or che di me passo non rimane.»
Veggo del gocciolar d'acque
l'eburneo nembo
che tuona l'ire degli dei.
D'Olimpo scenne
in fragore tutto manna dura
a nutrir pozze.
Di stormi odo il giovin pigolo,
d'alberi il vetusto stormir di fronde.
Par che tutto cerchi rifugio
pel fortunale diluvio
ch'or scatena Giove pluvio.
E suonano stridenti le feritoie al passar d'acque
E onne cosa par avvinghiata alle furie tempeste.
Ecco del rifulgere nulla appare
che tutto sconvolto scompare.
Or trascorsa sento la buriana
e gentil il vento torna nel suo discorre in nenia
e cinguetta il cardellino d'in sui balconi.
Eppure nel tornato sole
appare disastro
d'un irabondo cielo
che nulla lascia alla misericordia
e mesta allora s'inchina l'aria al pianto antico dell'uomo
che nel dolore cerca carezza
a lenir il perduto vivere.
Poesia scritta il 17/09/2022 - 09:21Voto: | su 2 votanti |

Jean Charles G.
18/09/2022 - 07:06 
Anna Rossi
18/09/2022 - 04:10 
Ernesto D’Onise
17/09/2022 - 21:16 
Marina Assanti
17/09/2022 - 18:22 
Maria Luisa Bandiera
17/09/2022 - 13:23
Caterina Alagna
17/09/2022 - 13:17
Jean Charles G.
17/09/2022 - 12:36 
Anna Cenni
17/09/2022 - 11:05

Zio Frank Storie del gufo
17/09/2022 - 10:50 Proprio splendida.
Sempre partecipe al Dolore che colpisce gli esseri umani anche nelle calamità naturali e pur funeste. Spietate, quasi
si fossa davvero scatenata l'ira degli dei.
Qui meno, ma non si scherza... ho udito un disperato pigolio mentre grandinava e nulla ho potuto fare.
Ed era "solo" un passero pulcino...
Grazie per questa tua e per il nobile sentire che l'accompagna...

Marina Assanti
17/09/2022 - 10:22



