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L'ORA DELLA CENA

Il covo dei fratelli Smith era un piccolo spazio situato in mezzo al bosco di Forster, quasi nessuno sapeva il punto preciso nel quale si trovava e questo era uno dei tanti motivi per il quale il loro cognome era invaso da un senso di mistero e indugio, ma anche di curiosità. Vivevano tutti in una baracca: le serrande quasi sempre chiuse, che non lasciavano passare la luce penetrante e luminosa del sole a mezzogiorno, il tetto in certi punti scoperto dal quale cadevano delle goccioline fresche di pioggia e rugiada, e le mura in sasso grigio, freddo e cupo. Il signor James Smith, che era il fratello maggiore, destinato a proteggere i suoi compagni, era seduto sulla sua poltrona in pelle nera all’interno del suo studio, mentre era immerso nella lettura del giornale locale. L’aria all’interno della stanza era quasi soffocante, ma lui non ci fece caso, era una persona molto perbene, sempre ben vestita e che aveva una cravatta diversa per ogni occasione. C’era poi Dylan, il classico sbruffone appartenente ad una gang, qualsiasi cosa tu dica, lui ha sempre pronta la battuta. Si trovava ora in salotto, mentre leggeva uno dei più classici fumetti: topolino. Al gruppo non poteva mancare Rodge, colui che combatteva senza indugiare e che gli altri fratelli definivano duro e burbero, anche se sotto la sua massa muscolare nascondeva molta dolcezza, quasi pari a quella di un cagnolino; L’ultima, ma non meno importante era Debora, la rosa del gruppo, la negoziatrice, intelligente, giovane e bella ragazza: i capelli scuri che le ricadevano lungo la schiena e gli occhi chiari, simbolo classico della famiglia. Mentre nella casa riecheggiava il silenzio, la sera stava penetrando nell’aria, la luna iniziava a prendere il posto del sole e per molti abitanti della cittadina era arrivato il momento di preparare la cena, per poi sedersi sul divano e godersi un film fantasy o poliziesco. Queste cose, da comuni cittadini, non accadevano però nella Forster Forest, infatti il lavoro dei quattro fratelli era appena iniziato… James chiamò tutti nel salotto riscaldato dal fuoco scoppiettante del caminetto: Deborah smise di cucire la calzamaglia, Rodge interruppe il suo allenamento di boxe e, per finire, Dylan tra uno sbuffo e l’altro chiuse in modo brusco il fumetto che aveva tra le mani. “Allora ragazzi, la sera sta giungendo ed è arrivato il momento di iniziare ad indagare sui fatti avvenuti durante questa terribile giornata d’autunno…” Tutti sembravano ascoltare il fratello maggiore che proseguì: “Secondo il giornale che ho appena letto, questa mattina la signora Burcklin Elisabeth è deceduta nel suo alloggio a causa di un arresto cardiaco… all’una il negozietto del paese è stato derubato e… provate ad indovinare…” “Hanno preso dei petardi.” disse prontamente Deborah, che aveva sempre la risposta in mano. “Esatto cara sorellina. E’ il terzo giorno consecutivo nel quale avviene un furto di questo genere, dobbiamo trovare il colpevole…” dopo questa affermazione fece una breve pausa per poi proseguire con l’ultimo fatto della giornata: “Per finire, il signor Mark Blood è stato arrestato con l’accusa di omicidio colposo avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 Ottobre.” “Chi è la vittima?” chiese Rodge. Il capo dei fratelli che sembrava sempre essere sicuro di sé non disse nulla per circa trenta secondi. “I più lunghi trenta secondi della mia vita…” pensò Dylan. Poi parlò: “La vittima è papà.” Il signor Pedlenton Smith era un importante agente dell’FBI, fu stato cacciato dalla compagnia con l’accusa di non aver protetto i segreti di lavoro. Da quel giorno disse ai suoi figli che avrebbero dovuto indagare su tutti gli omicidi commessi nella cittadina a fianco della foresta, compreso il suo, che era sicuro, sarebbe avvenuto. E così fu. Pedlenton Smith era morto e ora i suoi figli, arrabbiati e tristi per il decesso avvenuto così ingiustamente, erano pronti ad indagare. “Allora ragazzi, ho osservato tutti gli spostamenti di Mark Blood e nessuno corrisponde a quelli fatti da papà quel giorno… quindi le opzioni sono due: o papà alla sera quando ci ha chiamato ha mentito oppure Mark sta proteggendo qualcuno e io voglio sapere chi è…” “Non abbiamo nessuna prova capo.” Disse Rodge. A quel punto Dylan battè un pugno serrato sul tavolo che provocò un grande tonfo: “Perché ci preoccupiamo così tanto? Papà non è mai stato presente, non si preoccupava nemmeno di dove vivevamo… torno a leggere.” “Non è il momento dei tuoi scherzi ragazzino. Questa è una faccenda seria.” Disse la voce severa di Deborah. A quel punto scoppiò una lite furiosa, formata principalmente da parole: urla, insulti e moltissime sillabe incomprensibili pronunciate dalla bocca dei fratelli vennero a galla, James era l’unico a rimanere calmo. Andò quindi nel suo studio, prese un respiro. Osservò la pioggia scrosciante che aveva iniziato a cadere dal cielo e che stava formando una bellissima danza triste. Poi si sedette al tavolo e decise che avrebbe aspettato che la lite avesse una fine. Dopo cinque minuti esatti Deborah entrò nello studio senza bussare e disse, con una voce tuonante e ricca di mistero: “E se la morte delle persone che hai citato prima siano collegate a quella di papà?”