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Infiorare avrei voluto i nostri giorni

Infiorare avrei voluto i nostri giorni
e il tuo capo infrondare con altri allori,
il denutrito cuore saziare
con bacche di gelso e more
ma solo arse foglie
e lazzi frutti di rinsecchito legno
oggi appena so darti in dono!
Viene il momento in cui tutto agonizza
e ogni cosa, esangue e vacua, si scompone,
da roghi morenti che più non si avvivano
crepitii più non ascolti e nell’anima
ammalata, che non sa più stare in piedi,
solo silenzio di ceneri odi e rimane.
Altro invaso fuor di me
non ha questo mio male
che fiotta con ardita foga
e che se tracima o esonda
nell’infinito vuoto sfocia.
Ma nella fedeltà che non muta,
dall’ ammutolito mio fagotto,
per uno stretto forame un filo
di speranze, fluendo a te conduce.
E’ da questa mia prigionia
che aspetto un gesto tuo,
che pane d’amore mastico adagio
e capriola qualche speranza;
è qui che qualche foglia
ancora riparo trova dal vento;
è in quest’ombra che un sasso
algido fonde fissato dal sole.
Pur se scialbo e ambiguo
appare il sorriso del domani
e specchio d’acqua
il volto sereno non rifrange,
ignora lo stesso il mugolio
che da quest’oggi in fuga tu odi;
sfollato da un tuo bacio
il lagno rauco del mio gemito,
inudibile, si allontani e si dissolva.



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Opera scritta il 10/11/2014 - 20:05
Da Angelo Michele Cozza
Letta n.1199 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Veri sicuri, sentiti, efficaci.

Ugo Mastrogiovanni 11/11/2014 - 11:18

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