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INCIPIT PER UN RACCONTO GIALLO

Le istruzioni sono:

Da questo incipit, in cui il medico Mari viene chiamato al telefono perchè è successo qualcosa, scrivi un racconto giallo: "II telefono suonò poco prima della mezzanotte. Il dottor Davide Mari e sua moglie Claudia stavano dormendo. Aveva cominciato a soffiare un vento teso, freddo, piovigginava. La donna dormiva sdraiata sul fianco sinistro. Ci vollero tre squilli prima che aprisse gli occhi. Suo marito russava." (l'inizio deve essere ricopiato)


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ALL\\\'OMBRA DEGLI OLEANDRI

Il telefono suonò poco prima della mezzanotte. Il dottor Davide Mari e sua moglie Claudia stavano dormendo. Aveva cominciato a soffiare un vento teso, freddo, piovigginava. La donna dormiva sdraiata sul fianco sinistro. Ci vollero tre squilli prima che aprisse gli occhi. Suo marito russava.


Erano stati fuori tutto il giorno, nella loro solita escursione della domenica.


Claudia era francese e quando arrivò in Italia incontrò Davide che era affogato subito nei suoi occhi, mandando a monte il matrimonio già programmato con Adriana, sua collega da anni, ed erano scappati per una breve vacanza in quella piccola isola, Iscra, lontana dal caos ma vicina al cielo, circondata dal silenzio e cullata dal vento.
Non avevano previsto di innamorarsene, di quel luogo quasi incantato, dove il tempo era scandito dalla luce del sole, dalle maree e dalle greggi di pecore che muovendosi lungo i campi vicini alla costa suonavano un’antica colonna sonora.
Ma così accadde, e in giro di pochi mesi lasciarono tutto, lavoro ed amici e vi si trasferirono.
Furono accolti con diffidenza dalla popolazione locale ma poi, con i loro caratteri gioviali e le professioni che esercitavano riuscirono a catturare il cuore di parecchie persone dall'animo morbido ma racchiuso in una scorza dura, talvolta fastidiosamente spinosa. Davide era un veterinario mentre Claudia faceva l’erborista, molto appassionata del suo lavoro e grande conoscitrice di tutte le erbe, soprattutto quelle selvatiche.
Con grande abilità era riuscita ad accattivarsi i favori di una guaritrice locale, destando l’invidia delle donne di Iscra, che avrebbero preferito le figlie come custodi della preziosa eredità delle tradizioni locali.


Avevano acquistato una villetta nell’immediata periferia del piccolo centro dell’isola, racchiusa da antichi muretti a secco in una piccola e disordinata boscaglia di querce, corbezzoli ed oleandri, il cui risultato all’occhio del visitatore risultava gradevole ed accogliente, soprattutto nei giorni di calura estiva, quando offriva variopinto ed inebriante refrigerio.


Avevano adibito una parte della villetta a studio medico per Davide, mentre Claudia con pochi e semplici materiali era riuscita ad allestire il suo profumato laboratorio ed una coloratissima bottega, con le tonalità e gusti della sua regione natìa, la Provenza.


Nonostante la diffidenza iniziale nel giro di poco tempo erano riusciti a farsi benvolere, Davide in giro per ovili e Claudia alla continua ricerca di erbe spontanee: sia la casa che i loro laboratori erano sempre animati dalle tante persone che con la scusa di un mal di pancia o della congiuntivite del cane facevano trascorrere pigramente le ore, sorseggiando una tisana calda. Ogni scusa era buona per raccontarsi, per raccontare e per fare domande in modo che ognuno conoscesse una parte della vita altrui, o almeno ciò che veniva esposto agli occhi ed alle lingue più fantasiose.


Erano rientrati nel tardo pomeriggio dalla loro escursione a Punta Armidda, nell’estremità nord dell’isola, un percorso abbastanza impegnativo che si snodava nella fitta boscaglia di macchia mediterranea e che si inerpicava fino all’alta scogliera, dove la radura ripagava delle fatiche, con il suo intenso profumo di timo – armidda nella lingua locale – che riusciva a tonificare i sensi e gli umori.


