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DELFINA

DELFINA


Delfina era un nome strano, voluto dal padre Giovanni che, come è possibile immaginare, amava il mare ed era proprietario di un peschereccio con il quale si recava ogni giorno a pesca, aiutato da un gruppo di marinai. Con la scritta “Marietta” in vernice gialla sulla prua, l’imbarcazione lasciava le acque sporche del porto e si avviava a solcare quelle limpide del Mediterraneo. Quello spicchio di mare che separava la Sicilia dall’Africa, ricco di ogni varietà di pesce e flora marina, era il suo regno e quando andava al largo con i suoi uomini, tornava con le ceste colme di pesce che a sua volta riusciva quasi sempre a vendere al mercato ittico. Giovanni era un uomo semplice e ardito, ma estremamente legato alla famiglia e alla sua Marietta.
La nascita della figlia lo aveva reso felice e lo fu ancor di più quando si accorse che la bimba amava il mare e nuotava con grande naturalezza come fosse il suo secondo elemento. Il nome Delfina sembrava proprio adatto a lei ed era una creatura gioiosa e curiosa di scoprire il mondo che la circondava, ma ciò che colpiva principalmente in lei era la sua particolare bellezza. La sua carnagione chiara contrastava con grandi occhi scuri, lunghi capelli castani, con riflessi ramati, le incorniciavano il viso e ricadevano morbidamente sulle spalle. Il corpo snello di adolescente stava per abbandonare come un bozzolo di farfalla, le sue forme piatte, per trasformarsi in una splendida ragazza. Ma la sua bellezza non l’aveva resa vanitosa o superba, anzi sembrava non averne consapevolezza. Attirava gli sguardi, ma non vi dava peso sempre intenta a fare qualcosa e a farla con attenzione.
Quando usciva con il peschereccio di suo padre amava tuffarsi nelle acque trasparenti, ma più scure e profonde, ignorando le paura, nuotando tra pesci, rocce ricoperte da madrepore color arancio e spugne coloratissime, rifugio di colonie di gamberetti e murene, coralli e alghe, spugne incrostanti di ogni colore.
Suo padre la guardava crescere con orgoglio e avvertiva nella figlia una particolare somiglianza con il suo modo di essere, tuttavia iniziava ad insinuarsi in lui un’ansia che fino a quel momento aveva sconosciuto. Era una ansia che si era originata nel contesto familiare. Nonni, moglie, parenti non vedevano di buon occhio il modo di vivere di Delfina. Non era così che si educava una fanciulla di buona famiglia, sempre a mare, sempre in giro come un maschiaccio a giocare e correre tra le scalinate del paese antico, che dal centro scendevano ripide, giù al porto. Aveva bisogno di imparare buone maniere e occorreva ormai un po di severità per farne una signorina da marito. Se avesse continuato a crescere così, libera e spensierata non l’avrebbe mai sposata nessuno e rischiava di rimanere per sempre a casa.
Erano scontri giornalieri tra moglie e marito che non la finivano più di litigare sull’educazione e sul futuro di Delfina.
- Non può andare sempre in giro e in barca con te e i marinai! Ma con quale morale la vuoi far crescere? Non sarà mai sottomessa, anzi sarà sempre più sfrontata e senza buone maniere!!
- Ma cosa dici Marietta, non vedi come è felice e come è in gamba. E’ una creatura particolare, diversa dalle ragazze che stanno sempre chiuse a far lavori domestici.- rimbeccava suo marito- La vuoi chiudere in prigione?
- Ma quale prigione! Deve fare quello che fanno le altre ragazze e sposarsi, o vuoi che rimanga a casa, senza farsi una famiglia ?
A forza di sentire questi discorsi Giovanni si convinse che forse aveva torto lui e ragione gli altri e ormai era necessario per Delfina cambiare abitudini di vita. In quegli anni sessanta, oltre al miglioramento economico aveva avuto inizio un processo sociale di rinnovamento, ma su certi argomenti si rimaneva ancorati a vecchi schemi e ad una morale rigida, difficile da modificare e sarebbero state necessarie molte battaglie sociali. A Giovanni piangeva il cuore, perché gli sembrava di spezzare quella meravigliosa e innocente vitalità che animava la ragazza, ma si convinse che per il suo bene occorreva intervenire.
Il destino diede presto una mano ad accelerare il futuro della ragazza, poiché un triste giorno di fine estate, sua mamma Marietta morì fulminata da un infarto improvviso.
Delfina era sconvolta e non riusciva a farsene una ragione e così Giovanni che non faceva che ripetere:
- Perchè, perché proprio lei? Era giovane, stava bene!-
