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La vita normale

Ero a Parigi, in quella calda e strana settimana di marzo.


Mi sorprendeva come sempre la protervia, quasi, con la quale i parigini, e soprattutto le parigine,imponessero per strada i loro passi rapidi e incalzanti dietro i miei, pretendendo e ottenendo in silenzio che io , con il mio turistico placido e italico incedere, facessi loro posto scansandomi per farli passare.


Mi ero ripromesso di non passarci, da Notre Dame. Ancora incupivano l'animo le immagini della devastazione dell'incendio, il crollo della torre. Ma come una calamita , l'abitudine e la voglia inconsapevole di ripercorrere passi antichi mi ci portò dinanzi. Lungo il recinto dei lavori in corso provai consolazione nel seguire la fotostoria, ampia e dettagliatissima, con cui si è provveduto a informare il viandante sui progressi dei restauri. Era la civile e doverosa testimonianza del percorso di rinascita che si stava seguendo.


Ricordo che al concierge del residence centralissimo in cui abitavo chiesi, all'arrivo, se in città si risentiva delle notizie allarmanti che venivano dall'Italia in merito all'epidemia. La risposta fu un sorriso e una scrollatina di spalle. D'altronde, il metrò pieno e l'avenue des Champs-Elysée stracolma di passanti e di turisti di tutte le etnie con famiglie al seguito, ne fornivano la conferma eclatante.


Mi sentivo ad un tempo rassicurato, ma anche un po' solo. Non ero avvolto da fobie o ipocondrie indotte o esagerate, ma al contempo una vocina mi suggeriva di essere prudente, perché ancora lì non dilagava la percezione del pericolo. Mi incuriosì pertanto notare quella mascherina sotto due occhi a mandorla che mi fissavano. Ero sul metrò quattro , diretto al marché aux puces di porte Clignancourt.


La ragazza portava un soprabito apparentemente Dior a scacchi bianchi e neri . Pantaloni attillati neri, maglioncino a collo alto e lunghi capelli di egual colore davano un tocco aggraziato e elegante alla figuretta snella che s'indovinava. Se non fosse stato per il bianco della mascherina che le copriva tutto il volto al di fuori della fronte e degli occhi. Che continuavano a fissarmi.


Era seduta nello scomparto accanto al mio e non di fronte. Quindi mi apparve abbastanza strano. Come strano mi fu il cenno impercettibile che mi fece con il capo quando ci alzammo in sincronia all'impiedi alla fermata di Clignancourt. Era come se mi invitasse a seguirla. Con la mattinata intera della domenica a disposizione e senza meta se non le botteghe degli antiquari del marché, accettai tacitamente l'invito e la seguii all'esterno.


S'incamminò veloce esattamente verso le viuzze dove intendevo recarmi anch'io. Per cui non feci alcuno sforzo ad accettare il compromesso con la coscienza, per un attimo in imbarazzo di fronte al dilemma se dar seguito o meno alla cosa.


Continua a sbirciare volgendo appena il capo all'indietro. Allungo il passo e l'affianco proprio mentre varca l'ingresso del marchè. Si dirige da "Chez Louisette" e si ferma sulla soglia. Dall'interno l'orchestrina ha già cominciato con "A Paris", di Yves Montand.


Ci guardiamo e mi apostrofa con accento romano. Romano?


-Italiano, vero?


-Sì, di Roma. Anche tu? Ma ci conosciamo?


-No. Ma non vorrei pranzare da sola.


Gli occhi a mandorla ora sorridono, ma non sono allegri.


-Come ti chiami?


-Sonia Li, e tu?


-Fosco Perini.


Mi prende per mano e quasi mi trascina dentro.


Dentro c'è la solita gioiosa confusione. Ci accoglie una signora grassoccia con un grembiule bianco e di una certa età che ci indica il soppalco sulle scale, nel frastuono delle casse a tutto volume che sparano acuti di un Montand tutto da scoprire, baffuto e con i basettoni impomatati.


