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I reduci

La bottiglia venne lanciata in acqua in una calda serata estiva poche ore prima che incominciasse a piovere. Derek Foster la osservò allontanarsi dalla riva per molto tempo per sincerarsi che non tornasse indietro, finchè non la vide diventare un puntino in mezzo all'oceano.
- Bene, è andata! - si disse – le correnti faranno il resto! -
Si avviò verso la grotta che da ventisette mesi era il suo riparo.
Dentro di sé rimbombavano le parole del suo compagno Sidorov:
- Che cavolo credi di fare, stupido?! Perché? Siamo dispersi in mezzo all'oceano! Ciò che fai non ha senso! -
In effetti Sidorov non aveva tutti i torti. C'era una probabilità su un milione che i suoi messaggi fossero trovati da qualcuno. Era già la terza bottiglia che usava, la penultima che avevano di scorta e Sidorov era stato categorico: - Non ti azzardare a toccare l'ultima! Non ho voglia di bere l'acqua con le mani! Giuro che se la prendi per mandare un altro messaggio t'ammazzo! -
Ormai si domandava anche lui che senso avesse aver mandato quei messaggi. Ma non era riuscito a farne a meno. La verità era che da quando viveva sull'isola, costretto a cibarsi di quello che gli capitava, a poco a poco stava cominciando a sentirsi non molto diverso dalle bestie e dagli insetti che mangiava: puro istinto di sopravvivenza. Quando era ragazzo aveva sempre odiato scrivere, ma ora per lui disegnare sulla carta logora che trovava o su qualche brandello di tessuto poche semplici parole era diventato per lui fondamentale. Ormai era l'unica cosa che lo faceva ancora sentire un essere umano.
Nel frattempo aveva raggiunto la sua grotta. Entrato, trovò Sidorov intento a curare il fuoco.
- Toh eccoti!- disse lui – Riuscito a trovare un amico di penna? - e scoppiò a ridere.
- Che spiritoso! - rispose Foster – Piuttosto, dov'è Khalid? -
- E' andato sulla collinetta qui dietro a pregare verso La Mecca, come fanno dalle sue parti! Se penso che la città potrebbe essere rasa al suolo mi viene quasi da ridere! Ci pensi? Stare ore lì a blaterare cose in arabo verso qualcosa che non esiste più! Sarebbe la cosa più idiota del mondo! - rise istericamente. “Russo del cavolo!” pensò Foster.
- Vado a dirgli che è meglio se rientra – disse – C'è aria di pioggia! -
Quella notte Foster ci mise un po' di più ad addormentarsi per il forte crepitio della pioggia. La sua mente tornò indietro nel tempo. E' il 15 ottobre 2239. Da quindici anni la Terra era in guerra. Foster se lo ricordava quando scoppiò: aveva diciannove anni. Per dieci anni l'esercito terrestre era passato di vittoria in vittoria, ma mai una definitiva. Poi arrivò la prima sconfitta, poi un'altra e un'altra ancora. Poi arrivò quel giorno. Tre mesi prima le ultime truppe terrestri avevano abbandonato Marte, aprendo la strada agli eserciti alieni verso la Terra. Quel quindici ottobre l'astronave-madre corazzata anfibia su cui viaggiava il sergente Derek Foster, salpata dal porto di Honolulu, era diretta verso il Mare Cinese Meridionale. Migliaia di astronavi aliene si stavano dirigendo verso la Terra e all'astronave corazzata era stato dato l'ordine di posizionarsi in quel tratto di mare per cercare di respingere da terra, per quanto possibile, gli attacchi. Ma a metà del viaggio la nave fu attaccata: le batterie spaziali terrestri avevano ceduto prima del previsto. Un missile aprì uno squarcio nello scafo e la corazzata cominciò ad affondare. Foster, Sidorov, un soldato, e Khalid, un macchinista, si trovarono insieme sulla stessa navetta di salvataggio e riuscirono a salvarsi. La navetta stava procedendo sulla via del ritorno, quando ad un certo punto scoppiò la tempesta. La navetta si ritrovò sballottata dalle onde. A bordo fu il panico e poi il buio. Quando i tre riaprirono gli occhi si trovarono sulla riva di un atollo sperduto. La navetta era andata distrutta. Erano soli, sperduti e incapaci di comunicare con l'esterno. Intorno a loro c'era l'oceano e il silenzio più totale, interrotto ogni tanto dallo sfrecciare di qualche velivolo alieno, che però volava troppo in alto per curarsi di loro. E in ogni caso a chi poteva interessare una piccola isola di poche miglia in mezzo all'oceano. Per un attimo essi credettero che fosse meglio restare e aspettare. La guerra sarebbe finita prima o poi e quello sembrava il modo migliore per non farsi ammazzare. Il tempo passava. I giorni divennero settimane, mesi. Passò un anno. I velivoli alieni smisero di passare nel cielo. Il tempo continuò a passare inesorabile, ma nessuno si affacciava sull'oceano e nei tre si insinuò una strisciante disperazione...
Con questa parola in testa Foster si risvegliò. Era l'alba. Gli altri due ancora dormivano e Foster decise di alzarsi e di avviarsi verso la riva. Ormai se lo chiedeva da mesi. Che cosa sarà successo al resto del mondo? Forse era davvero completamente distrutto e loro erano gli unici sopravvissuti? O forse no?
Foster giunse alla riva e ancora una volta l'oceano lo accolse nella sua azzurra limpidezza. Lo sconforto si impadronì di lui. Un pensiero che da tempo lo accompagnava tornò. Era giunto il momento di andarsene da lì...



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Opera scritta il 17/01/2013 - 14:03
Da Alexander Schnabel
Letta n.1301 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


scritto bene, interessante ed abbastanza avvincente!! Ci fosse un proseguio non sarebbe affatto male ;)

Claudio Bonaffini 20/01/2013 - 22:20

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