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Il cammeo della granduchessa

Cap. I
Il borgo di San Jacopino e il libro.



Una Firenze calda e assonata s'affaccia sulle righe dei fogli...
Sfogli la tua margherita dai petali appassiti e rimani spoglio davanti al tempo, potresti chiederti qual è il tuo tempo oppure rimanere col dubbio in eterno, è l'eternità che affama l'animo nutrendolo violentemente con le sue sanguinose mani che stritolano ogni barlume di logica.
Il caldo governa e io sono io, padrone del tutto, possessore del nulla e una strada, via Maragliano, sbuca in uno spiazzo dove vicende indicano e un cartello stradale segna un senso unico.
Potrebbe anche essere il 1959, non sono sicuro.
Avevo casa allora in largo san Jacopino, una piazza circondata da molte attività, un rigattiere, uno spaccio di generi alimentari, una piccola macelleria, qualche negozio d'abbigliamento e una pizzeria con a fianco una pasticceria.
Maggio o giù di lì, no, era maggio ora che ci penso non ho dubbi.
Mi dico ho fame, direi meglio che la fame mi parla con una voce da oltretomba, già oltretomba.
Tralascio, voi che ne dite?
Fossi matto quando la fame chiama io vado in pasticceria e che ci trovo? Cornetto alla crema? No... si... no, in un certo senso sì.
Mi spiego meglio, colazione e visita al rigattiere vicino.
Bancarella di libri usati…
M'avvicinai e decisi d'acquistarne uno con una vecchia copertina di pelle rossa che attirava la mia attenzione.
Direte, bella scoperta son libri usati per forza son vecchi!
Questo era proprio vecchio, accidenti comincio a essere serio, quasi quasi mi spaventa un po' sta roba qua, sposta un attimo la mano, grazie ora leggo il titolo: “Astri del Cielo”, bello!
Il titolo stuzzicava non poco la mia passione per la geografia astronomica, lo avvolsi in un foglio di carta e presi a gironzolare per la città fino all'imbrunire.
Non penserete mica che abbia mangiato quella pubblicazione? Macché, mi fermai in centro e per la precisione in un ristorante selfservice.
Cotoletta alla milanese e patatine fritte, questo il menù.


Stanco per la calda giornata e ansioso di dare un'occhiata a quel libro, presi al volo l'autobus n° 10 che portava in piazza San Jacopino, giunto a destinazione scesi con premura dal mezzo saltando quasi addosso a un tale vestito di nero con una tuba scura in testa che sembrava venir fuori da un altro secolo.
Messo il piede sul marciapiede voltai lo sguardo verso quella persona accorgendomi che m'osservava in maniera alquanto insistente e prima che l'autobus ripartisse feci in tempo a chiedergli scusa d'averlo spintonato, il tizio mi rispose con un movimento della testa e un sorriso appena accennato, con passo veloce quindi mi diressi verso casa.
Una volta entrato mi sdraiai sul letto e cominciai a sfogliare le pagine del mio libro, sulla copertina era stampato: “Saggio d'Astronomia e Calendario della fasi Lunari”, anno di stesura 1859 e firma in calce di “George Stone” ordinario della cattedra di Geografia Astronomica all'università di Firenze.
M'accorsi immediatamente che il testo era in buone condizioni, tranne la pagina n°40 che aveva uno spessore maggiore rispetto alle altre, la presi fra due dita e, sotto i polpastrelli, notai una piccola rientranza, con stupore capii immediatamente che erano due fogli incollati tra di loro, accesi allora una piccola candela e li riscaldai, distanziandoli così dal resto del libro, la vecchia colla indurita si sciolse consentendomi di staccarli l'uno dall'altro senza stracciarli.
Allargando quei fogli rimasi stupito: cadde in terra un piccolo pezzo di carta ingiallita, lo raccolsi con delicatezza a me non usuale e, dopo aver poggiato sul comodino il libro, concentrai la mia attenzione su quel foglietto manoscritto e sotto la luce di un abatjour cominciai a leggerlo.


«Addì 10 maggio 1859.
Io granduchessa Maria Alexdrandova nell'ora dei miei 40
che dal destino sottrarmi non posso,
dell'amore mio strappata a forti ardimenti,
consegno l'anima e questo scritto
a chi nel tempo futuro buon uso ne farà».


“Al quarto di luna volgi lo sguardo
e posa la mano sopra.
100 saranno al traguardo.
A te la lancetta svelerà l'arcano
sotto il cerchio delle cinque ore
del gioiello mondano l'effige posa,
sollievo sarà del mio dolore
e il decimo non aprirà invano”.


