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Sembrava essere come pesci preistorici prigionieri nel ghiaccio. Nessun rumore incrinava il gelido silenzio che stringeva il salone tra le sue dita. Chiunque fosse passato per di là avrebbe pensato che nulla sarebbe più cambiato, che ogni singolo oggetto sarebbe rimasto al suo posto immoto nel tempo. Che le lancette dell'orologio da mensola sarebbero rimaste immobili sul numero 12. Che l'albero di Natale, alto quasi fino al lampadario, si sarebbe potuto vantare per sempre solo e soltanto di un ricco assortimento di palline di vetro soffiato, le une a goccia e le altre tonde come pompelmi, e di un puntale graziosamente elaborato, coperto di ghirigori di filo d'oro. A sentire questa descrizione, si potrebbe pensare che l'albero non dovesse lamentarsi di nulla, visto che non gli mancava proprio niente per essere considerato un piccolo capolavoro di arredamento. E invece nessuno lo poteva vedere in tutta la sua bellezza, perché il buio era sovrano e neanche una candela era stata accesa a rischiarare gli immobili per poter godere di quella vista.
Nemmeno la civetta-salvadanaio di ghisa, con occhi grandi come piattini da caffè, poteva scorgere la raffinata punta del puntale su cui, a difesa della civetta, nemmeno il misero barlume delle stelle di quella notte di Dicembre poteva fare capolino. Nessuno aveva messo le lucine sull'albero, quindi di lui restava solo un'ottenebrante presenza triangolare, che metteva i brividi alle bambole di porcellana poggiate sulla mensola del caminetto. Le poverette, se solo avessero potuto aprire le bocche scarlatte di rossetto, si sarebbero messe a battere i dentini da latte per il freddo. Il camino era spento e il vento sibilava antipatico sopra il comignolo, ma c'era qualcos'altro ad accrescere l'aria glaciale di quella sala, ma nessuna di loro capiva che cosa fosse. Erano troppo intimidite dall'albero, simile ad un vecchio tenebroso e arrabbiato col mondo. Erano delle povere ochette sciocche, ma perfino loro capivano che non era il caso di rivolgergli la parola. Se lo avevano capito loro, l'aveva capito anche il cherubino di porcellana sulla cassettiera lì di fronte. Conosceva bene l'albero, perché entrambi erano gli oggetti più vecchi nel salone, e sapeva bene che ogni Natale era la stessa storia. Veniva montato sulla sua base di ferro, che ricordava a tutti di essere soltanto un simulacro degli abeti che abitavano i boschi ben visibili dalla finestra, e poi le palline forma di goccia di cristallo, quelle leggermente concave sulla sommità, quelle a volute, quelle rosse, quelle blu, quelle argentate, quelle dorate, e così via. Poi i festoni, ogni anno sempre nuovi, ed infine il puntale. Una corona della cuccagna, un cappello da mago che tutti gli invidiavano. Ogni bambola presente in quel momento avrebbe dato le scarpe, la pettorina o il manicotto pur di poter vantare un simile copricapo.
Però era una volta sola ogni anno, ogni singolo anno. I vecchi morivano, i bambini nascevano, i giovani si innamoravano, gli adulti si sposavano e invecchiavano, per poi morire. Lui invece prigioniero del buio e della quiete, sapeva della mancata venuta di quell'omone vestito di rosso che compariva su tutte le cartoline che defluivano nella cassetta delle lettere, e si sentiva ancora più come un attore incapace.
Girò gli occhi, due orbi vuoti e pieni nello stesso momento, e tutte le bambole mossero le teste per fargli intendere di non aver passato le ultime ore a guardarlo. La civetta ruotò i piattini, ma il cherubino rimase con le alette spiegate e le mani giunte. L'albero era suo amico di vecchia data, andava benissimo se qualche volta capitava che si osservassero per un po', senza nemmeno parlare.
Il ghiaccio del silenzio si sciolse, la lancetta lunga passò oltre il 12, e iniziò persino a nevicare in fiocchi grossi ma leggiadri, proprio come tante farfalle fuori stagione.
MA il ghiaccio lascia pozzanghere d'acqua scivolosa, e qualcosa fece pensare a tutti quanti che nessuna massaia sarebbe riuscita a pulire il pavimento a scacchi del salone. La pozzanghera in questione era fin troppo appiccicosa per essere tolta tanto facilmente.
E riecco il ghiaccio che immobilizza il mondo. Un mondo come l'albero. Senza luci.



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Opera scritta il 17/12/2017 - 21:16
Da Eugenio Scamardella
Letta n.888 volte.
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Commenti


L'ho trovato molto bello e profondo,i miei complimenti.

Anna Rossi 19/12/2017 - 03:09

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