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Reprobi Angelus 2.12

Secundo capite
Samaèl Propinquus e il Palazzo sull’Acqua


Quel sogno ricorrente lo perseguitava quasi ogni notte, e l’ansia… per un ragazzotto che percorreva a piedi la statale con una fitta coltre di nebbia. Campi e solo campi di zenzero, il profumo di cannella e il cippo del chilometro 13.
In una postura innaturale, la testa incanutita tra le braccia pesava sulla ruota del vecchio trattore. Dopo mesi di silenzio non era più tempo di congetture, c’era la semina dello zenzero.
Ma oggi il portalettere si era spinto fin là. Il manicomio statale lo informava di avere in degenza tale Edgar… come poteva essere il suo ragazzo?! Avevano avuto divergenze sul lavoro dei campi, ma era un bravo figliolo. Giudizioso e instancabile. Sempre via con quel grosso camion.
Solo un po’ cocciuto… gli avrebbe comperato uno di quei nuovi trattori. Un FiatAgri forse…


Al di là del Parco Lazienki una Volga nera a fari spenti nella sera percorreva la statale poco trafficata. Alla guida sotto il cappello plumbeo come il cielo, un uomo. All’estremità del braccio fuori dal finestrino, l’indice asciutto pareva indicare il Palazzo sull’Acqua all’interno del parco, e canticchiava


Regge il fio dei giorni / per la tela tra le dita. / Pone sulla rocca il pennacchio, / filatrice della vita. / Uno due e tre Moire / Cloto non la puoi sentire”