Mentre Claudia si fermava ad annusare, osservare e raccogliere le erbe più disparate, Davide si appostava, paziente e fedele alla sua vecchia reflex, a racchiudere in meravigliosi scatti gli animali che abitavano quasi indisturbati il suolo ed il cielo dell’isola. Le pareti del suo studio erano piene di ritratti variopinti e rari, di cui andava molto orgoglioso.
Erano molto stanchi quella sera, e così dopo una cena leggera e veloce andarono a dormire, mentre un previsto e fresco maestrale s’alzava a scuotere gli alberi nel giardino.
Nonostante Claudia amasse tanto quell’isola, non si era ancora abituata al vento, la cui furia la catapultava sempre dentro immagini spaventose, come quelle che aveva visto nei thriller da bambina. Avevano quindi deciso che fosse Davide a dormire sul lato della finestra, quella più esposta ai sinistri rumori, mentre lei si sentiva protetta nell’altro lato, dormendo sempre sul fianco sinistro e con lo sguardo verso il corridoio.


Solo dopo il terzo squillo Claudia riuscì a svegliarsi e, con un rapido sguardo alla sveglia, realizzò che dormiva solo da poco più di un’ora.
Davide russava forte e lei si fiondò spaventata nel corridoio, dove il telefono fisso continuava a squillare, gracchiando quasi come un corvo od un uccello del malaugurio.
Dall’altro capo una voce che lei ben conosceva, terrorizzata e che implorava aiuto ma che si spezzò all’improvviso. Il vento soffiava forte, come rafforzato dalle ire del mondo e la linea telefonica era saltata.
“Davide! Davide! Svegliati, sbrigati!”
Davide si svegliò ma, stordito, gli sembrò di essere dentro un incubo, con Claudia che bianca in volto, spettinata e spaventata lo scrollava tutto, tirandolo fuori dal letto.

Uscirono di corsa per salire in auto, con indosso sul pigiama la prima giacca che avevano trovato, insufficiente a proteggerli dalla violenza del vento che ululava come una bestia affranta, sferzando gli alberi mentre la pioggia fredda pungeva i loro volti, come affilati spilli.


Arrivarono al parcheggio della piccola Cala degli Oleandri e, lasciando accesi i fari dell’auto, scesero a grandi falcate, saltando sugli scogli verso la spiaggia da dove provenivano le voci terrorizzate di Mauro. E poi li videro, mentre la sabbia roteava intorno a loro e le onde giungevano, con funesta voracità.
Sabrina era riversa a terra e si contorceva in preda a lancinanti dolori; aveva le mani poggiate sul ventre ed urlava frasi sconnesse che il vento, inclemente, portava via. Mauro, inginocchiato a fianco della sua compagna piangeva, ed urlava tutta la sua impotenza di fronte ad una così dolorosa agonia; era stato lui a chiamare qualche minuto prima, ma a Claudia rimbombava ancora in testa, come una solitaria biglia dentro un bicchiere, quella frase che le aveva urlato prima che cascasse la linea, parole il cui senso stentava a capire. “Cos’hai fatto, strega?”
Claudia si buttò quasi addosso all’amica, col viso trasformato dal dolore e dal terrore, mentre forti effluvi di vomito contrastavano, aspri, la purezza dell’aria.
“Cos’è successo?” chiese a Mauro.
“E’ da questo pomeriggio che ha iniziato a star male, dopo aver bevuto la tisana che le hai dato. E’ voluta uscire a fare due passi, sperava passasse. Ho già avvertito la guardia medica ma con questo mare non arriverà nessuno. Aiutaci!”
Bisognava urlare per non farsi scippare le parole dalla violenza del vento e Mauro sembrava non avere più forze per competere con la furia della natura che sembrava diventare di minuto in minuto sempre più crudele.
Claudia conosceva bene gli effetti delle erbe che trattava e che prescriveva e niente di ciò che aveva nel suo laboratorio avrebbe provocato sintomi di tale portata. “Era timo. Una semplice tisana al timo” disse con il cuore gonfio di apprensione e di diffidenza.
“Sei sicuro che non abbia preso qualcos’altro?”
“Sono sicuro. Stamattina si è incontrata con una nuova amica, una persona che è qui da poco. Quando è tornata a casa era tranquilla e solo nel tardo pomeriggio ha iniziato a lamentarsi del mal di stomaco”
Claudia non riusciva a capacitarsi di quel che stava succedendo, i sintomi che vedeva non davano all’amica tante chance e lei era paralizzata dal terrore.
Non era mai stata credente ma con una sorta di silenziosa preghiera implorò le stelle ed il cielo affinché placassero quella fottuta tempesta per permettere ai soccorsi di muoversi. Solo in ospedale ci sarebbe stata speranza per salvare Sabrina. Ma l’ospedale era dall’altra parte del mare.


