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Conchiglia di perla

Ancora non giungeva l’alba nella gelida frescura della notte lunare sotto l’oceano fluttuante, incamerati nel riparo corallino si adagiava sulla roccia pendente. Anemomi rossi fluttuanti mi portavano nuovo microscopico plancton di alghe alle mie vulve semichiuse, potendolo assaporare dolcemente senza che tutto il borioso giorno se ne accorgesse del dopo quando tutta la marea trasporta anche molta sabbia. Strascichi di pinne che ci incuriosiscono e ci volteggiano durante le ore di luce quando sono in movimento fruganti e divorantisi a vicenda strisciandoci vicini, la mia meraviglia di perla nera, che avevo nel mio pinnacolo ondeggiava solleticando i due estremi del guscio semichiuso riproduttivo. Le nostre creature esemplari, noi custodi della rarità, ma non tutte vi riuscivano, alcune di conchiglie anche due potevano farne nascere. Nell'acqua aperta ormeggiavamo lo schivo fluttuare del tepore oceanico assistendo a spettacoli incoraggianti, cui del resto facevamo poco parte per il nostro sapore duro terroso e cristallino. Combattimenti senza sosta per creature grandi con pinne denti e ventose che avvolte ci calpestavano sballottolandoci a distanza da recuperare con le maree. Uno squalo non grande medio da ore percorreva una circolare che seguiva il fluire odorifico del probabile percorso delle sarde a punta, divorando ogni tanto qualche lampreda di passaggio che aveva attirato dopo anche un banco di meduse, un polpo enorme giunto dalle profondità aracnidi, risalito per il risalire dell’entroterra che spingendosi verso la costa diveniva obbliquo ma la sua profondità non permetteva l’entrata dei raggi di sole. Si muoveva a spasmi di contrazioni fagocitando arbusti altri piccoli pesci e noi. Avvistando lo squalo si posiziona sul lato superiore dall’alto potendo subentrare su un raggio più ampio della portata visiva dei suoi otto bracci. Lo squalo famelico sorridente di fame intuiva le correnti vicine di altri squaletti nelle vicinanze e incoraggiato, leggermente indifferente girò a largo del polpo per poter sferrargli un morso all’estremità di un suo braccio staccandoglielo per un terzo. Il polpo si agita si ritira sfruga ogni anfratto si camuffa si incunea in una cavità e aprendo la sua voragine di bocca sbrandella in basso mangiando prima me e poi della nostra scintillante colonia altre due conchiglie. Inghiottendoci senza frantumarci scendiamo lentamente nelle sue viscide caldi lubrificate viscere e riemerge possente e senza ombra di stupore dall’anfratto. Lo squalo impazzito dall’odore e dal sapore del suo sangue blu taglia meticolosamente dritto addentando il suo capo enorme. Ma il polpo lo avvoge lo gira lo spinge in un vortice devastante di tentacoli combattenti. Le sue letali e ferree fauci attorcigliate nella enorme massa rosea riescono ad aprirsi e dimezzano metà del superiore del calamaro che a stentoni morì poco dopo dilaniato dal pasto fugace dello squalo che continuò completamente, fino allo stomaco arrivando a farci rintravedere lo spettro della luce. Nella sua bocca strette nelle nostre vulve sapevamo a cosa andavamo incontro anche se il nostro sapore crudo come vetri in bocca non poteva piacergli. Ci assapora sputandoci violentemente a terra una ad una. Dentro la sua cavità, la pressione dei suoi centinaia di denti doppi mi ruota mi sospinge e apre la mia apertura facendo scivolare accidentalmente la mia preziosa unica perla mangiandosela. Il frutto di anni concepiti tra salsedine luce acque fredde e acque calde. Posizionandosi nel suo stomaco attendo qui io e le altre della colonia che ritorni affamato a volteggiare a nutrirsi e a morire restituendomi ciò che mi appartiene e che non appartiene al suo ingombrante stomaco, della mia preziosa nera gemma d’acqua.



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Racconto scritto il 04/09/2015 - 15:33
Da Luca Di Paolo
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