sogno era svanito.
E la grigia realtà regnava sovrana.
Fu peggio di una doccia gelata in pieno dicembre.
Rassegnata prese ad ascoltare la prof che spiegava la differenza tra una equazione pura e una spuria...e parlava lentamente, sempre più lentamente...


(Noia)




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Opera scritta il 12/06/2016 - 21:32
Da Marirosa Tomaselli
Letta n.1090 volte.
Voto:
su 6 votanti


Commenti


E'interessante il tuo dire.

Ernesto D'Onise 22/01/2019 - 17:56

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Bel racconto, ben scritto e condivisibile.DUE ORE consecutive di matematica sono davvero troppe!Complimenti.

Rosa Chiarini 13/06/2016 - 23:07

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Bello il tuo racconto, una noia simpatica che trascina il lettore, complimenti. Ho solo 5* a disposizione mi dispiace!

donato mineccia 13/06/2016 - 19:05

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racconto molto bello e simpatico chi non è passato sotto quello che hai scritto noia noia noia 5*

POETA DELL'AMORE LUPO DELL'AMI 13/06/2016 - 12:20

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Ritornando a maggio sui banchi di scuola, quando in quel mese si assaporava già l'idea di vacanze, mentre fioccavano le impreparazioni e i pessimi voti a causa del lassismo. Ciao. 5*

salvo bonafè 13/06/2016 - 11:51

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La prof ha fatto sbadigliare anche me!
Però con questa noia sei stata molto creativa. Diciamo anche rock!
Ciao!

Millina Spina 13/06/2016 - 09:29

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Racconto scritto molto bene a delineare il sentimento della noia. Mi hai fatto anche sorridere perché mi sono ritrovata nella prof di matematica, che feci appena laureata. Ecco cosa volevano dire quelle facce attonite ed allo stesso tempo entusiastiche, mentre spiegavo le equazioni!
Buona settimana cara amica
Nadia
5*

Nadia Sonzini 13/06/2016 - 09:03

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