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Simone e i gattini (estratto)

Non si stupì affatto. È consueto trovare gattini gettati nel cassonetto, pensò d' ignorarli. Ma ignorare stava diventando troppo difficile, il miagolio era sempre più insistente. Supporre che avessero gli occhi aperti, cresciuti abbastanza ma non tanto da riuscire a scavalcare la muraglia d’acciaio. No, non poteva impietosirsi. Soffocò il cuore, perché davvero lui era indifferente, e “lo dimostrerò ancora una volta in questa occasione”. E lui aveva un altro impegno, doveva coltivare un rapporto con uno sconosciuto. Voltò le spalle al cassonetto e quei miagolii lo tormentarono di nuovo. “Troppo insistenti! va be’ gli do una occhiata, dovrebbero essere già carini”. Tornò al cassonetto, fiutò l’aria, non v’erano pericoli maleodoranti, ancora nessuno aveva consumato la cena, niente sconsigliava d' affacciarsi nei meandri malsani del cassonetto. Ma doveva prendere coraggio. Con sveltezza si sporse verso il precipizio dell'immondizia; in punta di piedi cercava gli animali, ma c’erano solo sacchi e cartoni, tentò la ricerca con l'aiuto di soli occhi e orecchie, scorse il sacchetto che si muoveva da se stesso, «Eccolo», pensò, «Siete stati ben imprigionati». E smisero di miagolare. «Mi hanno sentito!». E si mise a riflettere se avesse per caso esternato il suo commento. “Ho parlato oltre a pensare? Ma di sicuro non mi hanno letto nel pensiero. Va bene, vediamo questi cuccioletti. Eccovi!”. Un balzo avanti, raggiunse la sacca blu dell’Ikea, l'acciuffò e fu subito fuori. La sacca era ben sigillata, ma una sommossa repentina dei prigionieri lo atterrì, fece cadere il fardello sui suoi piedi, gli diede un calcio con violenza e volò lontano. Dal fagotto uscì un suono rancido e nello stesso tempo armonioso, terrore e dolcezza: pietà chiedevano quegli animali, e la supplicavano in coro. Una polifonia sublime di alti e bassi, di anticipi e ritardi, di attacco e stacco. Si decise di dare una occhiata al contenuto, staccò lo scotch con cui fu sigillato. Li vide terrificati, già mezzi grandicelli e morbidi, lanosi e deliziosi quanto bastava loro per farsi accettare con piacere, ma rifletté bene: “dove li tengo?”. E lui che s’era già avventurato per tutto il circondario, e conosceva tutta la campagna, i boschi circostanti, si ricordò d’un luogo isolato e facilmente raggiungibile, selvaggio ma gradevole dove, sia lui che i micetti potevano stare in santa pace. Si prese di coraggio e si assicurò che nessuno lo osservasse, specialmente il proprietario dei gattini, che avrebbe potuto rimproverarlo, che di sicuro era uno di quegli anziani pieni di saggezza di vita, che tra tutte le possibilità ha valutato quella più salutare e sbrigativa di buttarli quegli animaletti. Non vide nessuno, si decise, raccolse il sacco, sopraggiungeva una macchina e accelerò il passo verso l’esterno del paese. Aveva il cuore in gola, palpitazioni improvvise, lo prese il terrore che qualcuno potesse fermarlo, biasimarlo e, cosa peggiore, l’opprimeva il pensiero che potessero deriderlo per quell’atto di tenerezza, da bamboccio, che stava compiendo. Corse per superare indenne le vie più trafficate, tornò a respirare solo quando le abitazioni erano tutte scomparse, toccandosi il fianco, sollevò gli occhi e seguì vialetto umido e accidentato, tra la vegetazione che s'infoltiva, non s'era accorto ch'era già dentro il bosco, deviava sassi e rami senza sentire fatica, finché non ebbe in fronte il varco che immetteva al luogo prescelto. Ma era bloccato da grossi rami, sicuramente caduti per la pioggia e il vento di questi giorni, lo colse una improvvisa asma e si sentì stanco per spostarli. Ma stringendo durante la corsa quei cuccioli, sentì un calore nel suo animo, un affetto del quale non ricordava l’esistenza. Non volle lasciarli, e se li stringeva più al petto, girandosi di qua e là si accorse di un altro vialetto, libero e agevole; lo percorse finché non giunse ad un luogo molto più ameno del solito, spazioso, aperto al cielo, l’erba umida, i muschi già floridi. Proseguì e inzuppò il piede, l’acqua, che non s’ avvedeva da dove provenisse, rasentava la terra, il declivio la dirigeva, limpida, dove l’occhio perdeva la continuità del prato, e l’orecchio guadagnava un dolce ritmo di acque fragorose. La curiosità lo spronò a calpestare il prato, e ad ogni passo premeva e s’intingeva il piede, ma ad ogni passo si sprigionava una fragranza dai muschi, da quelle erbe, i funghi, da far scordare ogni difficoltà. Coi