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La bellezza del gesto

La bellezza del gesto


“Ancora un tornante… seguito da un tratto rettilineo… poi una curva e, finalmente, un po’ di discesa”, pensava, ansimando, tenendo lo sguardo fisso sulla ruota posteriore della bicicletta che lo precedeva.
“Ce l’ho fatta! Ora devo cercare di recuperare le forze prima dell’ultimo strappo… questa volta non ti mollerò, e in cima ti aprirò il mio cuore”, rifletteva una volta raggiunto il breve falsopiano che, tendendo a scendere lievemente, gli permise, rimanendo costantemente nella scia di chi lo precedeva, di arrestare la pedalata e rilassare le gambe.
Fu un sollievo assai breve. Poco più di un chilometro e iniziò l’ultima serie di tornanti che conducevano al Passo.
Affascinato, stringendo i denti per non staccarsi, ammirava la pedalata leggera di Laura che saliva il nastro d’asfalto in forte pendenza senza sforzo apparente, alzandosi sui pedali ad intervalli regolari: gli sembrava di vederla danzare insieme alla bicicletta durante quei tratti in fuori sella.
A quale genere di ballo paragonare quel giocare con la bicicletta, sbattendola da una parte all’altra tra le, brevi, gambe arcuate? Visto l’amore viscerale che nutriva per il suo “tecnologico cavallo”, opterei per un tango.


Seguendola con la vista appannata dallo sforzo, abbarbicato con le unghie e con i denti a quello che per lui si stava trasformando in uno strumento di tortura, Luca immaginò di vederla levitare. E la fatica muta gli rammentò il pensiero che gli sovvenne la prima volta che, incontrandola su quelle stesse strade, aveva tentato d’inseguire quel danzar leggero sui pedali.


Di primo acchito aveva pensato al volo leggiadro della libellula; poi, riflettendo sul fisico poco aggraziato, aveva modificato il suo giudizio in un modo che poteva sembrare cattivo. “Osservando la struttura fisica non dovrebbe andare così forte, ma come il calabrone che vola infischiandosene di quello che dice la scienza, lei pigia quasi eterea sui pedali e se ne va”, ma davvero non lo aveva inteso con cattiveria, tutt’altro.
Fin da bambino Luca era rimasto affascinato dal volo del calabrone e, paragonandola all’insetto da lui tanto ammirato, aveva espresso tutto il suo amore per la bellezza del gesto.


«Finalmente!» esclamò Luca, ansimando piegato in due sul telaio con i gomiti appoggiati al manubrio e la testa ciondoloni, mentre cercava di recuperare una respirazione normale.
Per la prima volta dal giorno che l’aveva incontrata era riuscito ad arrivare in vetta incollato alla ruota posteriore della bicicletta di Laura. Inorgoglito ed eccitato per l’epica impresa, si sentì finalmente pronto per disvelarle tutto il suo amore. Alzò la testa e ruotando lo sguardo la cercò.
Un moto di delusione lo colse, guardandola avvicinarsi a piedi dopo che aveva appoggiato la bicicletta accanto al cartello stradale del Passo Gardena.
Del gesto regale ed etereo con il quale poco prima saliva il Passo, non v’era rimasta traccia. Una ragazza alta poco meno di un metro e venti centimetri, affetta da nanismo, certamente non aiutata dagli scarpini da ciclista, si avvicinava con andatura poco elegante.
Un cavaliere medioevale bardato dalla sua pesante e lucente armatura, splendido da osservare in groppa al suo destriero, ma goffo e impacciato una volta sceso a terra; questo vide in lei. E le certezze espresse poc’anzi vacillarono.
«Datti una mossa, Luca! Dobbiamo scendere in fretta se vogliamo arrivare sul Campolongo prima di mezzogiorno!» lo spronò Laura, inserendosi nel mezzo del suo esitare.
Luca non ebbe nemmeno il tempo di replicare. Vedendola saltare sulla bicicletta e buttarsi a capofitto lungo la discesa, senza tentennare oltre con un colpo secco di pedale prese l’abbrivio e la seguì come un’ombra.
Se in salita era un angelo, Laura in discesa era un vero diavolo scatenato. Acquistando una velocità pazzesca nei lunghi rettifili, tagliava i tornanti frenando all’ultimo istante, superando senza esitazione ciclisti, auto e persino moto.
L’impaurito Luca, dopo i primi tornanti iniziò a perdere progressivamente terreno. Quella discesa a “tomba aperta” gli fece ben presto dimenticare la delusione provata poco prima quando, in cima al Passo, disarcionata dal suo destriero le si era mostrata nella sua cruda realtà.
Ammirato la vide allontanarsi sempre più. E allora, la bellezza del gesto rinnovò il desiderio di esprimerle compiutamente il proprio amore.


