Il ponte
Ero davanti la porta, esitante.
Il tempo sembrava si fosse fermato.
In fin dei conti cosa mai sarebbe potuto succedermi.
Sentii chiaramente la sua voce profonda e il gelo come fosse lì davanti.
Sei metri.
Quelli che separavano il legno massello dell’accesso alla scrivania in mogano, ma sembravano molti di più. L’arredamento raffinato e ricercato, i toni dominanti, rosso e indaco, lasciavano poco spazio all’accoglienza.
Regnava il silenzio e l’unico rumore erano i miei passi titubanti, mentre mi avvicinavo.
Fuori era già buio e l’unica luce in quella stanza proveniva dalla lampada ministeriale in ottone con il paralume nero.
Lo intravedevo, seduto comodo alla sua poltrona. Elegante in doppiopetto, la faccia accesa e quegli speroni sulla testa, che mi erano sfuggiti.
In effetti l’avevo incrociato solo un paio di volte, sempre attorniato da lacchè che lo nascondevano alla vista e certi dettagli, proprio, non avrei potuto notarli.
Immobile mi stava aspettando. Fumava con boccate lente e regolari.
Il fumo si diffondeva nella stanza, l’odore era acre, sgradevole, soffocandomi in una morsa nauseabonda.
Raggiunsi la scrivania, lo salutai con deferenza, rimanendo in piedi con l’ingombro delle mani.
Mi fece cenno di sedere. Fu la sigaretta a indicarmi la sedia sulla mia sinistra.
Scomoda e rovente.
Non perse tempo nei convenevoli.
“Qual è il tuo obbiettivo di questo semestre, 17112?”.
Già, quel 17112 ero proprio io. Eravamo letteralmente numeri. Un modo semplice per non confonderci.
Era l’ultimo giorno del semestre, il resoconto della mia prestazione sarebbe stato inqualificabile.
L’avevo messo in preventivo, ma fino all’ultimo avevo sperato fossi lì per altro.
Tutto quello che avessi fatto in precedenza era insignificante.
La nostra società era la migliore in assoluto e non cincischiava su questi intolleranti aspetti.
Non ci sarebbe stata indulgenza. Cominciavo a bramare una punizione severa.
“666”. Una risposta secca ed essenziale. Non riuscii a dire altro, senza intercalare, senza tergiversare.
“666 cosa?”.
Intravidi quella faccia rossa incendiarsi, gli occhi come due tizzoni, la sua coda spuntò dalla scrivania iniziando a sbattere furiosa.
Ero riuscito a farlo infuriare.
“Anime, anime. Dovevo conquistare 666 anime”. Fui più umile e mortificato che potessi.
“Invece a quante sei arrivato…17112?”. C’era del sadico sarcasmo, lo sentivo dal tono della voce e nessuna clemenza.
“616...signore”.
Un numero che non sarebbe stato sufficiente neanche per temporeggiare.
Qualsiasi altra cosa avessi detto sarebbe stata inutile e così feci. Rimasi in silenzio.
Esalò con vigore il fumo dalle narici e come fosse un segnale la porta si aprì. Un dannato qualsiasi. Sporco, arido, vile, con un sorriso sghembo e tracotante...
È in questo punto che mi sveglio.
Qualche secondo da idiota, prima d'immergermi nell'affanno.
Quando mi presentai, non capii neppure dove fossi.
In quel caos delirante furono proprio i miei trascorsi che diventarono merito e fui scelto per questo lavoro.
L'ambizione nella soddisfazione dell’azienda, gli obbiettivi strategici, operativi e di numeri erano una missione per il team di cui facevo parte.
Stentai un po' a indossare quel vestito, ma in fondo non fu neanche chissà che difficile.
Con pigra piaggeria mi destreggiavo nel sgretolare le convinzioni di uomini in buona fede, per poi divorare quelle pecore smarrite, ma era sempre più faticoso.
Cazzo come lo era.
Dormivo male, poco, confondendo sogno e realtà.
Da quanto tempo ero lì? Non me lo ricordavo neanche più, sembrava un’eternità.
Un vero inferno.
Il tempo sembrava si fosse fermato.
In fin dei conti cosa mai sarebbe potuto succedermi.
Sentii chiaramente la sua voce profonda e il gelo come fosse lì davanti.
Sei metri.
Quelli che separavano il legno massello dell’accesso alla scrivania in mogano, ma sembravano molti di più. L’arredamento raffinato e ricercato, i toni dominanti, rosso e indaco, lasciavano poco spazio all’accoglienza.
Regnava il silenzio e l’unico rumore erano i miei passi titubanti, mentre mi avvicinavo.
Fuori era già buio e l’unica luce in quella stanza proveniva dalla lampada ministeriale in ottone con il paralume nero.
Lo intravedevo, seduto comodo alla sua poltrona. Elegante in doppiopetto, la faccia accesa e quegli speroni sulla testa, che mi erano sfuggiti.
In effetti l’avevo incrociato solo un paio di volte, sempre attorniato da lacchè che lo nascondevano alla vista e certi dettagli, proprio, non avrei potuto notarli.
Immobile mi stava aspettando. Fumava con boccate lente e regolari.
Il fumo si diffondeva nella stanza, l’odore era acre, sgradevole, soffocandomi in una morsa nauseabonda.
Raggiunsi la scrivania, lo salutai con deferenza, rimanendo in piedi con l’ingombro delle mani.
Mi fece cenno di sedere. Fu la sigaretta a indicarmi la sedia sulla mia sinistra.
Scomoda e rovente.
Non perse tempo nei convenevoli.
“Qual è il tuo obbiettivo di questo semestre, 17112?”.
Già, quel 17112 ero proprio io. Eravamo letteralmente numeri. Un modo semplice per non confonderci.
Era l’ultimo giorno del semestre, il resoconto della mia prestazione sarebbe stato inqualificabile.
L’avevo messo in preventivo, ma fino all’ultimo avevo sperato fossi lì per altro.
Tutto quello che avessi fatto in precedenza era insignificante.
La nostra società era la migliore in assoluto e non cincischiava su questi intolleranti aspetti.
Non ci sarebbe stata indulgenza. Cominciavo a bramare una punizione severa.
“666”. Una risposta secca ed essenziale. Non riuscii a dire altro, senza intercalare, senza tergiversare.
“666 cosa?”.
Intravidi quella faccia rossa incendiarsi, gli occhi come due tizzoni, la sua coda spuntò dalla scrivania iniziando a sbattere furiosa.
Ero riuscito a farlo infuriare.
“Anime, anime. Dovevo conquistare 666 anime”. Fui più umile e mortificato che potessi.
“Invece a quante sei arrivato…17112?”. C’era del sadico sarcasmo, lo sentivo dal tono della voce e nessuna clemenza.
“616...signore”.
Un numero che non sarebbe stato sufficiente neanche per temporeggiare.
Qualsiasi altra cosa avessi detto sarebbe stata inutile e così feci. Rimasi in silenzio.
Esalò con vigore il fumo dalle narici e come fosse un segnale la porta si aprì. Un dannato qualsiasi. Sporco, arido, vile, con un sorriso sghembo e tracotante...
È in questo punto che mi sveglio.
Qualche secondo da idiota, prima d'immergermi nell'affanno.
Quando mi presentai, non capii neppure dove fossi.
In quel caos delirante furono proprio i miei trascorsi che diventarono merito e fui scelto per questo lavoro.
L'ambizione nella soddisfazione dell’azienda, gli obbiettivi strategici, operativi e di numeri erano una missione per il team di cui facevo parte.
Stentai un po' a indossare quel vestito, ma in fondo non fu neanche chissà che difficile.
Con pigra piaggeria mi destreggiavo nel sgretolare le convinzioni di uomini in buona fede, per poi divorare quelle pecore smarrite, ma era sempre più faticoso.
Cazzo come lo era.
Dormivo male, poco, confondendo sogno e realtà.
Da quanto tempo ero lì? Non me lo ricordavo neanche più, sembrava un’eternità.
Un vero inferno.