calzini e le scarpe pregne d’acqua, si fissò ad ammirare la scoscesa fiancata che il ruscello, decine di metri sotto, aveva scavato. È sbalordito. Appoggia il sacco per terra e cerca di tenersi in equilibrio al limite dell’ anfratto; davvero profondo. Si china per raccogliere un sasso. Sceglie un ciottolo tondeggiante, di nuovo si affaccia con la testa verso il precipizio, lo getta, dopo alcuni secondi sente risalire lo stridore creato nel frizionare coi macigni al di sotto. Un vago terrore della profondità lo vince, un attimo di agitazione ma si rilassa al pensiero dei micetti, li aveva dimenticati, e corre ad aprire il sacco. Era uno di quelli col bottone, tali da consentire una buona chiusura. E non riesce ad aprirlo, “Uhm, sono blindati!”, riflette e quando capisce come fare, stacca il bottone. S’intenerisce di fronte a quella purezza d' occhi, così aperti, mostrano una bontà disarmante. Esplode in una contentezza che vuole prenderseli e abbracciarli, baciarli tutti, ma sono davvero tanti, ne conta nove, e quando ne sta per prendere alcuni, quelli si agitano e per poco non si sparpagliano per il prato, ma Simone è accorto e svelto: richiude le ali del sacco sopra le faccine. Pensa che è meglio prenderli uno alla volta, così forma una apertura, quanto basta per fare passare un micio alla volta. Introduce la mano, con l’altra si adopera per mantenere il sacco sigillato ed evitare fughe improvvise. E ne sorteggia uno a caso, risigilla gli altri, vuole baciarlo e comincia strofinargli il dietro delle orecchie, e il pancino, col dito solletica sotto il mento, poi sotto le ascelle, il collo, lo spinge in alto come se fosse un trofeo da esibire. Lo guarda con tenerezza, meravigliato da tanta innocenza, lo fa scivolare tra le mani e prima di toccare il suolo lo riacciuffa, ammira l'atto di grazia che il gattino mostrò nel cadere: un giro su se stesso per posizionarsi ad una ottimo atterraggio. “Ti alleno io”, pensa Simone, e lo tira in alto, e ancora, sempre in alto di continuo, lo lancia e, quando sta per toccare terra, lo riacciuffa, e da tutte le posizioni possibili, in qualsiasi altezza e velocità, il gattino riesce sempre a trovarsi in posizione corretta per l'atterraggio confortevole, e il miagolio sembra quello di un bambino che, dapprima scosso, si rende poi conto del divertimento che provoca l'altalena; e non ha remore, continua Simone, con maggiore foga stavolta, per risentire quel miagolio lieve. Dapprima suonava come di biasimo non troppo convinto, ma quando lo riacciuffa per l'ennesima volta, il micio si fa sentire con maggiore convinzione e lo morde. Sì lo morse! E l'inaspettata arma, e il dolore, il sangue, lo fanno infuriare, Simone subito lo scaraventa giù dal precipizio, e risale un' eco di miagolio brontolante che avvicinandosi alle rocce diviene terrore stridulo, Simone s'eccita in tutto il corpo, poi il tonfo inaspettato: “Bello però!”. Si sporge al precipizio ma non vede il corpicino. È smanioso di udire nuovamente quegli echi. Possibilissimi da riottenere, ne ha ancora ben otto di micetti. Corre per afferrarne subito un altro, e questa volta non deve terminare troppo presto lo strazio, lo lancia in aria per almeno sei metri, e poi incrocia lo sguardo negli occhi del gattino che scompare nel vuoto del precipizio, e lo straziante miagolio è vigoroso più di quello precedente. Si chiede se la causa fosse l'aggiunta dei sei metri di rampa o il micio più gagliardo. Per capirlo deve metterci più forza, lanciare il prossimo più in alto di dieci metri, e così agisce: “Vola, gatto!” ed un altro animale supera i dieci metri d'altezza, ricade col miagolio supplichevole, e sprofonda nel vuoto lo straziante stridulo... poofh! E si scompiscia dalle risate. Simone non riesce a calmarsi, ha una tal gioia nel cuore che non ricorda di avere mai provato. Con altri sei gattini appagherà tutto il suo desiderio di felicità. E li consuma tutti i suoi gettoni, e quando il sacco rimane vuoto, getta anche questo giù nel precipizio e disprezza quegli animali schifosi, che non s' erano moltiplicati nell'istante per regalargli maggior tempo di appagamento. E gli dedicò un sonoro sputo, che forse qualche micio morto raggiunse.



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Opera scritta il 22/09/2016 - 19:30
Da Franco Tommaso
Letta n.1212 volte.
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Commenti


Bello e... terrificante! Buona giornata Franco.

Ruggero Chiesa 23/09/2016 - 05:00

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