Laura attese Luca in fondo alla discesa e subito dopo ripartì.
Iniziarono a salire il Passo in modo meno frenetico, riuscendo a scambiare anche qualche impressione sulle maestose vette che rapivano i loro sguardi. Poi Laura, com’era solito fare, aumentò progressivamente l’andatura, e la parola cedette il posto all’ansimare.
“Vederla pedalare allarga il cuore. Vorrei che questi momenti non finissero mai… devo trovare il coraggio di dichiararmi… lo farò più avanti, dove ci siamo incontrati la prima volta: in cima al Pordoi”, rifletteva, osservandola danzare lieve sui pedali.
Chissà se ce l’avrebbe fatta, se questa volta la bellezza del gesto sarebbe riuscita a mutare l’infatuazione in amore vero e profondo nei confronti di una ragazza, certamente non bella fisicamente, conosciuta sei settimane prima su quelle stesse strade, per la quale stava facendo delle vere e proprie follie.


Ogni domenica partiva alle sei del mattino e, dopo essersi sobbarcato quasi tre ore di macchina, aspettava sulla strada appena fuori da Ortisei di vedere arrivare da valle quella ragazza, così piccola e minuta che pareva incassata nel telaio della bicicletta; basti pensare che la ruota posteriore dava l’impressione di sovrastare la schiena fin quasi a fondersi con lo zainetto che portava sulle spalle.
Sicuramente Luca, dall’alto del suo metro e ottanta, faceva tutt’altra figura: la bicicletta, più che un mezzo di locomozione ad energia umana, sembrava un vestito cucitogli addosso da un grande sarto.
Questo a bocce ferme, perché una volta in movimento la prospettiva cambiava completamente; mentre la pedalata di lei incantava per scioltezza e levità, sarebbe stato obiettivamente difficile affermare altrettanto per quella legnosa e pesante di lui.
Luca era sicuramente un bel ragazzo e aveva avuto altre storie. Laura, invece, almeno secondo i canoni correnti della bellezza, non lo era altrettanto e l’unico conforto alla solitudine era la passione viscerale per il ciclismo: la bicicletta si poteva considerare il suo unico amore.
Avrebbero mai potuto fare coppia due soggetti agli antipodi?
Davanti a loro, i trentatré tornanti del Pordoi e, là in alto, la risposta a tutti i quesiti.


