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Al plurale

Vorrei affacciarmi
alla finestra,
capire se ho confuso
il tintinnare degli astri
con il rombo del tuo motore
oppure
se dovrò ricucire
le ore della notte
l'una con l'altra
per avvicinarmi più che posso
a domani,
dove so che
saremo meno distanti.
Mi aspetto di vederti seduto
al tavolo delle tue preoccupazioni,
e tu forse
ti aspetterai di vedermi
raggiante:
l'interpretazione che più mi dona.


Aspettati anche
di vedermi
prostrato alla leggerezza
del tuo silenzio;
lo raccoglierò e lo incarterò,
come si fa con le viole di campo,
per
decodificarlo
quando sarò su ciglio del mio letto
per decodificarne
le sue scure chiarezze,
per leggergli dentro il non detto.


Mi dici andiamo
facciamo,
leggiamo,
proviamo,
è una pluralità che si schiude sempre
dalla punta delle tue labbra,
negli aculei stretti delle tue vocali
che hanno il corpo gelido di brina
e aspro di mare quando ne resta che il sale.


Andiamo,
studiamo,
guardiamo,
sempre insieme
trovo il nostro cercarsi nelle desinenze.
Mi piace che il verbo si fletta
su di noi
quasi a volerci uniti,
come a volermi dire
che mi vuoi.


Andiamo
andiamo dove vuoi
guardiamo insieme
i fili dell'erba piegarsi al sole
mentre le parole tue calano
su di me e le parole mie
si slegano in fila di baci.
Avanza,
senza sperare che una luce
ti indichi il sentiero,
cercami nella lingua,
sarò io a seguirti poi nei tuoi racconti,
a chiederteli
a chiederti di straziarmi
con la tua tristezza
ché la mia non mi basta più,
rimarrò ad ascoltarti
a scrosciarti addosso
con mura d'acqua,
sulla tua fronte
sul tuo petto,
ad assicurarmi
al tuo andamento,
ad assicurarti
il mio ascolto,
saprò capire
senza vivere tre
lune nelle tue scarpe.



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Poesia scritta il 26/06/2018 - 13:21
Da Matih Bobek
Letta n.1200 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


piaciuta

Francesco Cau 27/06/2018 - 10:06

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Belle esortazioni, bella poesia

Atrebor Atrebor 26/06/2018 - 18:36

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