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A MAI PIU'

E’ da gennaio che con il gruppo di amici si discute sulla meta del trekking estivo. C’è chi propende per la Sardegna, chi per la Calabria. Mette fine alla discussione sulla scelta da fare la proposta di Giovanni: “il cammino porta d’oriente” nelle Marche. Spiega che da Ancona suddividendo il percorso in due tappe visto lo sviluppo chilometrico importante per raggiungere il santuario della Madonna di Loreto. La durata del trekking è di cinque giorni
La notte del 3 Luglio 1976 ci troviamo come convenuto nei pressi della gelateria “Babada”; nostro abituale punto di ritrovo. Carichiamo gli zaini nel bagagliaio dell’auto di Massimo e ci mettiamo in viaggio. Siamo in quatto: lo scrivente, Francesco, Massimo, l’autista, Giovanni, il prudente e Marco, l’instancabile. Arriviamo a Parma strafatti, Massimo a tutti i costi ha voluto fare il percorso in auto su strada statale. Posteggia l’auto nei pressi dell'Università degli Studi. Zaini alle spalle e c’incamminiamo per la città alla ricerca di un posto dove passare la notte. Marco chiede a un passante dove possiamo alloggiare a buon prezzo.
- Proseguite in direzione dell’ospedale, quando siete nei pressi chiedete della Colomba. È una signora che tutti conoscono. Affitta le camere agli studenti, di questa stagione certamente ne ha di libere. Camminiamo per una buona mezzora prima di arrivare nelle vicinanze dell’ospedale, ancora una volta Marco chiede della signora Colomba. - In quel palazzo alla vostra destra, dove c'è il cartellone arancione, suonate al tre. Arriviamo al portone, suono al citofono, non ricevo risposta, apre il portone una bella signora.
“Sono Colomba, in cosa posso essere utile?” - Siamo in cerca di una camera, ne ha disponibili? E pure il prezzo, per cortesia. “Ragassi: per una da quattro colazione compresa, sono quindicimila lire anticipate.” Ci accordiamo. Ci fa strada lungo un corridoio ai cui lati ci sono le porte delle camere. Ne ho contate dodici. E in quella ci invita a entrare. Quattro letti da una piazza, un lavabo, l’armadio e due sedie. Quadretti esotici sparsi qua e la appesi alle pareti. I servizi sono in comune con tutti gli altri ospiti. A noi va bene così. Seduti ognuno nel proprio letto progettiamo la serata. Cena o discoteca sono le opzioni. Prevale la cena in una trattoria tipica. Io non sono dell'umore giusto per la serata che sicuramente si sarebbe prolungata sino a tarda notte. Colpa della stanchezza o chissà che altro. Invento una valida scusa. - Ragazzi, vado a riposare, ne approfitto per il tempo che restate fuori perché poi, come al solito devo sorbirmi le vostre scoregge e i vostri rutti. Una sonora risata. E’ andata. Nessuno si è offeso. Mi spoglio e mi do una sciacquata in quel lavabo di altri tempi. Indosso una maglietta e mi corico Mi addormento in quella atmosfera di tempi ormai passati. Mi sveglio di soprassalto sentendo bussare alla porta della camera. Guardo l'orologio, erano passate due ore da quando mi ero coricato. Possibile che fossero già rientrati? Non era nel loro DNA. Passare le notti a bighellonare in giro è una consuetudine. Indosso i calzoni e vado ad aprire E’ la signora Colomba, con la sua parlata tipica dell'Emilia mi dice: - “ragasso, vien che mi aiut a metter tuàia che cènà con mi; non sta li impàlà che ho sprescia!” La seguo in cucina e insieme apparecchiamo.
Stappa una bottiglia di Lambrusco e versa il vino nei bicchieri. Conversiamo, tra un sorso e l'altro mi dice che ha cinquantuno anni. Penso: “hai la stessa età di mia madre però sei una gnocca pazzesca.” La conversazione continua, la cena può attendere, non ho neppure molta fame. Mi racconta della sua vita, così, come fanno le persone di una certa età. “Sono nata e vissuta in una frazione di Faenza.
I miei genitori erano agricoltori. Non ce la passavamo male, ma a me quella vita mi stava stretta. Avevo sedici anni quando mi sono trasferita a Parma, dalla sorella di mia madre. Germana il suo nome. Gemma il sopranome.
A differenza della mia mamma, la zia gestiva un importante giro d'affari. Fu così che un bel giorno mia madre mi dice: vai! Forse in città le tue aspirazioni si possono concretizzare.
Non avevamo ancora toccato cibo. Alla bottiglia di vino ci si vede il sedere. Ne stappa un'altra, versa il nettare e prosegue: mia zia era proprietaria di un Bordello! Un Casino! Tutto il palazzo era di sua proprietà! Ed è proprio questo! Sì! Alloggi nella “Casa del Piacere “SORA GEMMA.” Immagina quel che succedeva nel letto dove eri coricato sino a poco prima! Sono inebetito, per di più ho una erezione spontanea che non riesco a nascondere. Mi alzo per aiutarla a portare le pietanze in tavola ma non riesco a celare quella protuberanza che gonfia i pantaloni. Mi toglie dall'impaccio. Siedi! “Botà so e magna ragasso.” (Butta giù e mangia ragazzo.) Il dopocena non l’ho mai dimenticato.
