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La casa di Elisabeth ultimi capitoli

Cap. X Si torna a casa


Elisabeth, immersa nei ricordi, non aveva visto i primi cenni del crepuscolo e quella aria scura di colpo l’aveva riportata nell’incertezza più totale.


La sera mostrava le sue prime ombre e la confusione aumentava nella testa.


«Mi dicesti, padre di cercare il mare ma di non seguirlo, perché?
E qual è mai la ragione o la follia che s’è impadronita di me e sto forse sognando e il tuo libro m’ha resa prigioniera per sempre. Vorrei svegliarmi da quest’incubo ma non so come fare, cosa posso fare
padre?
Sì, torno a casa, sì, farò proprio così»


Percorse la strada che separava la cittadina dal porto senza badare o pensare a nulla, il desiderio era solo quello di rientrare in casa, magari quel sogno angosciante sarebbe terminato.
Una fioca e giallognola luce s'intravedeva dalle finestre….
Il timore la fece avvicinare con “discrezione” alla porta.
Sulla porta un’incisione: “Mr H. Hamilton”


«Ma questa è la mia casa? O mio Dio perché?»


Non sembrava essere quella di sempre ed Elisabeth bussò con forza, poi si ritrasse d’un passo davanti all’uscio.
Un anziano signore aprì e, vedendola scoppiare in un pianto dirotto, la prese per mano e la invitò a entrare senza stare a pensarci troppo.


«Quale casa è questa, basta finisci maledetto incubo!»


Tutto era diverso, tranne le pareti e l'enorme camino che s’affacciava su una ampia sala.


«Non sono a casa è questa casa mia? Ma io sono a casa»


Una volta dentro, un senso di pace le percorse l'animo facendola sentire protetta e rassicurata.
L'uomo si presentò dicendo di chiamarsi Harrison Hamilton e di avere un negozio di stoffe a Monroe.


«Oddio, stoffe? Ma io ci lavoro in quel negozio ma costui non è Mr Benson».


Si dice che il sangue non mente e in questo caso non mentiva affatto, davanti agli occhi di Elisabeth c’era il suo trisavolo.
Harrison chiamò la moglie Doroty che la abbraccio con materna tenerezza facendole scendere dagli occhi lacrime di gioia.


«Non piangere ragazzina, qui sei a casa e da qualsiasi posto tu venga non ha importanza ora sei a casa dagli Hamilton e non dovrai temere più nulla, questa sarà la tua nuova casa e poi...»
«Io, io non so dove andare, non so» Elisabeth riuscì a biascicare qualche mugugnosa parola.
«Vedrai ragazza mia starai benissimo con noi e poi tra poco torna nostro figlio Peter, è un ragazzo adorabile, beh non è proprio nostro figlio ma a tutti gli effetti lo è»


Sentendo quel nome, Elisabeth ebbe un sobbalzo.


Cap. XI Peter ed Elisabeth


Un catino d’acqua accolse il viso della ragazza e pochi ma dovuti convenevoli, tutti fatti in modo spontaneo e dolce, fecero da corollario alla tempesta che l’aveva travolta.
Nel frattempo Peter era rientrato e, in quell’aria turbolenta e calma al tempo stesso, i suoi occhi
non avevano smesso di fissare quelli di Elisabeth che ha sua volta sembrava essere attratta da quel ragazzone dai modi garbati e timidamente rispettosi.
Fu così che Peter entrò nei suoi pensieri e lei in quelli di Peter.


«Inseguo i tuoi occhi, ma perché mi guardi?
Svegliati Peter non lasciarti travolgere, la conosci appena...
Sei nel mio presente o vieni dal mio passato?
Ho inseguito l'amore forse, ora il mio tempo attende, io devo andare per mare non posso fermarmi da te.
I miei pensieri si fermano sull'orlo della ragione, colmando quei vuoti che mi perseguitano.
Sono qui, sospeso sul tuo sorriso e sfoglio immagini future come petali di margherite.
T'immagino nuda sul letto. Non non poso, non è da buon cristiano farlo.
Un brivido mi attraversa, devo rimanere cosciente, m'imbarcherò è questa l'unica verità per me.
Vorrei sfiorare la tua mano e baciare le tue labbra e incidere i nostri nomi sulle onde dell'oceano.
Vorrei...
Ti prego, voltati ancora, sì, sorridimi e fammi sentire vivo.
Io che cerco il mondo lontano dal mio.
Dovrò andare via da te e forse anche da me.
Presto partirò e tutto sarà solo ricordo.»