Nei giorni che seguirono si decise il destino della ragazza, dopo una lunga riunione tra i nonni, zii e Giovanni. Delfina avrebbe frequentato il liceo, però in collegio. Scelsero un collegio gestito da suore a Palermo, un grande istituto con un antico chiostro circondato da uno splendido giardino lussureggiante di piante di ogni tipo estremamente curate, frequentato dalla prole femminile della migliore società palermitana. Il collegio, inserito all’interno di un antico convento della città, aveva le stanze sempre pulite e in ordine con mobili antichi, rinnovati annualmente con oli profumati, adatti per il legno. Le giovanette di buona società vi giungevano con un corredo di divise e biancheria rigorosamente castigate e così pure fu per Delfina che in questo luogo studiò diligentemente per prendere il diploma, ma imparò anche a comportarsi in società. La ragazza aveva acconsentito a questa scelta ma il sorriso gioioso era sparito dal suo viso e lei che viveva felice e ignara di ogni cattiveria nel suo mare, conobbe la malizia, la falsità e la solitudine. Scoprì gli intrighi che iniziarono a farsi strada tra le ragazze, si accorse dell’invidia e della gelosia che possono colmare gli animi di rabbia.
Le compagne si univano quasi sempre in gruppi e cercavano di mettere in difficoltà le più deboli, ma non erano riuscite a farlo con lei. Era troppo intelligente e sicura di sé per tenderle trabocchetti.
In quel luogo conobbe anche il suo primo amore.
Una domenica, giorno libero per le ragazze che trascorrevano in famiglia, Delfina era rimasta in collegio, in compagnia di Marisa che aspettava uno dei suoi familiari per tornare anche lei a casa.
Marisa era bionda e simpatica, pronta a lagnarsi sempre però
- Chissà perché tardano tanto ad arrivare? - chiedeva a voce alta
- Avranno avuto un contrattempo- la confortava Delfina
- Ma no! Fanno con comodo, tanto ad aspettare sono io - diceva imbronciata l’altra.
Marisa aveva indossato un abito rosso scuro, con il corpetto aderente a vita, per aprirsi a ventaglio nella gonna, che giungeva al polpaccio. A Delfina quel vestito piaceva molto e le sarebbe piaciuto indossarne uno così, ma non voleva gravare di altre spese il padre, che già ne aveva tante.
- Ma tu non vai mai a casa?- le chiese Marisa
- No, finirei per intristirmi. Non trovare mia madre, vedere mio padre solo, alla fine resterei a casa e ho promesso invece di prendere il diploma.
A forza di chiacchierare entrarono in confidenza e così Marisa scopri molte cose su di lei, della sua bravura nel nuoto, venne a sapere del padre che aveva una imbarcazione e che vivevano in una splendida cittadina.
Marisa era abituata ad una lugubre villa, dove stava sempre chiusa, con una famiglia sempre seriosa e attaccata alle regole sociali e provò invidia per Delfina.
Finalmente giunse il padre accompagnato dal fratello Tullio, un bel giovane biondo anche lui, ben vestito e l’aria spavalda. Si presentarono e il giovane restò colpito da quella ragazza con i ricci raccolti in alto, il viso gioioso e un fisico morbido e flessuoso che si intravedeva attraverso la mortificante divisa. Anche Delfina era rimasta colpita, ma sentiva una grande differenza tra la loro classe sociale e lei, schietta e semplice. Tuttavia quell’incontro non rimase isolato, infatti Tullio trovò mille occasioni per rivederla inviando lettere, immediatamente sequestrate, e cercò tramite sua sorella di poter realizzare un appuntamento.
Per Delfina era il primo amore, un sentimento che fino a quel momento aveva sconosciuto e si apriva ad esso con gioia, incapace di vedere il male che si poteva celare e che poteva colpirla.
Non dello stesso avviso era Tullio, che era invaghito si, ma ciò che lo interessava raggiungere era la conquista di quella personcina indomita, per metterla nell’elenco delle sue conquiste. Non era che uno stupido figlio di papà incapace di sentimenti e con una grande considerazione di sé. Ad aggravare la situazione era il mestiere del padre di lei che portava ricchezza, ma non poteva misurarsi con la professione di avvocato e la sua stirpe gentilizia.
Marisa non era d’accordo al fidanzamento conoscendo il fratello e lo minacciava.
- Guarda che io amo Delfina e non voglio farle del male, voglio fidanzarmi con lei!
- non ti credo, Tullio, tu vuoi solo che lei ti dica si, per poi piantarla alla prossima ragazza che incontri!-
- No, stavolta è diverso!
- Non ti credo.


