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La camera assente

L'ultima folata di vento spostò le tende in direzione del letto con un movimento circolare e appena percettibile.
Gli occhi umidi dell'uomo si alzarono verso il soffitto, dove una luce sottile tracciava un sentiero di riflessi color crema prima di sparire nelle due zone d'ombra sopra la spalliera.
Il respiro dell'uomo si faceva man mano più pesante e la sua gabbia toracica saliva e scendeva in cerca di quell'ossigeno puro che il suo respiratore non sempre gli garantiva.
Le sue mani robuste, nonostante il tremore e la pelle visibilmente macchiata dall'età, cercarono quelle dei suoi figli, dei suoi nipoti, della gente che lo circondava in un silenzio estatico prima della fine.
"Questo è il giorno dei giorni, il giorno fra tutti, sia per vivere che per morire. È un giorno bellissimo per i figli della terra e della vita".
Come un flashback gli tornò alla mente questa frase letta anni prima in un racconto di Edgar Allan Poe e sorrise.
Almeno credette di farlo. E nel farlo e nel crederlo la tenda si mosse di nuovo e un bagliore accecante penetrò la stanza oltrepassando le pareti bianche.
Fu in quell'istante che vide: vide e i suoi occhi si riempirono di lacrime, il cuore sussultò e la vita nelle sue arterie si trasformò in acqua di sorgente.
Come in una panoramica alta e definita riconobbe paesaggi verdi, fiumi e alberi di ciliegio in fiore, petali rossi su un letto di siepe e sconfinati campi di lavanda.
Vide il mare in estate, tastò la spiaggia calda e i suoi piedi affondarono delicatamente sul bagnasciuga e le sue caviglie si bagnarono con la spuma delle onde. Guardò dietro di sé, verso il bar del lido e gli venne voglia di bere una birra gelata e il bicchiere era già nelle sue mani; un bicchiere colmo, schiumante e qualcuno accanto a lui sorrideva e le voci erano tante ma nessuna realmente riconoscibile.
Tutti quei volti erano distanti eppur così vicini.
E arrivò il crepuscolo, pigro e bello come una divinità decadente e fu autunno, un autunno di foglie fragili e lucenti dai toni che si prendevano gioco del resto delle cose della natura: foglie gialle, foglie porpora, foglie cremisi, foglie violetto, foglie straziate da mesi di sole battente, foglie imbrattate di rugiada e fango, foglie spezzate e ricomposte dai versi dei poeti e dai baci degli amanti.
Vide la campagna esalare i fumi della condensa tra gli aghi di pino e le fronde di castagno, giù attraverso il letto del ruscello dove un vecchio e un bambino con i denti da latte pescavano tranquilli, protetti dal suono rassicurante della corrente.
E vide il Natale e riconobbe le lunghe tavole imbandite, il vino nei calici e si inebriò con il profumo dell'arrosto e dei dolci appena sfornati.
Poi arrivò la sera, implacabile e oscura come una clessidra, e scorse se stesso in un letto di seta e coperte di lana cucite a mano: una culla probabilmente.
Anche adesso che si sentiva al sicuro provò a riconoscere qualche volto familiare, ma non ci fu nulla da fare: il passaggio deve essere sereno, indolore e senza rimpianti.
Nessuno porta niente con sé.
Una mano calda sfiorò la sua da neonato e un vagito tenue e improvviso risalì da una delle tante stanze del tempo, i suoi occhi si chiusero e la notte dei cipressi e delle civette fece la sua apparizione un attimo prima dell'ultimo, inesorabile sospiro.
Un silenzio di voci malinconiche e candele accese proiettò la camera in un ritratto caleidoscopico.
Il suo corpo era una bolla di sapone dispersa in una dimensione indefinita, simile a una spugna immersa in uno stagno: gli strati si imbevono e a poco a poco rilasciano liquido e materiale in eccesso, e ciò che per sua natura è più leggero può librarsi nello spazio circostante senza più alcun impedimento né affiliazione.
L'aria si affinò, la superficie degli oggetti si interruppe e un calore violento e rigenerante invase la sua piccola forma.
L'uomo, ora divenuto non-uomo, trattenne il fiato come prima di un grande balzo e quando rilasciò ciò che uscì fu qualcosa di simile a una serie di scale musicali unite in ordine sparso.
Il mondo era ormai distante migliaia di miglia e tre cerchi concentrici dalle tonalità cangianti gli si pararono davanti in un danza di simboli indecifrabili. A volte formavano un'ellittica, a volte una piramide, a volte un totem.
Ma non c'era correlazione con le sue conoscenze.
Quello non era un fenomeno conosciuto e ben delineabile e presto le molecole che formavano la sua memoria si sarebbero fuse con i micro-atomi che galleggiavano intorno alla sua aurea.
Sapeva che avrebbe perso la sua essenza, il suo essere diviso e sarebbe tornato ad un insieme fatto di piccole unità identiche, eppur uniche.
Un brivido lacerante spezzò la sua schiena e fu come una sonata di archi e violoncello e percepì la sua forma disperdersi, legarsi ad altre forme e vagare tra le fessure dei cerchi unendosi ai tre cerchi.
Sentì l'unità scorrere dentro di sé in tutti quei pezzi vaganti e prima che il Tutto fosse ricomposto udì qualcuno o qualcosa pronunciare il suo nome un'ultima volta: "..."
L'essere umano non ha nomi finché non diventa il nome di Dio.



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Racconto scritto il 15/03/2023 - 12:40
Da Marco Mitidieri
Letta n.768 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Splendida opera di grande profondità e di alto livello. Un racconto che scivola tra le note del cuore e fa comprendere la grande opera divina che condivido pienamente.
Complimentissimi!! 5* meritate!

Maria Luisa Bandiera 15/03/2023 - 15:06

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