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Tutto ebbe inizio. Capitolo 2

Chiusi la porta pervaso da una sensazione di libertà, fuori il mondo era tutta un'altra storia, l'aria del tardo pomeriggio era fresca, la cosa più bella che si potesse respirare. Dopo poche decine di metri quel pesante senso di oppressione sembrava svanire, anche uno che come me provava piacere nello stare solo, ogni tanto sentiva il bisogno di passare una serata con gli amici.
Con un gesto compulsivo che ripetevo ogni volta che uscivo da casa, toccai le tasche dei jeans.
“Cavolo ho lasciato le chiavi in casa”.
Non esitai a tornare indietro per prenderle, non sapevo a che ora sarei rientrato, e non volevo che mia madre si svegliasse per aprirmi. Feci il gesto di suonare il campanello e improvvisamente fui pervaso da una strana sensazione simile a quella che si ha quando si rivive un déjà-vu. La porta di casa era aperta,
“eppure ero certo di averla chiusa"
potevo ancora sentirne il rumore che fece sbattendo sullo stipite.
“Forse sto ancora dormendo” pensai scuotendo la testa.
Scostai l’uscio presi le chiavi ancora appoggiate sul tavolino dell’ingresso e uscii velocemente. Fuori non c'era anima viva, solo il ronzio della falegnameria in fondo alla strada dava una parvenza di vita. La macchina di Tod, il mio vicino era nel vialetto, finalmente lo trovavo a casa, erano mesi che dovevo restituirgli quel disco. Suonai il campanello ma non rispose nessuno, provai a suonare di nuovo ma niente, eppure la sua macchina era lì, doveva per forza essere in casa pensai, magari stava facendo una doccia. Decisi quindi di avviarmi verso il parco, il luogo dove fin dall’infanzia passavo le giornate con gli amici, ero contento di rivederli e condividere con loro l’emozionante avventura che avevo appena vissuto. Mentre camminavo nella mia testa suonavano ancora le note di “Wish You Were Here” dei Pink Floyd che mi tenne compagnia per tutto il tragitto. Attraversai la strada principale e nella mia mente, la musica inizio a lasciare il posto al surreale silenzio che stranamente riempiva l'aria. Nessuna voce, nessun rumore, neanche il solito abbaiare del cane che ogni volta che passavo davanti al suo cancello mi faceva saltare in aria dallo spavento. Benché irreale quella atmosfera calma e silenziosa aveva in che di piacevole. Passai davanti al Sheraton pub, che normalmente a quell’ ora era frequentatissimo ma in quel momento non c’era anima viva, la cosa mi parve da subito alquanto strana, provai perciò ad affacciarmi all’interno ma con mia sorpresa non c’era nessuno nemmeno il personale.
“Cosa sta succedendo?”
Mentre dormivo mi ero forse perso qualcosa?
Uno strano senso di inquietudine cominciò a risalire il mio corpo come un brivido, accelerai il passo guardandomi freneticamente attorno, come a voler trovare anche il più piccolo movimento ma inutilmente, sembrava non esserci anima viva.
“O è un bruttissimo sogno” pensai “o è lo scenario dello scherzo del secolo”, e man mano che camminavo l’inquietudine si trasformo in un misto di tensione e angoscia.
“No non può essere” continuavo a ripetermi, “queste cose nella realtà non succedono, ora chiudo gli occhi e quando gli avrò riaperti tutto sarà normale”
Con gli occhi ancora chiusi, sentivo l’agghiacciante silenzio fare da padrone, come se il nulla si fosse impossessato di quel posto. Urlai con quanto più fiato avevo in gola come a voler interrompere l'incubo in cui ero stato inghiottito. Fu in quel momento che come un flash improvviso mi venne in mente mia madre, sola in casa, intenta a stirare, presi il telefono dalla tasca, la chiamai ma non rispose, continuai a chiamarla mentre tornavo correndo da lei senza risultato. Tentennai per un attimo soltanto al rosso del semaforo, quasi a sperare di sentire lo stridere delle gomme sull'asfalto caldo, ma niente nemmeno il rumore di un auto in lontananza. Continuai a correre e in pochi minuti arrivai davanti alla porta di casa, un brivido scese lungo la schiena, il cuore mi batteva così forte che sentivo solo il suo rumore, esitai un attimo, la mano tremava a tal punto che non riuscivo a infilare la chiave per aprire la porta, feci un respiro profondo, presi coraggio ed entrai. La porta della camera era appena socchiusa, come la lasciai quando uscii, il ferro da stiro ancora acceso emetteva gli ultimi sbuffi di vapore, senza fiatare guardai in tutte le stanze ma lei non c’era, la chiamai con il terribile presentimento che non mi avrebbe risposto e purtroppo fu così. Fu in quell’istante che iniziai a temere che nulla sarebbe stato uguale a prima.



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Racconto scritto il 18/09/2020 - 23:10
Da Cristiano Pili
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