Rientro in camera che sono le tre, gli amici non sono ancora rientrati. Mi getto sul letto, mi sento leggero, appagato, davvero una bella sensazione. Non so a che ora mi addormento ma so perfettamente l’orario di quando sobbalzo per il rumore di passi pesanti e risate. Sono arrivati. Dopo poco un alternarsi di russate dai rumori diversi emessi da ognuno di loro che mi infastidiscono al punto di togliermi il sonno. Mi rigiro nel lenzuolo e penso a quello che con Colomba, poche ore prima abbiamo fatto. Brutta idea, una parte di lenzuolo sembra una vela. Rimango li a osservare i tre perdi notti fino a che la voce di Colomba si fa sentire.
“Ragassi è pront la claston, tìn bòtta che si frèsh! (Ragazzi la colazione è pronta, fate presto che si raffredda). In un battibaleno siamo in cucina; caffè latte e torta di mele sul tavolo. “Che mi dite: vi siete divertiti ieri notte? - Ho sentito quando siete rientrati! - Ne avete incontrate di fate patace? (Ne avete incontrato di belle ragazze?)” Silenzio. Solo il movimento delle mascelle. “E tu dormitor che disi? (e tu dormiglione, che dici?). Mi limito ad assentire. Finito di fare colazione ed entriamo in camera. Riordinammo alla bella e meglio. Zaino in spalla, salutiamo Colomba e ci avviammo verso l'auto. In una tirata colmiamo la distanza tra Parma e Ancona. Trecentoventi chilometri d’auto. Massimo si ferma a un autogrill a metà percorso, giusto il tempo per un caffè. Giunti nella città si parcheggia l’auto. Per strada noto il volto stravolto dei miei compagni, mi domando come deve essere il mio dopo la notte parmense. Accendo una sigaretta, la prima della giornata, gli invito a prendere un caffè. Marco e Giovanni: - No grazie! Vi aspettiamo! Andate pure!
Per loro è questione di braccino corto. Con Massimo ci avviamo in direzione del bar, entriamo e ordino due caffè, nel frattempo che li sta preparando gli chiedo informazioni, mi risponde in modo incomprensibile, nel suo dialetto, la lingua Italiana era una chimera per quel signore dietro il banco. Massimo:- che sfiga, non si capisce un cazzo di quello che dice. Quando raggiungiamo gli altri due, notiamo che è cambiato qualcosa nel loro umore. “Abbiamo le informazioni che ci servono, parlano uno sopra un tono dell’altro. Nelle vie trasversali troviamo la pensioncina che hanno indicato a Marco e Giovanni. Prendiamo accordi sul prezzo, io gli chiedo se al mattino può lasciare la colazione sul tavolo. Abbiamo intenzione di raggiungere Loreto a piedi. “Siete dei pellegrini? - Da dove venite?” Arriviamo da Sestri Levante e non siamo pellegrini. Chiede di essere pagato anticipatamente. Poi, ognuno nella propria camera. Sveglia alle cinque, mezzora dopo siamo al tavolo, imbandito per la colazione. Poi, zaino in spalla in direzione del Duomo.
Usciti dalla città imbocchiamo una sterrata. Una freccia di legno consumato con su una scritta sbiadita indica Varano. Siamo nella giusta direzione. Campagna e collina da dove si aprono qua e la scorci panoramici. Avanziamo con prudenza per non inciampare nei massi che l'erba copre. Ogni volta che si voleva godere del panorama, una sosta.
E’ un’opportunità per prendere fiato, visto che il percorso è tutto in forte salita. Con passo continuo arriviamo a Montacuto. Il sentiero termina e lascia spazio a una strada asfaltata che percorriamo sempre in accentuata salita.
Un vero toccasana per i muscoli delle gambe. Arrivati a Varano, su un cartello campeggia una scritta: Parco del Conero. Una sosta di una decina di minuti e poi sempre in accentuata salita saliamo a Poggio. Un bel borgo, antico, caratteristico con una splendida veduta sul mare Adriatico. Lungo la strada troviamo un locale che somiglia vagamente a una osteria,
Entriamo, chiedo se si può riempire le borracce d'acqua. Una sonora risata da parte di chi sta dietro il bancone. “Siete saliti fin qui per l'acqua? Fate pure!
Ragazzi, aspettate, bevetevi questi bicchierini di vino! Offre la casa! Qui il vino è sacro.”