-Io sono scappata da Roma-, mi dice mentre prendiamo posto.


Si toglie la mascherina, finalmente. E la dolcezza della femminilità orientale riempie di colpo la mia visuale. Avrà si e no trent'anni. Potrebbe essere mia figlia. Mi ispira tenerezza.


-Questioni private?


Non voglio essere invadente. Capisco che è a disagio. Forse anche per il mio , di disagio.


-Scusami se ti ho rimorchiato, ma assomigli a una persona di famiglia e hai un aspetto rassicurante. Ho paura. Ho avuto paura dell'epidemia. Qui a Parigi vive una mia cugina. Lavora in un ristorante a rue du Colysèe, e mi ospita. Da noi in Italia non si fa altro che parlare del virus, della sua mortalità, della necessità di chiudersi in casa. Le dimensioni della vita di tutti son cambiate all'improvviso. Io se non vado in istituto tutti i giorni, cado in crisi d'astinenza.


Alla Sapienza. Sono bibliotecaria e mi guadagno il pane facendo da tramite tra gli studenti e i libri. E leggo. L'aria che emanano i libri mi riempie sempre di gioia. E ne ho bisogno. Per me la clausura in casa equivale alla morte. Soprattutto senza i miei libri . Qui a Parigi, nessuno parla del virus. Sono tranquilli. La vita di sempre, tutti fuori . Al lavoro o a passeggio. Non so se definirli incoscienti, ipocriti o ignoranti. Possibile che solo in Italia abbiamo capito tutto e ci siamo segregati in casa?-


Parla a ruota libera . Ne ha bisogno . Ha bisogno della vita normale , di annoiarsi ma anche di sentirsi un ingranaggio, sia pure anonimo e microscopico, di un mega organismo che procede perfettamente sincrono in tutte le sue parti, anche se ognuna indipendente dall'altra. Ma con il risultato unico di una società che procede con una inconsapevole unità d'intenti.


Un po' come gli storni in autunno nei cieli del centro di Roma. Eseguono evoluzioni spettacolari come se fossero un corpo unico e disegnano figure astratte, cangianti di consistenza direzione colore e dimensione. Ma ogni insieme è composto da migliaia e migliaia di esserini animati che pur senza un piano comune , sanno perfettamente che direzione prendere per non intralciare il volo dei compagni.


Ecco. Volano normalmente, condizionati dal volo altrui , ma con l'illusione di vivere in assoluta libertà.


Perché la vita è normale quando inconsapevolmente e illusoriamente libera. Se risponde a necessità o obblighi , sia pure in nome di interessi riferiti come di tutti, cessa di essere individuale e ti fa fondere al corpaccione unico della comunità che soffre. Pletorico afasico pigro e mastodontico.


E la banalissima normalità diventa eterea utopia.


Guardo Sonia e le sorrido , mentre rinfrancata dalla chiacchierata riprendiamo la metro.


La mascherina non l'ha messa, stavolta.




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Racconto scritto il 23/02/2022 - 21:09
Da bruno palumbo
Letta n.343 volte.
Voto:
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Commenti


Grazie mille Santa!! È di due anni fa questo racconto, ma ridisegnato attuale per un altro tipo di ansia, in questi giorni. Ciao, buona serata!(ho già risposto ma non lo vedo e allora ripeto)

bruno palumbo 24/02/2022 - 15:48

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Caro Bruno, purtroppo le stelline sono solo cinque e non si possono moltiplicare. Perché scrivi solo racconti e non libri? Ma questo mi pare tu avertelo già detto. Un racconto che coinvolge il lettore dall'inizio alla fine. C'è ritmo, dettagli, sentimenti, osservazio, curiosità e delicatezza...insomma non manca nulla per dirti che sei davvero bravo e poi scrivi così bene! Complimenti! Ciao.

santa scardino 24/02/2022 - 15:12

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