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Uva passa

...che terra c'è sotto i piedi...?


Livia, dalla finestra della soffitta può allungare lo sguardo fino al ponticello che ad arco si stende da una sponda all'altra del fiume. Ai lati, l'acqua più bassa e ferma è diventata ghiaccio da alcuni giorni, le anatre si sono spostate a valle, tra i canneti ormai secchi spezzati dal gelo e dalla forza del fiume.
Un buco nella suola delle scarpe raccoglie la polvere della soffitta tagliandole il piede, l'unica gallina rimasta è tenuta lì, prigioniera e protetta dall'incetta dei soldati tedeschi e negli ultimi tempi dei partigiani, affamati.
Il sole è calato dietro il monte dalle prime ore del pomeriggio e con esso il gelo ha stretto le maglie sulla piccola comunità di S. Fiore.
Livia nella soffitta va per portare cibo alla gallina, per sognare di andare ad un ballo, quando i tedeschi se ne andranno, così come tre anni prima erano arrivati, all'alba, di una giornata di inizio primavera.
Lei li aveva incontrati sullo stradello che da casa sua percorreva per andare al mulino. Sapeva contare fino a dieci. Erano cinque. Avevano il viso rosso, sudato, si erano messi in cerchio intorno a lei. Il più alto le aveva fatto una carezza, mentre le sue gambe diventavano molli come l'impasto del pane che ogni giovedì la mamma e le sorelle preparavano per tutta la settimana. Il soldato aveva aperto un sorriso, verso l'orecchio destro “Bella Italiana...” sì aveva detto così, mentre le cingeva il collo con la cartucciera. Tutti avevano riso, un fragore si era alzato. Dalle bocche il fiato si era condensato in una piccola nuvola, il suo respiro non si era mischiato al loro. Livia non respirava.
Si erano ripresi la cartucciera, se ne erano andati, battendo i pesanti stivali sul sentiero; non ne aveva mai visti di così neri e alti.
Non aveva raccontato niente a casa, l'avrebbero rimproverata. Il giorno dopo ebbe la sua prima mestruazione, anche di quello per giorni non disse niente.
Dopo tre anni, i soldati tedeschi avevano ormai fatto del territorio il loro presidio.
Quel pomeriggio Livia, sogna un fidanzato come quello di Clara, una delle sue sorelle. Quando tornerà dal fronte loro si sposeranno.
Sotto il ponticello, acquattato tra il ghiaccio, qualcuno si muove, striscia. Esce allo scoperto, alle spalle il fucile sobbalza, lui si stende e corre verso la casa. D'istinto Livia, scende le scale, gli corre incontro. È sola, deve proteggere la casa, la gallina.
Solo quando se lo trova davanti comprende l'errore, è un soldato tedesco, ha il viso rosso, è alto.
Le dice qualcosa in un italiano lontano dal suo, poggia il fucile sulla terra, ai suoi piedi, cerca aiuto.
Livia apre la porta, lo fa entrare, gli fa strada verso la scala della soffitta, la gallina dorme accovacciata in una cassetta. La stanza è quasi nel buio.
Lui congiunge le mani, forse dice una preghiera o un grazie, lei gli fa cenno di silenzio, lui comprende e tace.
La famiglia di Livia mantiene a stento un'ultima abitudine, una specie di baluardo che si oppone allo sconvolgimento della guerra sulla vita delle famiglie: alla sera, accendono il fuoco.
Di fronte al focolare i volti si accaldano mentre le schiene si gelano. Ogni tanto bisogna girarsi per dar sollievo agli uni e alle altre.
Livia va a letto per prima quella sera, sale l'ultimo tratto della scala di legno senza le scarpe, nasconde un pezzo di pane nella tasca del grembiule, ormai sfilacciato. Alla porta della soffitta sfiora la maniglia, in mano la luce della candela segna un scia sulla polvere.
Si chiama Jorg, si siedono accanto. Sullo sporco del pavimento lui disegna un sentiero, un arco di montagne e dopo ancora un lungo sentiero...in fondo, una casa.
Dalla tasca estrae una busta stracciata, con una foto: le fa capire che sua madre e suo fratello sono soli e lui non vuole più combattere. Livia sa che nascondere un disertore tedesco è una probabile condanna a morte per tutti, i soldati tedeschi li fucilerebbero, i partigiani non avrebbero pietà. La candela stende sulla parete le loro ombre, dalla finestra lo spiffero dell'aria gelida sospinge la fiamma, le ombre iniziano a ballare.
Livia sogna, Livia si innamora,di un suono, di una fiamma, di una carezza sul suo corpo affamato, di un bacio che li adagia sul telo, tra gli acini rimasti dalle pigne messe a seccare l'estate precedente.
Più tardi, nel buio, quando entra nel letto, i fratelli più piccoli tremano, li abbraccia, ha calore per tutti, quella notte.
All'alba, la luce la trova sveglia, ha ascoltato i passi di Jorg scendere senza gli stivali.
Scivola dal letto sale gli scalini verso l'alto, la gallina razzola tra la polvere in solitudine.
Si erano detti addio, ridendo delle loro lacrime, della paura della guerra.
Livia dalla finestra scruta. Il ghiaccio congela gli alberi nudi, il parapetto del ponticello.
Lo starnazzare delle anatre arriva da lontano, dalla valle.
Jorg sale verso il bosco.


...di che colore è il cielo al di sopra...?




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Racconto scritto il 05/10/2018 - 18:48
Da Grazia Giuliani
Letta n.1032 volte.
Voto:
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Commenti


Grazie a Loris, Paola,Patrizia,Teresa e Laisa...
davvero onorata
Buonanotte

Grazia Giuliani 07/10/2018 - 22:57

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Grazia
ogni volta che ti leggo, resto senza parole.
sei davvero brava, dovresti scrivere. dovesti cercare di pubblicare qualcosa, riesci non solo a tenere il lettore incollato, ma a creare un panorama poetico e delicato. questa è vera bravura e non ti sto facendo un complimento, è la verità

laisa azzurra 06/10/2018 - 13:25

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Bello, fa immaginare tempi in cui era proibita anche la tenerezza. Hai fatto parlare il cuore.

Teresa Peluso 06/10/2018 - 07:53

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Racconto molto bello e scritto bene

Patrizia Lo Bue 06/10/2018 - 03:42

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Ho gustato questo tuo racconto, leggendolo più volte.
Hai creato una bella atmosfera, di altri tempi, per poi ricamarci una storia di tenerezza, attesa e speranza, con lo stile che ti caratterizza...
Molto bello, cara Grazia e complimenti per tutto!

PAOLA SALZANO 05/10/2018 - 21:28

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Bello, veramente bello!
Pieno di immagini, rumori, odori...
Complimenti!
Un saluto

Loris Marcato 05/10/2018 - 19:59

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