Cosa voleva dire? Qual era il suo significato e a chi era indirizzato?
Affranto dalla mia incapacità di trovare una soluzione andai a dormire, l'indomani avrei provato a venir a capo dell'enigma.


Avete visto come sono diventato serio... meglio lasciar parlare la storia in un tono narrativo classico. Ci ritroveremo alla fine, voglio anch'io leggermi il seguito senza essere disturbato, anche perché non ho ben compreso di cosa si tratti...
Ah dimenticavo siamo a lunedì 4 maggio 1959 e non dimenticate la data...


Cap.II
La biblioteca Nazionale


Alle sei del mattino m'alzai lasciando i dubbi passati nella stanchezza della sera precedente e prendendone a piene mani di nuovi per la giornata appena nata.
Mi vestii in fretta e cominciai a riflettere so ogni elemento in mio possesso.
Preparai mentalmente un calendario di azioni da seguire con scrupolosa attenzione.
Copiai su un foglio lo scritto e, dopo averlo letto con calma senza arrivare ad alcuna conclusione che mi schiarisse le idee, lo abbandonai sul letto decidendo pulire la mente con quattro passi all’aria aperta, scesi in strada m'appoggiai a un palo e attesi il passaggio dell'autobus.
Il ritardo consueto delle cose pubbliche mi consentii di indirizzare le mie ricerche verso un luogo preciso che scoprirete dopo.
Ecco vi lascio, devo salire su...
Il mezzo era vuoto, m'accomodai sulla fila di destra al sedile n°10 e, guardando verso lo specchio retrovisore posto di fianco al conducente, vidi in fondo quell'uomo con la tuba scura che avevo incontrato il giorno prima, pensai:«sarà un artista di strada, uno dei tanti che popolano le vie della città.» Intanto l’autobus si dirigeva verso il centro di Firenze.
Arrivato a ponte Vecchio scesi all'altezza di un'edicola e mi avviai verso piazza della Signoria, passando sul punto esatto dove fu bruciato il Savonarola, voltai le spalle alla statua del Nettuno posta di fronte a Palazzo della Signoria, guardai verso la Loggia dei Lanzi e, sotto la statua del Perseo, vidi nuovamente quell'uomo vestito di nero che sembrava rivolgersi a me e che con degli ampi cenni mi invitava a seguirlo verso un’ignota meta.
Cercai di raggiungerlo ma i suoi passi più veloci dei miei non me lo consentirono.
Egli s'avviò versi gli Uffizi svoltando sul lungarno, lo seguii con fatica ritrovandomi in piazza dei Cavalleggeri, davanti alla Biblioteca Nazionale Centrale; allungai lo sguardo e verso l'entrata, sotto l'arco della facciata, notai quello strano individuo, aveva un'espressione di sorriso e sembrava ancora rivolgersi a me come un cacciatore che non molla la sua preda.
Poi un fascio di luce lo investì facendolo scomparire nel nulla, anch'io ebbi un'illuminazione: dovevo entrare dentro la biblioteca e cercare, sì, ma cercare cosa? Notizie sul manoscritto, ecco quello che avrei dovuto fare e nel particolare mi girava in testa l’idea di trovare notizie sulle famiglie nobili vissute a Firenze intorno alla metà del 1800.
Feci così e, dopo varie ore di ricerca, venne fuori quello che mi interessava: la granduchessa Maria e suo marito Alessio Alexandrov avevano vissuto a Firenze tra il 1840 e il 1860, risalii a queste date perché in quel periodo essi avevano acquistato sulle colline di Fiesole un'antica villa, divenuta poi un museo, che racchiudeva un'ampia collezione di quadri.
Il tutto era riportato nella storia dei proprietari della villa.
Felice delle mie scoperte decisi di prendermi una pausa, m'avviai verso il Duomo e entrai in un ristorante con vista sul campanile di Giotto, il solito che da molto tempo accompagnava le mie proverbiali crisi di fame e quelle, credetemi non erano visioni…
Presi l’autobus del ritorno e reggendomi sui tubolari d’alluminio cominciai a scrivere mentalmente la storia che mi stava coinvolgendo con tutto il suo antico mistero.
Scesi inserendo una sorta di pilota automatico e immerso nella nebbia dei miei pensieri misi le chiavi di casa nella toppa e crollai fra le braccia di Oniro, un oblio rivelatore, forse...


La giornata di martedì cinque maggio 1959 stava per trascorrere definitivamente.