Intorno al chilometro 13 rallentò bruscamente “Avresti dovuto lasciare che continuassi a pettinarle i capelli… l’oro alle pareti e i lampadari di cristallo sarebbero stati tutti per te, che tu sia dannato!”.
Quando la porta si aprì, alla locanda Della Cannella la proprietaria accolse il forestiero invitandolo a sedersi accanto al caminetto e a rifocillarsi con una zuppa calda. A pochi passi da lei, sulla sedia rivolta al focolare, un anziano si destò come da un incubo. Gli occhi sgomenti, iniziò a balbettare ‘Avvolgendo al fuso il filo / dispensa la morte. / Per la tela tra le dita, / fissatrice della sorte…’.
Nel mentre, infilò l’uscio un artigiano -Non vedevo l’ora di rientrare…- e un tenero bacio sulla fronte alla bionda locandiera che annuì.
‘…uno due e tre Parche / Lachesi non la puoi capire’, ancora il veglio.
-Smettila vecchio, spaventi i clienti con la tua Filastrocca delle Ombre torbide-.
Lei cercò di calmarlo, e insieme lo accompagnarono a letto. La donna tornò subito per scusarsi con l’ospite, offrendogli la cena. Lui chiese una camera per qualche notte, e si accomiatò.
Il mattino seguente l’anziano non si vide. L’artigiano era uscito di buon ora, e il pernottante chiese un caffè macchiato caldo e un croissant alla marmellata.
La locandiera, badando a non farsi notare, lo guardava negli occhi… non ci vedeva l’anima.
E’ solo un detto pensò, e sorrise. Quel giorno per l’ora di pranzo arrivarono un guardiano del Palazzo sull’Acqua con la moglie, una romanziera. Clienti di vecchia data. Lei chiese del suocero alla locandiera, e la donna rispose che nella nottata aveva avuto un febbrone. In serata si aggiunse alla compagnia anche l’artigiano, e davanti alle caldarroste e al buon vino le chiacchiere riscaldavano l’aria Della Cannella al crepitio del fuoco.
Da sotto il cappello l’uomo osservava la romanziera. Gli occhi scuri come due ombre gli ricordavano qualcuno del passato, e gli cagionavano uno strano interesse quei capelli lunghi e scuri. La donna si accorse di lui, e gli si avvicinò per invitarlo a unirsi alla combriccola <Venga a bere con noi, io mi chiamo Lobella. E lei, qual è il suo nome?>.
Esitò. Il dito asciutto girava intorno al tovagliolo “La ringrazio, ma preferisco di no. Domani ho molto da fare” e andando via arrotolò le maniche della camicia palesemente ansioso.
Lobella avrebbe giurato di aver capito domani abbiamo molto da fare, e che il ratto tatuato sull’avambraccio si fosse mosso… ma pensò certamente di aver frainteso per via della stanchezza per il viaggio. Mentre si diceva che nessuno si tatuerebbe un topo… dalla porta ecco entrare la figlia adolescente col fidanzato. Le due si misero ad ancheggiare in una danza che più che a un ballo somigliava al colmare d’affetto una troppo prolungata assenza.
Spensierate e gaie iniziarono a raccontarsi degli ultimi mesi, finchè il padre non reclamò un caldo abbraccio. Il giovane sedette con gli uomini a bere, la ragazza invece si intrattenne a lungo con la locandiera. Non si vedevano da tempo, e Benedetta voleva sapere tutto degli studi e dell’amore.
Lobella cercò di non disturbarle, ma qualcosa la induceva a porsi domande sull’insolito comportamento dell’unico altro cliente della locanda. Non era semplice curiosità la sua, ma che altro allora!? <Benedetta… tesoro, scusate. Benedetta, che puoi dirmi dell’uomo che alloggia qui? Come si è registrato? Da dove viene?> pareva scossa. <Che ne pensate? …credo di averlo già visto, non so dove. Parlandogli mi ha dato come l’impressione che desse importanza unicamente al tovagliolo che cercava di nascondere>.
Benedetta sobbalzò -Sento parlare di nuovo di un tovagliolo, come la volta del camionista… un forestiero allora me ne rovinò uno. Lo prese la Policja, ma lo fotografai col telefono per farmelo ripagare se fosse mai tornato. Ecco, guardate-.
La figlia di Lobella <<Io so cos’è, è latino… PICTA significa quadro>>.
A Lobella sovvenne qualcosa. Impietrì. <Ricordate quando andammo tutti insieme a visitare Parco Lazienki… stavano ristrutturando il Palazzo sull’Acqua, e avevano spostato le opere nella Casa Bianca. Lì vedemmo un quadro ottocentesco…>.
<<Calmati mamma, mi spaventi…>>.
-Lobella, amica mia…- cercò di sfiorarle il braccio Benedetta, per tranquillizzarla.
Gli occhi sgranati tra i capelli scuri <…l’avambraccio. Nel quadro l’angelo di Lucifero sembrava ridere dei ratti che gli rosicavano le carni…>.
-Lobella, cara…- la locandiera visibilmente preoccupata.
<E dimmi, che nome ti ha dato quando è arrivato…>.
-Vediamo. Samaèl… aspetta, Samaèl Propinquus. Pare una qualche lingua antica…-.
<<So anche questo…>> la ragazza tentennando <<…anche questo è latino, vuol dire: vicino…>>.
Un urlo inumano fece correre le tre donne e i commensali al piano rialzato dove vi era la stanza dell’anziano ammalato «Padre…» l’artigiano, in ansia.
-E’ tornata la febbre?- chiese angustiata Benedetta.
‘Taglia con le forbici / quando giunge il momento / di arrestare la vita. / La tela si scinge al vento. /Uno due e tre Esperidi / Atropo decide quando morire’.
Un colpo di tosse. E spirò.




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Racconto scritto il 15/04/2022 - 19:41
Da Mirko D. Mastro
Letta n.379 volte.
Voto:
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Commenti


Non potevi lasciarmi complimento più gradito Marina, grazie.

Un pizzico di paura, una spolverata di mistero e qualche accenno poetico... c'è tutto per un noir allora, grazie Anna. Non potrei dimenticare la poesia, non mancherò.



Mirko D. Mastro 16/04/2022 - 05:24

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E' inquietante davvero, e questo per la maestria dell'autore nel narrare che cattura, coinvolgendo il lettore.
Complimenti, Mirko!

Marina Assanti 15/04/2022 - 22:04

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Azz Mirko...fa paura!! Ahahah..molto interessante non vedo l' ora ne appaia qui un altro...racconto gotico poetico!! Però..amo tantissimo le tue poesie non lasciarle indietro..grazie!!

Anna Cenni 15/04/2022 - 20:22

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