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Perché voto SÌ

Lo dico e lo ripeto tranquillamente: voto SÌ. Questo non mi farà diventare più popolare di quanto già non sia, ma il coro di NO che vedo piovere da tutte le parti, anche da persone che rispetto e con cui condivido tantissime idee, mi fa imbestialire.


Non è per questo, però, che mi sono deciso a scrivere questo articolo. Ognuno è libero di pensarla come vuole, e non potrò essere certo io a far cambiare idea a chi è fermamente convinto della bontà della propria scelta, o che viene bombardato di messaggi di un certo tipo da gente certamente più esperta di me nell’arte di convincere le persone.


Lo scrivo con la speranza di recuperare la stima di un amico che temo di aver perso, in pochi secondi, per aver espresso la mia opinione in proposito.


Ci eravamo incontrati per caso. Un rapido saluto, eravamo entrambi affaccendati, poi una domanda, preceduta da un’attestazione di rispetto ed ammirazione a dir poco imbarazzante: tu cosa voti il 4 dicembre?


La mia risposta era stata precisa e decisa, “voto SÌ”. Allora il mio amico ha cambiato faccia, ha mostrato lui di essere in imbarazzo adesso, ma ha evitato di discutere. Si è limitato a dire “ah, no, mi dispiace, io voto NO”, e si è allontanato con una espressione profondamente delusa sul volto.


Era chiaro che, con la sua domanda, stesse cercando conferma sulla bontà della sua decisione, comunque irrevocabile, da una persona verso cui nutriva profondo rispetto, e non averla ricevuta lo aveva messo davanti ad uno sgradevole bivio: cambiare idea sul voto da esprimere, o cambiare idea su uno stimato amico. Mi è parso evidente che la sua scelta sia caduta sulla seconda opzione.


So, per tanti discorsi fatti in precedenza (in particolare sulla legge Fornero, che aveva bloccato entrambi, ormai stanchi, quasi allo stremo, a pochi passi da un’agognata pensione) che la sua decisione non dipende da una valutazione sull’oggetto del referendum, ma dal desiderio viscerale di mandare via Renzi.


Un desiderio, in parte, condiviso anche dal sottoscritto.


Esattamente il tipo di errore fatto dalla stragrande maggioranza dei fautori del NO, abilmente pilotata da gente che non vuole perdere trecento belle poltrone da ventimila euro al mese, o da un’opposizione gratuita, sterile e puerile come quella dei Cinque Stelle.


Io voto SÌ, e voglio spiegare perché. Al mio amico, innanzitutto, se arriverà a leggere questo articolo. Spero di convincerlo, se non altro, che non sono diventato un idiota o, peggio ancora, un estimatore del nostro presidente del consiglio, ma ho fatto delle valutazioni che MI IMPONGONO di dare forza e credito, in questa occasione, ad un personaggio del genere (non oso definirlo con qualche aggettivo perché pare sarebbe reato… almeno, con l’aggettivo che vorrei usare).


Cominciamo con due parole su Renzi. Poiché in Italia (ma non so se accade lo stesso anche altrove), se sei d'accordo su un’idea con qualcuno, questo significa che sei dalla sua parte in tutto e per tutto (una volta sono stato considerato berlusconiano perché avevo giudicato stupida e opportunistica la protesta per la sua battuta sull’abbronzatura di Obama), desidero chiarire la mia posizione nei suoi confronti.


Prima di tutto, onestamente, devo ammettere che all’inizio mi ero illuso su di lui. Come, ventidue anni fa, mi ero illuso con Berlusconi. Lo so, sono un credulone. Ma non così imbecille da continuare a credere in qualcosa, o qualcuno, dopo aver sbattuto violentemente il muso contro la realtà.


Parlare, ammettiamolo, parla bene. È il razzolare che lo frega.