Un giorno Tullio riuscì ad organizzare una passeggiata a quattro, con Delfina, Marisa e un amico che corteggiava la sorella. Rimasti soli, il giovane si dichiarò, sperando di ottenere che la giovane cedesse su tutto, oltre a dei baci insignificanti. Cercò di spingersi oltre, ma lei percepì una avidità di possesso che la impaurì, che non teneva conto del suo imbarazzo e pose resistenza. Ma lui la voleva ad ogni costo, quella ragazza lo faceva impazzire. Delfina lo spinse indietro sentendosi oltraggiata e lo guardò male:
- Tullio, corri troppo! io non mi sento preparata e non voglio far tutto subito!
Sentendosi respinto, il giovane senti il bisogno di domare la ragazza e inaspettatamente la schiaffeggiò.
La ragazza non aveva mai ricevuto schiaffi e allora fu presa da una collera furiosa che spense anche quel tenero sentimento che l’aveva sfiorata, ricambiò sonoramente gli schiaffi e andò via. Corse cercando Marisa, che non trovava più, corse per i campi fino a giungere in una strada, inseguita da un essere che non riconosceva più. Era questo il suo amore? Voleva solo possederla ed ora si era anche rivelato per l’essere vuoto che era. Entrò sconvolta in un bar, dove una donna alta e robusta la fece subito sedere. Dal breve racconto, la donna capì l’accaduto e si piazzò pronta col bastone, ma non vi fu bisogno perché Tullio pensò bene di sparire.
In quel bar Delfina trovò buona accoglienza ed anche un telefono, uno dei primi in commercio.
Si mise in comunicazione con il padre che si recò immediatamente sul posto.
Avvennero i chiarimenti con la famiglia e le scuse che Giovanni pretese.
- Mia figlia non sposerà certamente vostro figlio, disse con grande dignità, ma questo ragazzo deve scusarsi e lasciarla in pace.
Anche Marisa era dispiaciuta e loro malgrado, negli anni continuarono a rimanere amiche. Di Tullio seppe poi che trascorreva il tempo da ragazza in ragazza, dilapidando la fortuna di famiglia e incapace di far nulla.
Delfina si diplomò e poi decise di laurearsi e di insegnare. Alla morte di suo padre accettò un incarico nella scuola di un comune presso Perugia e andò via ancora una volta.
Trascorsero gli anni e malgrado vivesse bene in una piccola casetta che era riuscita a comprare, ogni tanto veniva sommersa dal rimpianto e dal desiderio di tornare anche per una semplice vacanza, nella sua città. Le mancava il mare, i profumi della sua terra ,la sua vecchia casa che dominava sul porto, la sua gente, il sole accecante, le lunghe ombre dei palazzi che si disegnavano sulle strade, il caldo afoso d’estate, i tuffi nelle acque profonde. Cosi un’estate si decise a trascorre una vacanza nel suo paese.
Quando giunse, le sembrò tutto diverso tranne il porto, anche se reso più grande dai lavori di ampliamento effettuati. Provò una grande emozione nel vedere il peschereccio di suo padre, con la scritta Marietta, ancora ormeggiato lungo il molo. Sapeva che era stato venduto ma non pensava di ritrovarlo intatto. Stava ad ammirarlo, senza accorgersi di essere osservata.
- Cercate qualcuno signorina?- le chiese l’uomo
Era un giovane bruno, alto e snello. La guardava come se cercasse di riconoscerla.
- Guardavo il peschereccio che era di mio padre- rispose lei.
- Ma tu sei Delfina! - fece il giovane – Sono Pietro, non ti ricordi di me?
Risero entrambi riconoscendosi, giovani bimbi che giocavano inseguendosi tra i vicoli e le scale del quartiere.
Da quel momento divennero inseparabili, Delfina tornò sul peschereccio e una volta giunti al largo, si esibì nei suoi splendidi tuffi.
Delfina ritrovò il suo mondo e un nuovo amore di cui si fidava ciecamente. Decisero di sposarsi, ma la ragazza era animata da sentimenti contrastanti. Avrebbe fatto bene a tornare o sarebbe stato più saggio rimanere in Umbria, si chiedeva continuamente.
- Sono felice di sposarti Pietro, ma non intendo essere la classica moglie chiusa a casa a lavare panni. Io continuerò a lavorare e se torno voglio vivere anche a mare , sul peschereccio a tuffarmi, andare sott’acqua. Non voglio imposizioni sulle buone maniere da signora in tailleur.
- Lo so come sei Delfina e ti ho sempre amato sin da quando eravamo bambini, perché tu sei cosi, piena di vita e di gioia. Non devi cambiare-
In poco tempo lei ottenne il trasferimento e tornò in Sicilia. Era tornata, Delfina era tornata.




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Racconto scritto il 02/07/2021 - 12:39
Da Patrizia Lo Bue
Letta n.503 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Grazie infinite

Patrizia Lo Bue 02/07/2021 - 18:56

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Originale nome per una donna.
Originale storia, ma non troppo perché di destini come quello di Delfina non se ne sentono troppi.
E poi l’amore.
Che dire.
Complimenti.
Ad Maiora !

Ralph Barbati 02/07/2021 - 16:45

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