Ci sediamo e sorseggiamo con piacere il vino che ci era stato offerto. Mi rendo conto solo in quel momento di quante ore avevamo camminato. Nove ore. Al giorno d’oggi i più, con l’ausilio della tecnologia, sono a calcolare i chilometri percorsi. In quegli anni contavano i tempi: siamo partiti alle, siamo arrivati alle. Un uomo nerboruto si avvicina a Massimo e gli chiede se passiamo lì la notte. Centelliniamo il vino e si decide di passare la notte in quel locale che funge da posto tappa per i pellegrini diretti a Loreto. Ottima scelta,
cibo locale e vino a volontà. Il giorno dopo consumiamo una abbondante colazione, saldiamo il conto e riprendiamo il nostro cammino che fortunatamente si snoda a valle. Non più salite. Siamo nella campagna pianeggiante del Conero, nel bel mezzo del più antico bosco marchigiano. Dobbiamo attraversare un guado del fiume Musone, non mi posso dimenticare il nome perché da lì in avanti, musoni ne abbiamo incontrato molti.
Il sentiero termina vicino alla stazione ferroviaria di Loreto. Siamo arrivati. Non posso crederci, guardo i miei amici, pure loro increduli nel vedere nel vedere quella moltitudine di pellegrini salire i trecento trentatré scalini sulle ginocchia. La chiamano la scala santa. Io la chiamerei la scala dei record. Non avevo mai assistito a una scena simile, canti a squarciagola, inni sacri sciorinati nel loro dialetto. Molti di questi finita la scalinata, messi a pecora baciano il terreno. A noi non rimane che accodarci a debita distanza. In scioltezza affrontiamo la scalinata e giunti in cima uno spettacolo inusuale una veduta ad ampio raggio su tutta la riviera. Aspettiamo in quella bella cornice paesaggistica che il Santuario si svuoti, niente, sembra che chi è entrato non voglia più uscire. Entriamo, proprio in quel momento la frenesia dei pellegrini raggiunge l'eccesso. Usciamo precipitosamente, spintonando chi era sui nostri passi domandandoci dove eravamo finiti. Una fede, che interpretata in quel modo è un insulto ai credenti e a Dio. Tutti e quattro siamo sbigottiti. Non abbiamo parole per descrivere le scene di fanatismo che abbiamo visto. Dal piazzale osserviamo un gruppo di pellegrini guidati da una donna, come mette piede sull’ultimo gradino della scalinata incomincia a gridare a squarciagola: “miracolo! Miracolo! Giorgio sente di nuovo! Miracolo! Quelli al seguito indicano il miracolato, a me sembra che senta molto bene, vedo la sua faccia sorpresa e le gomitate che riceveva dalla donna che continuava a sbraitare. I miracoli li fanno quelli che fanno credere che in quel posto il prodigio può avvenire. Ci è passata pure la fame, entriamo in un baretto, pure lì ci sono una miriade di immagini sacre. Volevo uscire, anche se il sole in candela rendeva torrida la temperatura, desisto e insieme agli altri ordiniamo da bere. Trangugio velocemente la mia birra ed esco, ho voglia di libertà e pure del caldo. Non passa tanto che mi raggiungono pure gli altri. Mi dispiace immensamente non aver potuto visitare la Basilica perché è raro vedere strutture architettoniche di quel tipo, più che a un luogo sacro somiglia a una fortezza. Peccato. Me ne faccio una ragione. Imbocchiamo una stradina, una indicazione: “Piazza della Madonna” centro artistico monumentale della città. Lo raggiungiamo, l’aspetto monumentale è di gran pregio, ci perdiamo tra quei monumenti che evocano la storia di altri tempi. Stona con quella ricchezza artistica il contorno. Banchetti con esposte immagini sacre, santini, crocefissi e quant'altro di quel genere. Acquistiamo solo i biglietti del pullman che alle diciotto parte diretto ad Ancona. Lì passiamo la notte e il mattino seguente direzione Parma. Ci fermiamo e passiamo la notte da Colomba. Ognuno di noi questa volta aveva una camera singola a propria disposizione. Nella mia, un letto a una piazza e mezza che nel corso della notte diventa a una per la presenza ingombrante di Colomba che si infila senza chiedermene il permesso sotto le lenzuola. Prima che inizi la danza mando un saluto vocale a Loreto: A MAI PIU'. Colomba mi guarda perplessa. Il giorno successivo rientriamo. Cosa mi ha regalato questa vacanza? Me lo domando sempre quando rientro e annoto. Questa mi ha regalato le immagini espresse dalla natura, le opere architettoniche, quelle monumentali, la compagnia dei miei compagni di viaggio e quel benedetto diavolo di donna, Colomba. Quello che mi ha colpito in negativo, almeno per me che sono credente ma non osservante di nessuna confessione religione è che a Loreto tutto si muove sull’aspetto emotivo portato all’esasperazione. Questo non mi tocca nel profondo perché con Dio ho il privilegio di parlare senza intermediari, per la Chiesa cattolica è un problema ben più serio perché ha permesso che queste manifestazioni isteriche di fede abbiano attecchito al suo interno. Io continuo a viaggiare, a inerpicarmi per i monti e il mio pensiero mentre affronto la fatica per la meta da raggiungere è il mio dono al contesto meraviglioso della natura.



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Racconto scritto il 16/03/2024 - 17:19
Da Francesco Rossi
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