Cap. III
Le nubi


L'indomani la sveglia suonò alle sei e io m'alzai ansioso di leggere il libro che avevo preso in prestito dalla biblioteca Nazionale.
La particolarità della villa, indicata nel libro, non risiedeva tanto nella struttura architettonica, quanto nella presenza al suo interno d'un orologio a muro costruito da Guido dei Guiscardini di Monte Riggioni: mastro orologiaio vissuto nel 1800, molto famoso per le sue realizzazioni.
Dal libro si evinceva che, nel 1851, la granduchessa aveva commissionato la sua costruzione all'interno della sala maggiore della villa: luogo di importanti ricevimenti e feste.
L' orologio era così realizzato: v'erano due cerchi uno dentro l'altro. Nel primo si trovavano le ore e i minuti con le relative lancette, la scritta LUNA e un rettangolo per la data.
Nel secondo cerchio esterno v'erano i mesi in corrispondenza delle ore, indicati da una terza lancetta.
Sulla sinistra dei quadranti due file di numeri verticali segnavano i giorni, delle astine si muovevano a seconda del giorno.
A destra dell'orologio si trovava un terzo quadrante più piccolo, all'interno del quale appariva il simbolo del quarto di luna: esattamente nel giorno, mese e ora in cui esso avveniva.
Nello scritto non trovai altre indicazioni sul funzionamento del meccanismo.
Il resto trattava la storia della famiglia Alexandrov.
Vi accenno le parti salienti: essi erano arrivati a Firenze da San Pietroburgo. Imparentati con lo zar Alessandro II, il granduca Alessio svolgeva funzioni di console. La granduchessa, appassionata astrofisica e studiosa dei fenomeni dell'occulto, era molto nota nell'ambiente universitario e nei salotti culturali e mondani della città.
La vicenda più interessante riguardava però la sua scomparsa misteriosa, avvenuta il 10 maggio 1859, in circostanze mai chiarite.
Tempo dopo il granduca, affranto dal dolore, era tornato in Russia.
Finalmente iniziavo a non capirci nulla...
I dubbi si sarebbero dissolti solo nei giorni seguenti.
Così tra una miriade di supposizioni trascorse mercoledì sei maggio del 1959.


Cap. IV
Il Mappamondo.


Il giorno dopo nelle mie mani avevo questi elementi: le indicazioni di una villa con un orologio astronomico a fasi lunari. Un piccolo manoscritto, il nome d'una granduchessa e infine il libro stesso d'astronomia.
Dovevo unire tutti questi elementi...
Quel giorno sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe messo tutti i tasselli al giusto posto.
Riordinare le idee era d'obbligo. Alle dieci del mattino feci una passeggiata. Giunto all'altezza di piazza san Jacopino, presi dalla pasticceria uno strudel di mele, un bicchiere di latte e mi accomodai fuori dal locale.
Mentre facevo colazione vidi dalla altra parte della strada quel signore con l'abito scuro, incontrato all'inizio della storia, che m'osservava ancora dalla soglia della bottega del rigattiere.
Posai con foga il bicchiere sul tavolo e, inghiottito il dolce che scese giù per l'esofago come un macigno, corsi verso l'entrata del negozio.
Mi catapultai all'interno e il misterioso uomo ovviamente non c'era.
Il rigattiere mi guardò in modo un po' strano.
Mi ricomposi e chiesi se per caso avesse un vecchio mappamondo. Fu la prima cosa che mi venne in mente di chiedere.
Per mia sfortuna nella bottega ve ne era uno e altro non potei fare che acquistarlo.


“Guardi che questo mappamondo viene da un antica villa, pare che lo abbiano ritrovato nella sala delle feste un secolo fa, è un gran bell'oggetto.
Lo tratti con cura ha tanta storia con sé”.
“Va bene cercherò di tenerne conto, arrivederci”.


Questo rigattiere mi ha distratto accidenti, torniamo alla storia.