Poco fa ho detto che condividevo il desiderio di mandarlo a casa “in parte”. Questo “in parte” per due semplici motivi. Il primo è che, per quanto mi sforzi, non riesco a ricordare un presidente del consiglio che si sia dimostrato migliore di lui. Se qualcuno ha nomi da proporre, sono in attesa. Per questo, il mio desiderio che si levi dalle scatole non è più forte che con quelli che lo hanno preceduto, né con quelli che lo seguiranno. E poiché qualcuno, in quel posto, ce lo dobbiamo tenere per forza (perdonate il doppio senso in po’ volgare, non era voluto… anche se calza alla perfezione), lui o un altro fa lo stesso. Il secondo motivo (che un po’ smentisce il primo) è che, come in amore ci si giura di amarsi più di ieri e meno di domani, in fatto di premier pare sistematico che quello attuale sia peggio del precedente, e meglio del successivo. Quindi affannarsi tanto per mandarlo a casa, per poi beccarsene un altro ancora peggiore, non mi sembra così saggio e salutare.


Quello che voglio dire, in pratica, è che se avessi la garanzia che, andato via Renzi, il suo posto venisse preso da una persona veramente capace ed onesta, voterei NO anche io. L’attuale riforma salterebbe (che poi, lo riconosco, non è certo il massimo), ma ci penserebbe il prossimo a farne una migliore, abolendo il senato del tutto, magari, ed anche portando il numero dei deputati ai livelli di Francia, Spagna, Olanda o Germania. Ma chi? Qualcuno, torno a chiedere, ha un nome in mente? Il redivivo, in questo scenario, D’Alema? Il rivoluzionario Berlusconi, che ha avuto le redini in mano negli ultimi vent’anni? Il populista Salvini? O, magari, Beppe Grillo, se c’è ancora qualcuno che crede in lui?


Ma andiamo!


Una risposta sincera, per favore, non un isterico “chiunque, ma non lui”


Comunque sia, non ho nessuna voglia di promuoverlo. Se non per un motivo: è riuscito a mettere da parte la vecchia guardia del PD, quella che per vent’anni ha consentito ad un piccolo uomo come Berlusconi di apparire un gigante. Vecchia guardia pronta a tornare in sella in caso di vittoria del NO, e per adesso sputa fiele in attesa della sua rimonta. Beh, forse il cambio non sarà stato tanto vantaggioso, ma vedere nei vari TG le espressioni livide di D’Alema e compagni non ha prezzo.


Non mi è piaciuto il suo Jobs Act, uno stupido ed inutile regalo a Confindustria che ha cancellato il concetto di stabilità nel lavoro, rendendo tutti precari a vita; non mi è piaciuta la sua “pessima”scuola, che ha trasformato gli insegnanti in pedine senza diritti e senza vita propria, e dato ai presidi licenza di uccidere; ed in particolare sono avvelenato con lui, come lo è quel mio amico, per avermi per ben due volte illuso sull’anticipo pensionistico. Che avrei potuto finalmente godermi un’agognata pensione più tardi di quello che mi sarebbe spettato, vero (ma questo non per colpa sua), ma prima di quanto avrei dovuto ancora attendere. La prima volta circa un anno fa, quando si era messo a parlare della nonna di cinquantasette anni che, con qualche decina d’euro in meno sulla pensione, avrebbe potuto occuparsi del nipotino a casa. Io di anni ne avevo già sessantuno, magari ci poteva scappare qualcosa anche per un maschietto come me. E invece il discorso veniva rinviato per mancanza di fondi. Poi quest’anno, con la mitica APE. E con la riduzione di circa il quaranta per cento sull’importo, metà del quale a beneficio di banche ed assicurazioni. Un accordo dal chiaro sapore di sfottò, di presa in giro, presentato come un reale superamento della legge Fornero. Legge Fornero: un’altra boiata inammissibile, prodotta da un governo di manager strapagati, che aveva eliminato senza problemi il diritto acquisito di un lavoratore di andare in pensione a sessant’anni o con quarant’anni di servizio, senza che la Consulta avesse niente da ridire. Eh già, gli unici diritti acquisiti che per la Costituzione non si possono toccare sono quelli dei loro assurdi e incomprensibili privilegi.