Cercò di parlare con l’amica, gemente, l’abbracciò e prendendole il viso tra le mani la guardò negli occhi, spalancati, profondi e bui.
Sperava di trovarci , seppur lontana ed offuscata, una flebile fiammella.
“Sabrina, guardami! Ti ricordi cos’hai bevuto o mangiato stamattina?” le chiese, malcelando le lacrime che ormai stavano per tracimare.
L’amica, soprafatta dal dolore faceva fatica a ricordare anche gli eventi più recenti, eppure si stava aggrappando a quel pizzico di lucidità che in qualche angolo remoto della sua provata coscienza era rimasto. Strizzando gli occhi riuscì a dire con una voce incredibilmente roca “Un… un cornetto ed un…un te…no..una tisana”
“Dove? Dove l’hai bevuta?”
“A casa…a casa…sua”
“Sua? Sua di chi?”
“A casa…di…di…” riuscì a sussurrare prima di perdere conoscenza.
“A casa di chi?” strillò Claudia, con tutta la voce che aveva in gola.
“A casa mia…”
Schiaffeggiati violentemente da quella voce si voltarono tutti verso lo scoglio su cui, fragorosamente si infrangevano ancora le onde. “Tu?...No!” disse Davide con una voce che sembrava salire da un crepaccio nel ghiaccio.
“Sì, io” ribatté la voce.
“Sono qui, per te!”
“Che vuoi dire?”
“Pensavi che ti avrei scordato, eh? Credevi forse di avermi lasciata raggiante sul gradino di quell’altare? No! Ero disperata e per tutti questi anni ti ho seguito, ti ho spiato cercando di restare in vita succhiando la tua stessa aria e calcando i tuoi stessi passi”
“Sabrina, cosa c’entra Sabrina con noi due, con la tua infelicità?”
“Ahahah! Sei sempre il solito ingenuo! Quello che alla vista di una mignotta francese non capisce più niente! Ti è bastata una erre moscia per…”
“Smettila! Dimmi perché? Perché?” Davide strillava, in lacrime. Non pensava di essere capace di provare tanto disprezzo, di sentire il cuore debordare, marcito, ed invadere tutto il corpo nel cercare spazi utili per non esplodere in mille pezzi.
La scena appariva irreale, come quelle viste nelle tragedie affrescate nelle chiese o affisse alle pareti dei musei: Sabrina era riversa a terra, immobile; Mauro ritto in piedi, come una colonna di marmo; Claudia che osservava la donna ma continuava ad accarezzare e baciare il volto di Sabrina, e Davide che continuava a stringere i pugni, stringando la violenza che stava per esplodere.
E Adriana.
Adriana si era avvicinata di qualche passo, poi alla vista di Sabrina, del suo dolore e del vomito che la circondava, si era accasciata, inginocchiata sulla sabbia, incapace di reggere il peso delle sue azioni e dei suoi criminosi obiettivi.
Con una mano si appoggiava al terreno, con l’altra, nervosamente disegnava sulla sabbia, come a scrivere qualcosa per poi rileggerla, con una voce piatta, senza carattere ma udibile da tutti.
“Non credevo…non volevo così… Io vi spiavo, ed ho avvicinato Sabrina. Me la son fatta amica. Ma la usavo. Per distruggere Claudia. E per arrivare a te. La tisana…era…l’ho fatta con le foglie di oleandro. Avevo letto che…ma non credevo che…così… Avreste dato la colpa a Claudia. Anche la polizia…ed io e te…”
“Sei pazza!! Io e te non esistiamo più. Sei malata! Io…io…” disse distendendo le dita delle mani, pronto ad avventarsi contro quell’essere che una volta aveva incredibilmente amato.
Claudia si era alzata, posseduta da forze a lei finora sconosciute e con il palmo della mano aveva zittito i pensieri di Davide. Lo aveva guardato negli occhi, dietro uno sguardo affogato dalle lacrime, cercando di placare il suo istinto, implorandolo di calmarsi, perché i danni di quella maledetta domenica erano più che sufficienti.


Le luci del gommone della Guardia Costiera li illuminarono così, come nel fermo immagine di una tragedia, immortalata nella sua drammaticità.