. James fece accomodare la sorella, senza dire una parola. Si guardarono negli occhi: quelli della ragazza chiari e vivi scrutavano quelli del fratello grigi e un po’ spenti. Si parlarono con lo sguardo, lo sguardo che solamente due fratelli sanno riconoscere, lo sguardo di un’intesa senza contatto fisico, ma psicologico. I due si chiusero nella stanza e da quel momento nessuno, nemmeno i due fratelli guerrieri seppero quello che stavano facendo. Stavano indagando? Forse. Parlavano di affari personali? Forse. Le incertezze iniziarono a culminare la testa dei due lottatori che ad un tratto si fermarono. Videro Deborah e James sbucare dall’uscio della porta dicendo che avevano scoperto tutto, ma che la teoria era molto complicata da spiegare, che ci sarebbe voluto del tempo e che avrebbero continuato il giorno seguente. Nel mentre l’antico televisore posto sul mobiletto in legno del salotto diede la fatidica notizia: Mark Blood mente. Sta proteggendo qualcuno. La sua vita è in pericolo. Seduti sul divano, ognuno nella propria posizione, ognuno immerso nei propri pensieri i quattro fratelli pensavano a quello che gli sarebbe capitato nei giorni seguenti, nelle notti seguenti. Diverso. Normale. Spavaldo. Realista. Erano questi gli aggettivi che li definivano maggiormente, ma anche se diversi erano legati da un legame invisibile all’occhio umano. “Allora, fratelli. Secondo noi papà non è stato ucciso, secondo noi è lui il ricattatore, colui che vuole uccidere Mark Blood che era un suo compagno dell’FBI. Secondo i suoi spostamenti è stato infatti a casa della signora Brooklyn. Non lo sappiamo ancora, ma dobbiamo iniziare ad indagare l’indomani, al sorgere dell’alba. Se papà vuole farci credere che è morto allora significa che ha in mente qualcosa di crudele.” “Come facciamo a sapere che non è deceduto veramente?” Disse Dylan che aveva finalmente deciso di contribuire all’indagine. “Il corpo non è stato trovato.” Rispose prontamente Deborah. James mostrò per finire ai fratelli i loro ragionamenti, tutti gli schemi della presunta morte e tutti gli spostamenti fatti da loro padre in quella notte decisiva. Tutti avevano ora sul viso facce perplesse, ma anche piene di riconoscimento nei confronti dei fratelli maggiori. Il silenzio riecheggiava nuovamente nella stanza, il sapere che Deborah e James avevano ragione, sembrava spaventare sia loro che gli altri due fratelli, appena venuti a conoscenza della teoria dei più grandi. Nel mentre, nella sua cella, Mark Blood giocava una partita a scacchi: l’uomo che lo aveva minacciato era libero, e lo stava cercando… Tutti, compresi le persone decedute in quella terribile giornata d’autunno erano consapevoli dei fatti che stavano accadendo, delle prove che la vita ogni giorno offriva loro davanti. I fratelli Smith avrebbero risolto sicuramente il caso della morte di loro padre, la mattina seguente si sarebbero svegliati pieni di idee, ma ora la loro mente era invasa da un senso di mistero e tristezza. Si sentivano colpevoli anche se non avevano premuto il grilletto. Il caso Smith era appena stato aperto, il vaso della ricerca stava traboccando di pensieri diversi, ma uniti. Dopo venti minuti di silenzio tombale e misterioso James disse: “E’ arrivato il momento di preparare la cena.”



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Racconto scritto il 27/05/2020 - 09:03
Da Eleonora Bassi
Letta n.735 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Grazie mille, La prossima volta proverò a migliorare!

Eleonora Bassi 28/05/2020 - 18:48

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Eleonora in effetti c’è una mescolanza di idee che creano confusione e si fa fatica a seguire il filo logico del racconto, io almeno ho fatto fatica a seguire la trama e ho dovuto rileggere più d’una volta per poter comprenderne il significato. Chi ti legge è ignaro di ciò che tu vuoi descrivere e dovresti farlo entrare tu con chiarezza e semplicità nel contesto di ciò che vuoi raccontare. Ameno secondo me.

Maria Luisa Bandiera 28/05/2020 - 17:33

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Riguardo a questo racconto ho ricevuto una critica che parlava di un intreccio contorto. Ho deciso di pubblicarlo per capire cosa ne pensate e anche come, nel caso fosse così, posso migliorare. Grazie a tutti.

Eleonora Bassi 27/05/2020 - 23:27

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