Peter, entusiasta, iniziò a parlare del suo futuro viaggio sulla Queen's Flower.
La sua attesa era grande per tutte quelle meraviglie del mondo che l'occasione gli avrebbe concesso di vedere.
Elisabeth lo ascoltava, in ammirato silenzio, ritrovando in lui e nel suo racconto la serenità delle storie che da bambina le raccontava il padre e la stessa voglia di avventura.
Mr. Hamilton le chiese il suo nome, nella confusione degli eventi non aveva ancora osato farlo.
Lei disse di chiamarsi Elisabeth Spring, nascondendo chi in realtà fosse e da dove veniva.
Troppo era il timore di non essere creduta e di passare per pazza.
Il vecchio Harrison che, oltre a essere un uomo di buon cuore, era molto pratico nei modi, colse l'occasione per chiedere a Elisabeth se avesse voglia di lavorare nel suo negozio di stoffe, visto che Peter avrebbe presto preso il mare con quella baleniera.


«Ragazza, prima di andar per mare Peter ti insegnerà il mestiere al negozio, il Signore ha esaudito le mie preghiere, sia lode a Dio»


Lei non si scompose, trattenne tutte le sensazioni che la scuotevano e, nell'incertezza di quello che le stava accadendo, annuì con la testa.


«Accetto ben volentieri Mr. Hamilton, che Dio le renda merito»
«Non devi rendere merito a me ma appunto al buon Dio che ti ha messo sulla nostra strada, ma ora beviamo tutti un buon boccale di birra scura come il mare, accidenti e ancora lode a Dio e al nostro mare che sia benevolo con Peter!»


Quando le membra e l’eccitazione per quella serata straordinaria si quietarono, anche per effetto dei fumi dell’alcol, Doroty accompagnò Elisabeth al piano di sopra mostrandogli il giaciglio per la notte.
E nella notte le parole sussurrate o i pensieri sono facili a venire prima che il sonno avvolga tutto.


«Moglie, non credi che il Signore sia stato troppo generoso con noi mandandoci prima Peter e poi Elisabeth?»
«Dormi Harrison, domani il lavoro attende, dormi e non pensare, il Signore sa quello che fa»
«E ora posso partire? Cosa ne sarà del mio viaggio, ma io devo partire non posso lasciarmi distrarre da due occhi così...»
«Impossibile, non può accadermi tutto questo, perché io Elisabeth?»


Cap. XII Il negozio delle stoffe e dell’amore


Harrison la mattina dopo, preparato la carrozza con i cavalli, svegliò i due ragazzi, la comitiva sorridente e allegra partì per Monroe.
La strada che tante volte Elisabeth aveva percorso appariva diversa ai suoi occhi o forse tutto era diverso.
Peter, non riuscendo ancora a comprendere i suoi sentimenti, guardava lontano voltandosi, di tanto in tanto, verso la campagna per non ammettere di essere attratto dallo sguardo di Elisabeth.
Nuovamente una cittadina dell’ottocento si presentò alla vista senza però causare più tempeste alla mente.


«Figliolo, mi raccomando cerca di istruire bene Elisabeth su tutte le incombenze del negozio e fa che lei si senta a proprio agio, e tu mia cara affidati pure a Peter che ragazzi più a modo di lui non ce ne sono in giro per Monroe»
«Cercherò di onorare la sua fiducia padre, vedrà che saprò fare del mio meglio, prima di partire per il mio viaggio sulla Queen’s Flowers»
«Ci conto Peter e tu Elisabeth, non dici nulla?»
«Chiedo scusa ma sono ancora così confusa»


E un velo di sorriso apparve sulle labbra della ragazza (Quel lavoro lo conosceva bene, eccome se lo conosceva)…


