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La mia bizzarra stanzetta noiosa

Il corpo sa tutto.
Se sta maturando nelle sofferenze.
Una mela che cresce piena di consapevolezza.
Se invece una sofferenza è vana, non migliora il tuo essere.
Talune sofferenze sono un pantano, non drenano emozioni,
Non drenano considerazioni,
Non drenano cascate di colori.
Non drena un bel niente,
Tranne il tuo corpo che sguscia liquido da ogni situazione,
Il corpo,
Lo sa e lo sussurra, prima della mente
T’avverte,
Conosce la soluzione alle scelte da fare prima che si perdano nel labirinto dei pensieri.
E’ un passo avanti alla mente, segue l’energia dentro ogni.
Il corpo sa tutto, ma spesso non lo ascoltiamo,
Corpo e mente sono alchimia raffinata,
Per unirle ci vuole il miglior alchimista e nessuno nasce migliore,
Però possediamo le dita per sturare le orecchie da cumuli di ogni.
Allora quel pomeriggio decisi di perdermi nella mia stanza noiosa,
E soprattutto di pulire bene il mio orecchio sinistro, che è il più capriccioso dei due.
La mia cameretta,
Il soffitto bianco è un campo di lavanda che mette a dura prova la fantasia.
Dico alla finestra di non smettere di suonare la sua Requiem preferita.
Tra il venticello e l’immortale noia, la stanza ondeggia.
Come una zattera sulle dune del deserto
Staticamente si compiace della sua passività.
Nessuno bussa alla porta.
Nessuna bussola mi offre un caffè zuccherato, ma neanche amaro.
Almeno na sfogliatella, e invece no.
Sono un ragazzino che non conosce il sapore dell’amicizia.
L’abitudine alla solitudine è come un ancora difettosa:
Affetta, alletta, architetta.
Mio padre,
Era sordo,
E’ chiuso in camera sua.
-Padre-
Dico
-Ascoltami-
Dico
-Non sei più sordo-
Sussurro.
-Figlio-
Urla.
-Preferivo il silenzio. L’essere umano blatera troppo.
Blatera Blatera e non ascolta,
Blatera blatera e si perde nelle sue parole, ma non nelle immagini che regalano i silenzi-.
Mio padre,
non esce più da camera sua.
Avevo un’amica, si chiama Grace,
Ama le albicocche,
Io le fragole disegnate sulle sue labbra,
Ama l’uva,
Io l’odore del suo fiore.
Grace mi portava in giro per la città:
-Le persone sono solo specchi-
Diceva, ridendo, anche mentre godeva, rideva,
Io no, io sempre teso,
Anche nel bel mezzo dell’amore sono un filo teso,
Lei rideva, pensavo fosse bizzarra,
Ma aveva semplicemente ragione lei.
Passeggiando attraverso strade affollate si calpestano tante cose, ma soprattutto i colori che potrebbero regalare i nostri pennelli, lei quel giorno mi strinse la mano e pennellò queste parole:
-Non fidarti degli specchi, solo degli angoli delle strade, quelli che si nascondono di più, sono i sinceri-.
Il giorno dopo,
Grace non venne più a cercarmi, disse che aveva trovato uno specchio che possedeva solo i colori del bianco e del nero e si era innamorata.
-Strano – pensavo guardandomi allo specchio.
Io ho tutti questi colori e sono solo.
Ma Grace credeva di poter dipingere a suo piacimento uno specchio rotto,
Un uomo senza sapore si era impossessato delle fragole sulle sue labbra.
Non ero geloso, ma preoccupato.
Io, uomo solo, avevo imparato ad ascoltare il battito del cuore.
quell'uomo possedeva un cuore che non batteva quasi mai.
E battendo la testa contro un muro di frammenti di un suo riflesso insapore,
Invece,
Grace,
si uccise.
Al suo funerale non pioveva ma c’erano tante nuvole disegnate male,
Cercavano il loro illustratore, Un tale Nick Lo Scalzo.
Non sapevano quelle nuvole se apparire bianche, nere oppure rosa al tramonto.
Eppure il funerale terminò e le nuvole si dileguarono e mentre tutti andavano via,
Arrivò per ultima una donna:
-Sono la moglie del poeta.
Quello che tutti chiamano Nick lo Scalzo.
Ogni giorno mi domando se tutte le stronzate che scrive sono dedicate a me,
oppure,
a qualche delfino dell’oceano.
A qualche mignotta della marina
A qualche ufficiale della forestale.
Insomma chi sono io?
Solo la moglie del poeta,
Vivo in bilico tra la sua immaginazione e la mia realtà,
Che se capovolgi i concetti
La mia immaginazione è la sua realtà-.
Compresi il sapore di una virgola mancante tra le sue parole, ed ecco,
ed ecco, che, la mia noiosa stanzetta si capovolge in maniera bizzarra
e sprofondo nella lavanda che è quel gran furbo del soffitto,
Che da bianco diventa una distesa viola
Che da viola
poi centrifuga
Una lavanda gastrica piena di bianco,
piena di viola,
Una foresta che non riesce più a respirare,
Sono un vortice che affonda mille navi malinconiche,
Sono un profeta con sandali dorati.
Nella mia camera noiosamente bizzarra
Sono la puzza dell’ipocrisia che salva ogni banalità dalla paura di essere banali.
Allora prendo una scala mediamente alta, avvolgo il cielo stellato come se fosse un cartoncino un pò ruvido,
Torno in camera di mio padre e dico:
-Avevi ragione tu, solo chi si allontana dal continuo chiacchierare di una strada affollata comprende il suo spirito.
Quel tuo dannato capriccio di odiare il mondo, senza consultare i saggi marciapiedi, senza srotolare la tovaglia dell'universo.
Quel tuo capriccio così infame, di non consultare la fantasia e l'audacia, ma arrenderti al lussurioso capitalismo, che ti ha reso prima un robot, e poi un sordo.
Hai commesso un errore grave caro padre,
non hai ascoltato i pazzi, che sono pozzi
si ma di verità e universi-.
Straccio l'universo in due parti e vado via.
La mia noiosa stanzetta è un tesoro raro.



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Racconto scritto il 24/05/2019 - 21:01
Da Bruno Gais
Letta n.818 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Molto particolare questo modo di scrivere, non so se ho compreso tutto ma ci trovo tanta umanità e dolore. Forse dovrei rileggerlo, intanto ti dico bravo!!!!

Maria Isabel Mendez 25/05/2019 - 14:29

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A me 'm piac , per dirla alla napoletana. Sei bravo Bruno. Complimenti.

Ernesto D'Onise 25/05/2019 - 12:06

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Un racconto che è un caleidoscopio di emozioni e situazioni varie che si inseguono in un flusso di pensieri senza freno e senza senso, a volte. A me me piace, per dirla alla Gigi Proietti. Ciao!

Seby Flavio Gulisano 25/05/2019 - 11:15

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