Al trentunesimo tornante, con il Passo oramai alle viste, Luca mollò la presa. Esausto, con i muscoli che urlavano dal dolore, la vide guadagnare metro dopo metro e allontanarsi, lentamente ma inesorabilmente.
Laura proseguì imperterrita arrestandosi solamente in cima al Passo, dove attese Luca per confortarlo. «Bravo! Per la prima volta hai beccato meno di un minuto, stai migliorando!» gridò, sorridendogli, mentre lui le transitava davanti.
Luca non rispose e nemmeno si fermò, ma proseguì e iniziando a scendere lentamente cercò di recuperare forze e battito regolare.
Lei balzò in sella e lo seguì. «Scendiamo fino al primo tornante», disse sfilandogli accanto.
Lui annuì.
Laura, seguita come un’ombra da Luca, dopo il primo tornante in discesa svoltò a destra, si fermò in uno slargo all’esterno della careggiata, adagiò la bicicletta nel prato, sfilò lo zainetto dalle spalle e dopo essersi seduta sopra uno sperone di roccia ne trasse un panino.
Luca mise i piedi a terra e rimase cavalcioni alla bicicletta rintronato dalla fatica.
«Vieni a sederti», lo invitò Laura, mentre estraeva un altro panino e glielo porgeva.
Dopo aver dato un paio di morsi al panino ed essersi guardato un po’ attorno, Luca si decise finalmente a parlare: «Non scenderei più da questi monti, passerei la mia vita a far su e giù da questi Passi insieme a te».
Laura non colse e, nervosamente, diede un altro morso al panino.
«Hai sentito cosa ho detto?» insistette Luca, rabbuiandosi.
Laura, osservata con sguardo attonito da Luca, finì di mangiare il panino. Poi chiuse lo zainetto, lo rimise sulle spalle e si alzò, dicendo: «Si è fatto tardi e dobbiamo scalare ancora il Sella. E’ meglio sbrigarsi!»
Luca la trattenne, afferrandola per un braccio. «Aspetta!» esclamò, oramai deciso ad andare fino in fondo.
«Che cosa vuoi?» gli chiese, sconcertata.
«Siediti un momento. Devo parlarti… ti prego», rispose, usando un tono dolce.
Laura sbuffò e si sedette sulla roccia, esclamando con voce gelida: «Sbrigati, dobbiamo andare!»
Luca raccolse un attimo i pensieri, poi partì deciso: «Rispondimi sinceramente: cosa rappresento per te?»
Laura non si fece cogliere impreparata. «Un buon amico, un piacevole compagno con cui condividere la stessa passione.»
«Tutto qui?» fece, deluso.
«E ti pare poco? Sei il primo uomo a cui lo sto dicendo!» rispose piccata.
«Ti ringrazio per questo… ma io, vorrei qualcosa di più.»
«Ti prego, non rovinare tutto, lasciamo le cose come stanno», ribatté in tono supplichevole.
Luca era andato oramai troppo oltre per fermarsi. «Non posso… Io ti amo… e sono sicuro che mi ami anche tu…»
«Ti stai sbagliando!» lo interruppe bruscamente lei, volgendo lo sguardo dall’altra parte.
«Se è così, dimmelo guardandomi negli occhi», insistette Luca, sempre più convinto delle sue ragioni.
Laura rimase in silenzio, continuando a vagare con lo sguardo lungo la vallata stando bene attenta a non incrociare quello di Luca.
«Non lo puoi fare. Il tuo silenzio vale più di mille risposte», concluse Luca, soddisfatto.
Laura, voltandosi di scatto lo fulminò con uno sguardo duro e, usando un tono d’ugual tenore, lo aggredì: «Tu scambi l’amore con il gioco…»
«Ma che diavolo stai dicendo! Io ti sto dichiarando il mio amore e tu… e tu… e tu butti tutto in nulla… in un gioco. Svegliati Laura! Non siamo più bambini, il tempo dei giochi per noi è finito!» la interruppe, redarguendola duramente.
Laura sospirò, poi usando un tono pacato replicò: «E’ vero, non siamo più bambini, ma qualcosa di quei giorni ci è rimasto addosso. Per esempio la voglia di giocare a rincorrerci su queste strade. Tu credi di amarmi; e forse qui, dentro il nostro parco giochi, mi ami veramente. Ma la vita non è questa, non solo questa. L’altra, quella più importante, la viviamo fuori dal nostro parco giochi. E lì, nonostante la tua buona volontà non riusciresti ad amarmi… Prova a immaginare per un attimo come mi vedresti vestita da signora, accanto a te, mentre sotto gli sguardi irridenti dei compaesani attraversiamo la piazza per recarci a messa… E se anche per ipotesi riuscissimo a superare questo e altri ostacoli, ne resterebbe sempre uno insormontabile.»
«Quale sarebbe?»
«L’intimità!»
«L’intimità?» ripeté Luca.
«Sì, la nostra intimità. L’amore è fatto anche di questo. Già m’immagino con quale sguardo pietoso osserveresti il mio corpo nudo steso sul letto… in quei momenti», rispose Laura con voce increspata, abbassando lo sguardo.
«Finiscila di fustigarti da sola! Io ti guarderei con orgoglio. Perché in te vedrei sempre la donna che ho amato su queste strade», intervenne con tono suadente Luca, provando a confortarla.
«Appunto! Su queste strade. Nel nostro parco giochi. Qui dentro torniamo bambini, dimentichiamo le miserie della vita, ci crogioliamo nella bellezza del gesto atletico, ci riempiamo gli occhi della bellezza che ci circonda… ma una volta fuori dal parco giochi, torniamo grandi. E l’incantesimo finisce lì… Devi fartene una ragione; non esiste, nella vita di tutti i giorni, un posto dove coltivare il nostro amore», replicò con voce commossa.
Luca scosse il capo. «Hai ragione, la vita non è un parco giochi. La vita va affrontata a testa alta, senza temere i giudizi, anche cattivi, degli altri. Abbi il coraggio di uscire dal tuo parco giochi, affronta la vita accanto a me; ci aiuteremo l’un l’altro e supereremo insieme tutti gli ostacoli.»
Laura si alzò, tirando un lungo respiro provò a mandare indietro il magone. «Lascia perdere! E’ tardi, andiamo!» ribatté seccamente, afferrando la bicicletta.
«Ti rifiuti di capire. Promettimi almeno che ci penserai.»
«Se ti fa piacere… ti prometto che ci penserò!» rispose con distacco.
«Dammi almeno il numero del tuo cellulare, in modo che ti possa parlare», la pregò Luca.
«Lo sai benissimo, fin dal primo giorno che ci siamo conosciuti, che non lascio a nessuno il mio cellulare!»
«Ma fra poco più di un mese arriverà il freddo, dovrò aspettare la prossima primavera per rivederti?» insistette Luca in tono accorato.
«Forse è meglio così. L’inverno sistemerà le cose, e tutto tornerà come deve essere», rispose con fatalismo Laura, mentre saliva in bicicletta.
«No, non andrà così…»
«Ti prego, ora basta, mi stai facendo del male!» lo interruppe bruscamente Laura, con gli occhi lucidi.
«Come vuoi, andiamo pure. Ma non pensare che mi arrenda. Mentre saliamo il Sella, cerca di elaborare una risposta convincente per spiegarmi perché non ci possiamo amare, perché se non lo farai, io ti seguirò fino a casa tua!» concluse Luca, prendendo la bicicletta da terra.