Avevo apprezzato la sua promessa di mettersi da parte in caso di sconfitta al referendum (cosa che dovrebbe fare qualsiasi persona seria in caso di un proprio fallimento, per quanto, alla fine, questo ci costringerebbe a cercare un premier fra gli immigrati), anche se si era poi rivelata un tremendo autogol, e ritengo ora una vergogna vedergli fare un passo indietro in proposito. Come avevo suggerito in un precedente articolo, sarebbe stato molto più dignitoso e produttivo garantire le proprie dimissioni anche in caso di vittoria del SÌ, per poter andare subito al voto con le nuove regole. Avrebbe tolto all’opposizione il principale argomento per far votare NO, avrebbe dato ai cittadini la possibilità di ragionare davvero sul tema proposto, e credo sarebbe stato molto più apprezzato del suo squallido voltafaccia, con relativo, presumibile ritorno in termini di consensi alle urne. Ed ora, per cercare di mercanteggiare qualche appoggio ed evitare la debacle elettorale, si dichiara disponibile perfino a manomettere la nuova legge elettorale, togliendo il ballottaggio, e di fatto rendendola così perfettamente inutile: sì, forse non sarà moralmente giusto che una forza politica arrivi a governare con un 30% di consensi (che in seguito al ballottaggio diventerebbe 50% più uno), ma è ancora meno utile all’Italia avere una situazione di stallo che costringa continuamente a nuove e inutili elezioni, o a vergognosi inciuci come quelli Letta – Berlusconi o Renzi – Alfano – Verdini. Gli spagnoli hanno votato per due volte a distanza di sei mesi, e non ho notizie sulla loro attuale situazione, per una legge elettorale altrettanto lacunosa. Sono convinto che un analogo Espanicum li farebbe saltare di gioia.


Poi c’è la favola che racconta sempre in giro sugli investimenti. E su questo non è solo. Industriali, economisti, sindacati, perfino il drago Draghi: tutti d’accordo nell’invocare questa panacea.


Tutti idioti, o tutti ipocriti?


Anche questo ho già avuto modo di scriverlo: gli investimenti possono essere l’effetto della crescita, non la causa. Cosa significa investire? Vuol dire spendere denaro per produrre qualcosa. Ma se il mercato non ha risorse sufficienti (detto volgarmente, soldi) per assorbire quanto viene prodotto, quale può essere la sola conclusione? Fallimento, e perdita di quanto si è investito. Oggi chiudono attività già… attive, perché non riescono a vendere ciò che producono, come si fa in questa situazione a pensare di “investire” in altro? Meglio mettere i propri quattrini sotto il mattone, o nei caveau di qualche banca (estera), o giocarli in borsa se si è amanti del rischio. Magari, meglio ancora al casinò, o all’ippodromo.

Come ho già detto in passato, serve benzina. Servono soldi, a disposizione dei potenziali acquirenti. Soldi che possano venir spesi per acquistare ciò che il mercato offre, e motivare l’ulteriore produzione di quei beni, e quindi i necessari investimenti per produrli. E i soldi ci sono. Solo, mal distribuiti. Quello delle pensioni è solo un esempio: la metà di quanto viene sborsato dall’INPS va nelle tasche di un solo dieci per cento di pensionati (d’oro), l’altra metà deve accontentare il restante novanta. La prima metà finisce nelle banche svizzere o di qualche altro paradiso fiscale, dubito che qualcuno sia capace, con tutta la buona volontà, di spendere per intero le ingenti somme che gli vengono elargite; la seconda metà viene immessa in un mercato sempre più asfittico per problemi di circolazione (monetaria). Lo stesso discorso per gli stipendi pubblici, ed il recente caso RAI ne è un altro esempio. Lo stesso discorso vale ancora per gli sperperi degli enti pubblici, con società partecipate che non rendono niente e costano miliardi di sole poltrone. Addirittura l’esistenza di Enti formati solo da consigli di amministrazione e senza un esecutivo, sulla cui istituzione sarebbe interessante capire come mai nessun magistrato abbia indagato… Creare una struttura di soli generali senza alcun soldato può essere dovuto solo a semplice stupidità?