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Voto: | su 3 votanti |
Commenti
Grazie tante Grazia!...già




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Quel Ponte, affascina e stordisce, si resta in bilico fino alla fine e oltre.
Un testo scorrevole e dal ritmo incalzante.
Un testo scorrevole e dal ritmo incalzante.


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Grazie tante Maria Luisa! Beh, un po' si...Si prende un bel respiro e si legge in apnea 



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M'inchino all'originalità del racconto e per la fluida scrittura che ci permette di leggere tutto d'un fiato senza titubanza ed esitazione. Molto apprezzato.





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Grazie tante Giuseppe! Soprattutto per averlo letto due volte. Io stesso, rileggendo quelli più lunghi, trovo percorsi alternativi





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Su questi basi si incentra l'originalità dello scritto alla quale si aggiungono buone ricostruzioni sceniche e verbali, uno scritto che sarebbe consigliabile leggerlo almeno due volte (io l'ho fatto!) per essere appieno assimilato.
Onirico e a suo modo suggestivo, nel senso che la vicenda suggestiona quanto basta.
Voto con cinque stelline meno oppure in termini numerici 5- (da una scala da 1 a 5)

Onirico e a suo modo suggestivo, nel senso che la vicenda suggestiona quanto basta.
Voto con cinque stelline meno oppure in termini numerici 5- (da una scala da 1 a 5)





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Racconto da... ponte levatoio, poi gradualmente si abbassa, ci si incammina e la narrazione si fa via via più intrigante. Diciamo che alla prima metà del componimento viene dato maggiore spazio alle descrizioni, successivamente cioè nel momento in cui 17112 illustra il suo lavoro al "mefistofelico" datore di lavoro... il lettore prova specifiche emozioni, tra cui smarrimento e un'ansia... dannata.
L'eccessivo lavoro come ben sappiamo comporta stress, in questo caso persino "visioni" o distorsioni della realtà oppure una forma di disorientamento spazio temporale.
(segue)
L'eccessivo lavoro come ben sappiamo comporta stress, in questo caso persino "visioni" o distorsioni della realtà oppure una forma di disorientamento spazio temporale.
(segue)


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Grazie tante Santa! Il ponte tra sogno e realtà percorso così tante volte da perdere l'orientamento.




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Questo calarsi tra sogno e realtà che si sovrappongono al fine di trovare una giusta uscita per la propria coscienza è molto ben costruito. Una lettura incalzante e piacevole, affrontare quel '666' è davvero un pensiero diabolico(ahahah).Complimenti.






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