Il vento si era placato, come in risposta a misteriose suppliche; la luna si era timidamente sporta da una nuvola nera e si rifletteva, audace, sul mare che aveva ripreso a lambire pigramente le coste di Iscra, con delicati aliti e sussurri per non turbare i tumulti negli animi di quei tristi ed inconsapevoli attori, racchiusi in una colorata cornice di oleandri.




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Scrittura creativa scritta il 10/03/2018 - 00:40
Da Millina Spina
Letta n.1072 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Corrado, dalle mie parti, a Capo Comino, c'è "S'iscra ruja", l'isola rossa, un isolotto di porfido che nell'ora del tramonto assume dei colori meravigliosi, regalandoci un panorama ancor più spettacolare del solito. Questa parola mi ha erroneamente portata a credere che iscra significasse isola. Ho chiesto a mio padre ed in realtà "iscra" significa buon terreno, che dunque si può trovare ovunque.
E a pensarci bene la mia isola, creata facendola spuntare nel mare di Sardegna, è proprio un'iscra, dall'ottimo terreno.
Ciao!

Millina Spina 19/03/2018 - 18:22

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Io l'ho cercata Iscra su Google e ho trovato un borgo interno, mi pare in provincia di Sassari. Tornando indietro molti decenni mi pare che ne sentii parlare proprio quando ero militare a Sassari...bei tempi, ho dei ricordi indelebili, ho addirittura scritto un libro completo sulla mia Naia in sardegna.

Corrado B. 19/03/2018 - 08:00

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Corrado, mi sembra impossibile costruire un giallo in poche righe, dovendo descrivere i personaggi, l'ambientazione ed infine la storia. Tutto ciò unito al mio dilungarmi mi ha portata a scrivere un racconto con quasi diciannovemila caratteri... forse troppi se voglio essere letta!
Come dicevo a Mirella, non sapevo proprio da dove partire ed allora ho portato i due personaggi nell'isola, ho dato loro delle professioni consone al posto e poi sono andata avanti.
In un breve taglio era specificato che l'isola si trovava nella Sardegna orientale: non è vero, l'isola, Iscra - che in sardo significa appunto isola - non esiste, è un condensato di tratti e profumi della mia terra. Le uniche isole di questo tipo si trovano nella Sardegna sud occidentale (Isola di San Pietro e di Sant'Antioco).
Però devo dire che Iscra mi è piaciuta: ne farò il mio rifugio per ogni volta che vorrò scappare!
Grazie per il tuo commento.

Millina Spina 14/03/2018 - 12:23

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Un racconto come questo senza l'ambientazione e la descrizione di quest'isola( ma a proposito, esiste?) non sarebbe stato completo. Noi ci siamo abituati al così detto taglio web, ma in realtà i racconti brevi( vedi Buzzati, Cechov e altri)sono lunghi sempre quattro cinque pagine almeno, quelli che noi chiamiamo lunghi. No no, va bene così...la narrazione è buona, anzi ottima, a me sembra che tu migliori sempre più...per la trama ho notato anch'io la tua voglia di giustificare ogni dettaglio...

Corrado B. 13/03/2018 - 17:53

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Grazie Barbara per la pazienza dedicatami!
Ciao!

Millina Spina 10/03/2018 - 20:40

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Grazie Mirella! Io ho il difetto - o caratteristica? - di dilungarmi troppo nel raccontare, tentando di portare il lettore nei luoghi dei miei ricordi o delle mie fantasie, che comunque si rifanno a quelli da me visti e/o vissuti. Riconosco che questa mia prolissità può essere un difetto, allontanando di fatto i possibili lettori,o peggio, annoiandoli. Ho dovuto addirittura tagliare questo racconto di circa 700 caratteri...come dire, mi sono lasciata andare.
Non sapevo cosa raccontare ed ho iniziato costruendo la location, poi la storia è nata da sola; rileggendo l'incipit mi son chiesta cosa significasse quel "dormiva sul fianco sinistro" ed ho giustificato anche quello.
La sfida di marzo è tosta, ma son contenta di averla accettata ed ancor di più del tuo commento, della tua pazienza per averlo letto tutto.
Grazie di cuore!

Millina Spina 10/03/2018 - 20:38

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Incantevole molto brava complimenti

Barbara Loy 10/03/2018 - 19:38

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MILLINA...Incantevoli descrizioni che per un momento mi hanno fatto perdere il filo ma poi ritrovato. Un bel racconto. Brava ciao

mirella narducci 10/03/2018 - 10:20

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