Tutti argomenti che il buon Matteo finge di non conoscere. Eppure, la modesta ripresa registrata in Italia, sono convinto che dipenda da una sua celebre mossa: gli ottanta euro in busta paga. Miliardi di euro immessi sul mercato. Mossa elettorale? Probabile. Ma resta un’ottima mossa. Da potenziare, prelevando da stipendi, pensioni e vitalizi ingiustificati. Se si avesse onestà di intenti.


Beh, mi pare si sia capito che non sono un tifoso del grande Matteo.


Eppure al referendum di dicembre (ex di ottobre) voto SÌ.
Non per farlo rimanere (tanto, rimane lo stesso).
Non per esprimere un gradimento sul suo operato.


Voto SÌ perché non mi va di continuare a mantenere trecento senatori a ventimila euro al mese (più benefit), che rendono farraginoso l’iter per l’approvazione di qualsiasi legge, solo per bocciare l’operato di Renzi. Questo lo farò alle prossime elezioni.


Voto SÌ perché non voglio essere uno che inveisce contro la casta e poi corre a dare il proprio voto per salvarla.


Voto SÌ perché non voglio dar ragione a spregevoli individui che da sempre banchettano a spese di una nazione che non riesce ad arrivare a fine mese, spacciando per democrazia i loro sporchi traffici e i loro folli e ingiustificati privilegi.


Quali sono gli argomenti del NO?


Perdita di democrazia? Caspita, bell’argomento, sventolato da gente che si lamenta, e a ragione, che la democrazia, in Italia, da sempre non esiste. E quale sarebbe il potere dato al popolo con l’elezione del senato? Non le liste bloccate così vituperate della camera, addirittura una scelta uninominale! Da una parte contestiamo l’impossibilità di esprimere preferenze in un tipo di elezione, poi eleggiamo a baluardo della democrazia un organismo eletto con un meccanismo addirittura peggiore. E magari, se il responso degli italiani sarà quello di bocciatura della riforma, per farli più felici aumentiamogli il livello di democrazia, offriamogli la possibilità di eleggerne duemila, anziché novecento. Creiamo una terza camera. Tanto, in media, ad ogni cittadino non costerà più di quattro o cinque euro all’anno (con questo, mi riferisco ad un argomento presente poco più avanti).


Pericolo di una svolta autoritaria? E a che pro? È da decenni che gli italiani avrebbero ragione a imbracciare fucili e forconi, e invece ad ogni elezione continuano a recarsi alle urne a legittimare la classe politica che li oltraggia e li dissangua.. Che bisogno c’è di instaurare un regime dittatoriale, con dei pecoroni del genere?


Il cavallo di battaglia dei Cinque Stelle è addirittura ridicolo: con questo nuovo senato offriamo l’indennità parlamentare a cento amministratori. Ma bocciandolo, continueremo a concederlo a trecento senatori, non a cento!


L’ultima motivazione, appena letta su Facebook, riguarda l’esiguità del risparmio previsto: 85 centesimi di euro per ogni cittadino italiano. Un’inezia. Quindi, dico io, perché prendersela con un amministratore corrotto che ruba qualche decina di migliaia di euro? La perdita subita da ogni cittadino è inferiore al millesimo di euro.


Maledizione, se anche si trattasse di risparmiare un solo euro in totale all’anno, sarei felice di poterlo sottrarre alla famelica disponibilità di questa marcia classe politica!


Ma sono rassegnato, vincerà il NO. Nonostante la dubbia rettitudine dei suoi fautori, gli stessi che da decenni affamano la gente per godere intoccabili privilegi, e nonostante la pochezza degli argomenti a sostegno. Solo per cercare di mandare via una persona, preferiamo tenercene trecento di pari levatura.


Perché la gente è stanca. Perché la gente è stufa. Perché la gente è disperata, disgustata, arrabbiata, ed in queste condizioni è facile perdere il lume della ragione.


Vincerà il NO, ci godremo il ritorno di D’Alema ed il trionfo di Salvini, e vivremo finalmente felici. Come il tizio che per far dispetto alla moglie si tagliò gli attributi.




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Racconto scritto il 12/10/2016 - 13:26
Da Giuseppe Bauleo
Letta n.268 volte.
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