con altrui passi, altri occhi, altri tempi di quegli spettri,
non chiederei perdono -davvero no-
per quel che ho dato,
per quanto preso,
per quel che giace nell'abbandono
trafitto da mille braci,
mi vedrei
con una collana di sorrisi ad inventare nuovi abbracci,
nuovi baci,
altri lacci.
Anche guardassi la finestra dei miei tempi scorsi
come da un treno un paesaggio ameno
o da un aereo una terra così distante,
non chiederei perdono -davvero no-
per tutti quei momenti,
quegli istanti:
una giovane Russia che brandì il suo destino per un solo breve,
brevissimo momento,
esaltata e disfatta,
colma d'estasi e sgomento.
E al parco un cane piscia controvento
e non so più nemmeno se sono quel cane,
il piscio, o il vento.
E sui muri qualcuno ha scritto che la vita è morta,
che il destino non ha più tempo,
frasi di fantascienza,
e non so più nemmeno se sono il muro,
lo specchio o la finestra,
non so più nemmeno se lo voglio quel perdono,
l'innocenza,
o se cerco solo l'incoscienza
nei diecimila -o forse più-
sedativi, barbiturici,
mortai e obici di questo vivere per sussistenza, lì,
proprio a sinistra del cammino.

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