Dopo pochi tornanti, affrontati come al solito a velocità folle, guardando in alto vide Luca oramai irrimediabilmente staccato. «Addio, amore… è troppo difficile la vita fuori dal nostro parco giochi», disse con voce rotta, mentre calde lacrime, sospinte dal vento della corsa, le rigavano il volto.
Luca giunse in fondo alla discesa e non trovando Laura ad aspettarlo si allarmò. Alzò lo sguardo e la vide, duecento metri più avanti, impegnata ad affrontare l’ultima e più dura salita.
Ebbe appena il tempo di ammirare per l’ultima volta la bellezza del gesto. Poi la vide sparire dietro una curva e comprese; lei non lo avrebbe atteso in cima al Passo, la sua fuga sarebbe continuata anche oltre: avrebbe lasciato alle spalle anche l’amore.


Luca non volle arrendersi all’evidenza, sperando in un improbabile ravvedimento tornò su quelle strade altre volte, fintanto che le condizioni climatiche glielo permisero. Ma di Laura si erano oramai perse le tracce.


Lei per giocare scelse altre strade, sempre arcigne ma prive del ricordo di un amore respinto per la paura di affrontare la vita. E da quel giorno, il silenzio, la fatica e la solitudine furono i soli compagni di viaggio con cui accettò di condividere la sua passione.


Luca tornò alla vita di sempre. Il volto di Laura con il ripetersi delle stagioni divenne un ricordo sbiadito nel tempo. L’unica cosa che gli rimase ben impressa nella mente, fu quel danzare lieve sui pedali che affascinò il suo sguardo e gli rapì il cuore.
E allora comprese che Laura aveva ragione: il loro rapporto non sarebbe durato a lungo fuori dal loro parco giochi. E non per la cattiveria della gente o per le difficoltà mentali nell’intimità di coppia, ma perché quel che veramente aveva amato fu la bellezza del gesto: alchimia irripetibile fuori da quel magico contesto.


FINE




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Opera scritta il 30/11/2018 - 16:22
Da vecchio scarpone
Letta n.938 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Una storia d'amore e pedali... o d'amore per i pedali? Ti ringrazio.
Ciao Barbara.
Giancarlo

vecchio scarpone 01/12/2018 - 16:57

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Un Racconto piacevole complimenti

Barbara Lai 01/12/2018 - 11:59

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questo racconto l'ho immaginato quattro anni fa, pedalando sulle strade che ho descritto. Affaticato e meravigliato nel vedermi superare da uno scricciolo, una ragazza che pareva non sentire la catena, tanto andava agile mulinando le corte gambe. Ecco si può dire che la fascinazione dal gesto atletico mi ha ispirato questa storia... io dico d'amore per la bicicletta, per la montagna e, innfine, anche dell'amore narrato nel racconto, tra due ragazzi che sarebbe potuto nascere sono in quel luogo magico e morire appena i due protagonisti lo avrebbero lasciato. Ti ringrazio.
Ciao Paola... amica di penna... e di pedivella.
Giancarlo

vecchio scarpone 30/11/2018 - 20:54

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Un bel racconto che ho letto piacevolmente. Un sogno d'amore rimasto tale, vissuto in sella ad una bici.
Ma il cuore delle donne sa sempre dove svoltare...
Delicato con una punta di amarezza finale.
Bravo Giancarlo, un caro saluto

PAOLA SALZANO 30/11/2018 - 17:55

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