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Un calcio

Un calcio, si un calcio per dire che ci sono


Sono nata morta da un padre ignaro di me e già orfana di madre. Dopo un flash di luce, di nuovo buio, ma questa volta mi sento anche soffocare ed ho freddo. Non so ancora piangere ed allora me ne sto in silenzio e ogni tanto do qualche calcio all'involucro nero in cui mi hanno messo. Di calci ne ho sempre dati tanti quando ero lì, al calduccio, nel ventre di mia madre dove non c'era molta luce ma tanto calore. Ogni giorno vestivo di emozioni la mia vita che si affermava sempre più e mi incantavo a seguire la voce ritmica del mio cuore che correva e precedeva in vittoria quello di mia madre.
Non so se ero felice, ma mi sentivo viva e quando sono nata, partorita di nascosto e senza un abbraccio né un bacio, ho capito che ero una viva orfana già morta. Il mio destino segnato da quello di mia madre e di mio padre sconosciuto, che sempre rimarrà tale. Ed ecco che qualcuno butta in questo sacchetto nero il mio corpo ancora fumante di vita appena accennata. Intorno a me rumori che tradiscono una losca fretta; non capisco cosa dicano ma forse più che parlare farfugliano su dove buttarmi e quando. È terribile! Mi sento un oggetto inutile, comprato in qualche squallido mercatino turistico, ora pronto per essere eliminato. Un calcio, si un calcio per dire che ci sono. Che ho fame. Che ho freddo. Un calcio per affermare che il soffio di vita che mi ha allargato i polmoni è ancora qui in me. Un calcio ed ancora un altro...magari così ritorna la luce...adesso mi sento sola...e ho tanto sonno. Vorrei ma non riesco più a muovere le gambe...


Mi hanno comprato avvolto su miei simili in un negozietto all'angolo della strada e tenuto in un mobile per qualche giorno. Ora delle mani frettolose mi hanno dispiegato e usato per contenere un piccolo oggetto umido e agitato. L' oggetto sembra non gradire la mia ospitalità perchè ogni tanto si muove e tira calci, sembra un vecchio giocattolo a pile rimasto acceso. Ma ne avverto anche il calore; a intervalli regolari mi sento appena appena gonfiare di aria calda e poi svuotare...mi sembra di avere un respiro. Mi hanno deposto in un luogo buio e pieno di altri sacchetti neri come me, ma loro mi sembrano molto più pieni e maleodoranti. Mi accorgo che il giocattolo si muove sempre di meno ed anche il suo calore è diminuito...


Per fortuna che avevo comprato i sacchetti neri, così posso utilizzarne uno per nascondere e buttare il corpo dell'essere che sta per nascere. Appena nato non lo voglio nemmeno toccare né guardare, non deve appartenere alla mia vita né io alla sua...
Ecco l'ho fatto... ma sto male, nel corpo e nello spirito. Ho abbandonato in un sacco nero mia figlia. Ho dovuto, ma mi sento colpevole. Quel corpicino nudo, rossiccio, caldo. L'ho solo sfiorato e afferrato in punta di dita per un piede. Come era morbido e liscio e caldo. L'istinto me lo ha fatto scuotere finché non l'ho sentito respirare e piangere. Ma ha pianto giusto un po', prima che cominciasse a scalciare quasi pigramente. Il sacchetto l'ho chiuso con uno spago. Ben stretto.
Ancora senza forze mi sono costretta ad uscire di casa per disfarmi del sacchetto scalciante. L'ho riposto sugli altri, già nel cassonetto, ho girato le spalle e sono rientrata.




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Racconto scritto il 24/09/2023 - 18:51
Da Daniela Cavazzi
Letta n.160 volte.
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Commenti


Terribile storie di vite mai volute che sono troppo spesso tragiche realtà di vite vissute.

Maria Luisa Bandiera 25/09/2023 - 07:12

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