La prima settimana trascorse tra l’imbarazzo di Peter che cercava di essere distaccato e gentile e il sentimento d’amore puro che sbocciava prepotente in Elisabeth, tant’è che nei giorni a seguire lei s’incupì nel suo abituale sorriso non comprendendo l’atteggiamento di Peter all’apparenza così inerme e astruso al sentimento.
Harrison capì lo stato d’animo dei giovani e soprattutto quello contrastato di Peter che ormai era diviso tra il partire e l’amore improvviso e inatteso come so la vita sa offrire.
Preso il cuore in mano, da buon padre di famiglia, Harrison prese in disparte Peter…


«Ragazzo ma non vedi che lei ti ama? Cosa aspetti è talmente bella che persino il sole si vergogna a uscir fuori in questo postaccio di marinai, pensaci. Non voglio impedirti di fare la tua vita, ma almeno pensaci ti prego figliolo, io e tua madre siamo vecchi e non vivremo a lungo e al negozio non badi? Lo so che è tuo dovere imbarcarti come tutti i bravi ragazzi del paese ma ti prego ancora fai un pensiero a questi due vecchi che ti hanno accolto in casa amandoti più di quel figlio che non hanno avuto»
«Prometto che ci penserò padre»


Il buon Harrison, avendo anch’egli vissuto ed essendo pur stato un tempo giovinotto baldanzoso, colse l’occasione, non rassegandosi a perdere Peter e una nuova famiglia, per trovare uno stratagemma onde lasciar i due ben soli nel negozio.


«Ragazzi devo far commissione di stoffe a Stanton Bridge, prendo il carretto di bottega, mi raccomando in mia assenza di governare bene il negozio»
S’alzò all’unisono una risposta: «Certamente»


«Cos’è questo amore che governa le menti e dell’animo s’impadronisce a tal punto che il tempo si stravolge? Mi chiedo ragioni e trovo amore e i racconti di mio padre li trasformo in realtà. Sono io a farlo? Oppure è una sorte di fato che muove pedine a loro insaputa. Ho vissuto nel malessere profondo sempre immersa in domande e insoddisfazioni e ora vivo o sogno di vivere un sogno d’amore come in quelle storie di mare e poi… se mi dovessi svegliare d’un tratto? Cosa sarebbe di me e… no, non voglio svegliarmi che sogno sia se deve essere e se magari questa fosse la morte allora ben accetta si. Ecco si avvicina Peter, farò cadere in terra il mio fazzoletto»


Peter si chinò e raccolse il fazzoletto di Elisabeth, porgendolo poi a lei con mano tremolante.
Gli occhi spesso guardano, o almeno così appare, tranne quando invece di guardare amano al buio.
La cera statica delle candele che illuminavano il negozio si sciolse nell’avidità delle labbra che avevano sorpassato le onde dei mari e quelle delle avventure per planare con avida “lussuria” d’amore su quelle d’una ragazza che ti stava di fronte e che spezzava il cerchio dei confini conosciuti. Era quella la vera via del mare per Peter.
I due dopo si guardarono a lungo senza parlare sfiorandosi le mani con i polpastrelli.
A fine giornata Harrison fece rientro al negozio.


«Tutto bene ragazzi?»
«Poche persone oggi, giornata magra» Rispose Peter
«Va beh poco importa, domani andrà meglio, chiudiamo bottega e andiamo a casa»


Cap. XIII Le nebbie si diradano sul promontorio


Le nebbie sembravano finalmente diradarsi sulla casa in cima al promontorio.


Trascorsero delle settimane e fra i due ragazzi l’amore si consolidò come roccia fusa da un incandescente fuoco che forgia e nel divenire freddo rende ogni cosa in una forma nuova che prima era solo in essere in qualche parte della ragione umana e divina.


«Non parto più, ho deciso di rinunciare al viaggio, nessuno potrà obiettare sulla necessità d’aiutare un padre nel suo negozio e poi io voglio sposare Elisabeth»


E i pensieri colmarono i pensieri ed Elisabeth sprofondata nel suo sogno pensò.


«Oh mare che chiami e che rifiuti è questo dunque il tuo messaggio, tutto come mio padre diceva.
Perché egli sapeva? Perché io ora sono qui? E chi ci sarà nel futuro ad abitare la nostra casa. E se io sono sono tornata ma non nata in questo tempo allora potrò rinasce e tornare nuovamente in un cerchio senza fine. Come è possibile che io nasca da te padre se io ti sto precedendo? O sono forse io genitrice dal passato di progenie futura?»
«Ricorda il libro Elisabeth, il libro, la verità è nel libro, basta aprirlo...»


