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MICHELIN

Il suo vero nome non lo conosceva nessuno.
Lo chiamavano così per via dell’insegna della sua officina, un vecchio locale ammuffito al pianterreno di una stamberga sulla via principale del paese, che sembrava dovesse crollare da un momento all’altro.
L’insegna, poi, non era altro che un pezzo di un vecchio cartellone pubblicitario, quasi completamente sbiadito, di una nota marca di pneumatici, che lui aveva inchiodato al posto delle tavole della porta, in modo che di notte non entrassero i gatti randagi.
Nessuno sapeva nemmeno quanti anni avesse. Me lo ricordo sempre uguale, sin dalle mie prime estati di “sfollato” cittadino durante le vacanze estive: tutto il santo giorno chiuso nel suo buggigattolo a sgobbare, apparentemente refrattario agli anni che passavano.
Al piano terreno, c’era il classico bancone da lavoro, con la morsa ed attrezzi vari, oltre ad un trapano a colonna ed una smerigliatrice.
Al primo piano non c’era mai stato nessuno, tranne forse i pipistrelli. Nemmeno lui ci saliva per paura che, caricando pesi sulle travi, venisse giù tutta la casa.
Un’unica lampadina, incrostata da polvere e sporcizia di millenni, ce la metteva tutta per illuminare quel locale tetro e pieno di ragnatele, che assomigliava più alla spelonca di uno stregone di seconda categoria in pensione che ad un’officina. C’era anche una finestra, senza infissi, sulla quale lui aveva imbullonato un pezzo di rete di un vecchio letto in disuso. La rete era così ruggine che i raggi del sole non riuscivano nemmeno ad entrare. Poteva essere qualunque ora del giorno ma, guardando fuori, sembrava sempre il tramonto.
Il bagno non c’era e se per caso arrivava qualcuno e non trovava Michelin, significava che, fogli di giornale alla mano, se ne era andato per i campi, ma poteva anche darsi che si trovasse nello stanzino sul retro, stravaccato su di un vecchio divano, che anche i topi avrebbero accuratamente scansato, a russare peggio di una locomotiva.
Indossava sempre la stessa vecchia tuta da lavoro, che del suo colore blu originale non serbava più nemmeno il ricordo, macchiata d’olio, grasso e vino e bruciacchiata dalle scintille della smerigliatrice. In testa portava un basco nero dal quale, spremendolo con cura, si sarebbe potuta ricavare una quantità di olio e di grasso sufficienti per lubrificare tutti i trattori del paese.
Giunta la sera, chiudeva la baracca, inforcava la sua bicicletta, ancora una di quelle costruite dall’Ingegner Eiffel in persona, e si avviava, a passo di lumaca, verso casa, nel paese vicino.
Il suo lavoro quotidiano consisteva nel limare e forare a cottimo strani pezzi metallici, che non si capiva bene da dove venissero né a cosa servissero, ma il suo pezzo forte, per il quale era famoso in tutto il circondario, era in realtà quello che riusciva a fare tra una limata e l’altra: la riparazione delle biciclette.
Tutto il paese, ed anche quelli vicini, si servivano da lui e in un tempo passato, quando la motorizzazione di massa non si era ancora estesa del tutto alle campagne, questo significava un buon giro di affari.
Qualsiasi guasto potesse avere una bicicletta, dalla normale foratura alla più complicata sistemazione di raggi o cuscinetti, la risposta era sempre la stessa: “Passa nel pomeriggio!”.
E noi bambini, di lavoro, gliene davamo, e parecchio, in giro tutto il giorno per campi ed argini, sempre in due, o anche in tre, sulla stessa bicicletta. Quanti cerchioni ci ha raddrizzato! E quante forature ci ha riparato! Le camere d’aria delle nostre biciclette sembravano tanti serpenti Boa a causa delle decine di toppe che ci aveva appiccicato!
Mi ricordo che un giorno gli portai la mia “fuoriserie” che, tanto per cambiare, aveva bucato. Siccome stava piovendo a catinelle gli chiesi se potevo attendere che finisse la riparazione dentro la sua officina. Mi rispose con un grugnito, che interpretai come una risposta affermativa, e rimasi ad osservare, affascinato, come riparava tutti i guasti, anche quelli più complicati ma, soprattutto, come riusciva a rattoppare le forature cavando la camera d’aria senza dover smontare la ruota.
Feci tappa da lui altre volte per carpire il segreto di così tanta abilità, ma poi, finito un altro anno scolastico, tornai in campagna per le vacanze e trovai tutto chiuso. Qualcuno al bar mi riferì che Michelin si era trasferito presso le Officine Celesti.
Ma ormai presumevo di saperne abbastanza e, grazie ai trucchi appresi in quella officina sgangherata, ho iniziato a riparare, da solo, tutti i guasti della mia bicicletta e, in seguito, anche di quella di mia moglie.
E adesso, al parco macchine, si è aggiunta anche la biciclettina nuova di mia figlia e, proprio l’altra Domenica, ero in giro per il paese con lei. Il giorno prima aveva bucato e stavamo collaudando il rattoppo che avevo fatto.
Incoraggiati dalla giornata tersa e limpida di primavera facemmo il giro del paese e finimmo per transitare davanti alla vecchia officina di Michelin, ormai sigillata da secoli. Mi fermai un attimo a pensare, mentre la bambina sgambettava allegramente per la strada fin troppo deserta.
Stavo per raggiungerla quando sentii qualcuno che mi chiamava.
Mi voltai e lui era lì, appoggiato alla porta di quella che, per innumerevoli anni, era stata un po’ la sua seconda casa.
E mi stava fissando con uno sguardo strano, sembrava sorridesse.
“Direi che hai fatto proprio un buon lavoro!”.
“E’ vero....la toppa tiene....però.…ho dovuto smontare anche la ruota!”.
“Non parlavo della bicicletta, scemo, parlavo di quella che ci sta seduta sopra!”.
“Ah, quella.…”, balbettai e subito i miei occhi si riempirono di ricordi: le diagnosi senza speranza sparate dentro le gelide corsie di un ospedale, i cavilli burocratici piovuti nelle austere aule di un tribunale e, per finire, quel viaggio tanto atteso e quell’orfanotrofio, lontano….
“Si.... è stato proprio un buon lavoro….”, gorgogliai e le parole presero per mano l’animaccia di Michelin e, insieme, se ne volarono via, spinte dal delicato vento che la sera aveva sciolto per il paese.



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Racconto scritto il 10/11/2020 - 12:54
Da Paolo Guastone
Letta n.560 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Ti ringrazio molto per la lettura e per il bellissimo commento.

Paolo Guastone 12/11/2020 - 10:59

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Una storia della vita di tutti i giorni, per chi sa coglierne i significati...scritta molto bene.

Grazia Giuliani 11/11/2020 - 16:26

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Già, è proprio così.....
Grazie di cuore per il bel commento!

Paolo Guastone 11/11/2020 - 10:35

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Molto carino, con quel sapore autobiografico che lo colora.

Glauco Ballantini 11/11/2020 - 10:30

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