La storia aveva finito di leggersi da sola e…
Grande fu la festa per le nozze e si banchettò tutto il giorno e ghirlande di fiori e violini s’udirono per tutta Monroe.

«Può esistere ciò che non esiste? Se reale volesse dire sogno e sogno volesse significare vera dimensione della realtà? Chi può saperlo?»


«Ragazzi miei voglio darvi come regalo di nozze questo preziosissimo libro custodito dalla nostra famiglia da molti secoli, vi sono molti racconti del mare, mi raccomando leggeteli ai vostri figli»


Quella notte la luce del faro sul promontorio brillò più del solito e l’indomani mattina, il quindici giugno 1815 la nave baleniera “Queen’s Flower” salpò dal porto di Monroe verso i mari del sud e Capo Horn alla ricerca di capodogli per far carne e grasso per le lampe.
Il vascello comandato dal capitano Jeff Brown della compagnia Mansfield non fece più ritorno a Monroe.
Qualcuno racconta che a bordo vi fosse anche un ragazzo di nome Peter Johnston come secondo del capitano...


«Esiste un tempo nel non tempo in cui ogni cosa ha ragione d'esistere». A.D. 2016 Jean C. G.




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Racconto scritto il 23/05/2022 - 09:32
Da Jean Charles G.
Letta n.342 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Grazie della recensione Genè!

Jean C. G. 24/05/2022 - 11:11

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Grazie Mirko ti auguro una serena notte

Jean C. G. 23/05/2022 - 22:03

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Questo è il genere di racconti che adoro...complimenti Jean

Mirko D. Mastro 23/05/2022 - 16:23

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La bellezza di questo racconto è riuscire a comprendere se la protagonista si sia addormentata e abbia vissuto la storia oppure sia stata catapultata nella realtà del libro vivendola, questo sarà il dubbio e non sapremo mai se Peter si sia salvato realmente oppure sia partito per non fare più ritorno! complimenti, un bel film da realizzare! Spero di vederlo al cinema!

genoveffa genè frau 23/05/2022 - 14:28

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Grazie Anna di cuore e Grazie di cuore a te Marina per la dissertazione su questa avventura che oltre a non avere tempo non si percepisce nemmeno se sia esistita o se addormentandosi mentre leggeva il suo libro di avventure la protagonista abbia creato una realtà parallela in cui lei salvava con l'amore Peter dalla morte e se il sogno fosse la realtà e la realtà solo falso vissuto?
E se invece realtà e sogno si intrecciassero senza interferire l'una con l'altro? Interrogativi che restano alla non risposta nella trama di questa storia d'amore... Amo molto le realtà surreali e i metaracconti in cui l'autore può intervenire.

Jean C. G. 23/05/2022 - 14:08

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Delicata, poetica ed... eterea la narrazione, intrisa, appunto, di immagini poetiche, dove la suspence passa in secondo piano rispetto alla forza del sentimento che supera le barriere del tempo.
Complimenti, Jean, è sempre un immenso piacere leggerti, ciao

Marina Assanti 23/05/2022 - 13:52

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Una storia d'Amore in un tempo indefinito, sospeso e, forse per questo, eterna. Anzi io la sento proprio così, non ha tempo perché il tempo, in fondo, non conta se un amore è Amore.
Ho scritto e pubblicato un breve romanzo anch'io, col mio socio (l'idea era sua) dove una storia d'amore, finita male nell'anno 1019, mille anni dopo, rivissuta dagli stessi protagonisti nel contesto attuale, finisce bene per tutti, anche per il "cattivo" pentito.
Scusa se ho divagato, ma questo tuo interessante racconto me l'ha giocoforza riportato alla mente.

Marina Assanti 23/05/2022 - 13:49

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Bella questa cosa del non tempo...un tempo che non c'è...ma forse si forse no...come nel racconto, và un po avanti un po và indietro!! Fa pensare!!!ciaoo!!

Anna Cenni 23/05/2022 - 12:50

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