Tornai a casa e posai sul tavolo quello sgangherato oggetto.
M'accorsi che la base era rotta. Decisi allora di ripararlo.
Smontai la parte inferiore e dal suo interno scivolò via un tubo di rame.
Pensando facesse parte del meccanismo interno lo raccolsi: nel prenderlo notai che era più pesante di quello che avrebbe dovuto essere.
All'interno v'erano dei fogli arrotolati con cura. Con l'aiuto di un piccolo punteruolo li tirai fuori.
Erano tenuti insieme da un laccetto rosso.
Lo slegai e all'interno vi trovai un cameo rosa.
Presi in mano quella spilla la girai notando dietro un'iscrizione. Con l'ausilio d'una lente d'ingrandimento lessi questa frase: “Nel quarto il tutto”.
Ancora ricorreva questa frase: “il quarto”.
Presi i fogli che custodivano il cameo. Erano in realtà delle lettere.
La nebbia si diradava e la strada maestra che portava alla soluzione sembrava apparire...
Essi erano un cartiglio d'amore fra il professore Stone e la granduchessa Maria.
Dalla loro lettura appresi che i due, frequentando lo stesso circolo letterario, s'erano innamorati. In seguito poi avevano iniziato a scambiarsi una serie di lettere in cui parlavano spesso di un argomento che li univa: lo studio delle fasi lunari.
Il professore le aveva regalato quel cameo. Il resto lo capirete leggendo anche voi quello che lessi io nell'ultima lettera inviata dalla granduchessa all'amato in base alla data su essa scritta.


“Addì domenica10 maggio 1859,
4: 30 del mattino.


Amor mio non più è tempo
di gioia.
Io non ho più tempo
fra poco l'alito scuro della
morte soffierà su di noi.
Conserva con cura
il dono tuo che ti rendo
e quando cento saranno eguali
esso svelerà nel cerchio
la porta del nostro
amore, che si schiuderà nello stesso tempo dopo
premendo al fine del quarto
di luna”.


Non tutto era chiaro, mi rimanevano tre cose da metter al loro posto.
Nel frattempo la sera era giunta.
Così anche quella giornata aveva voltato pagina.
Era giovedì 7 maggio.


Cap. v
Il segreto svelato


Mi svegliai di buon ora, feci colazione e attesi l'apertura della Biblioteca Nazionale. Presi il solito autobus e scesi in centro ripercorrendo i passi dei giorni antecedenti. Una volta sul posto cercai indicazioni sui docenti universitari della facoltà di astronomia, tra il 1850 e il 1900. Trovai dopo diverse letture il nome del professor Stone.
Lessi una cosa che mi stupì: pochi giorni dopo la scomparsa della granduchessa egli era morto suicida gettandosi nell'Arno.
Uno dei tre tasselli era andato al suo posto, restavano gli ultimi due.
Finita la ricerca sul professore il mio obiettivo era trovare un libro sulle fasi lunari avvenute negli ultimi 100 anni. Riuscii nell'impresa. Anche questo tassello era andato a posto.
Per arrivare alla risoluzione dovevo trovare il modo di entrare durante le ore della notte nella ex villa degli Alexandrov.


La sera non tarda mai a venire e venne anche quel giorno.
Anche la giornata di venerdì otto maggio era passata.
Spero che anche voi abbiate ora un'idea più chiara...


Cap. VI
La villa


Arrivò l'alba e per scaramanzia feci tutti quei gesti che ero solito fare.
Presi l'autobus, scesi a Ponte Vecchio e salii su quello che portava direttamente al centro di Fiesole dove si trovava la villa.
Durante il tragitto mi rilassai guardando le verdi colline che circondavano Firenze.
Arrivato a destinazione entrai nell'androne, comprai il biglietto d'ingresso
e discorrendo gentilmente con la guida, gli raccontai della mia passione per i dipinti.
Nel giro delle stanze l'ultima a essere visitata fu proprio quella che cercavo: il salone delle feste con l'orologio costruito sulla parete che dominava l'intera sala.
La mia ansia saliva ma dovevo rimanere calmo.
Tutti uscirono e io salutai la guida.
Senza farmi notare mi nascosi dietro una siepe ben alta che oscurava una finestra aperta per il caldo.
Pensai alla fortuna, voi non so...
Mi ritrovai all'interno: sgusciai veloce in un piccolo ripostiglio attiguo all'entrata.
Ebbi ancora fortuna: quella villa non aveva sorveglianza. La fondazione che la gestiva poteva solo assoldare una guida, non v'era nemmeno un custode notturno.
Mi accostai con la testa al muro e un leggero sonno m'avvolse: avevo impostato la sveglia del mio orologio alle 4,30 del mattino.
La notte porta consiglio, a me portò il sonno.


Era trascorsa inevitabilmente la giornata di sabato 9 maggio.


Cap VII.
L'orologio


All'ora prestabilita la sveglia suonò.
Mi svegliai dal mio torpore, nonostante l'eccitazione avevo dormito.
Chissà poi perché visto che io soffrivo d'insonnia, figuriamoci poi con tutta quella tensione addosso.
Le sale erano vuote, infatti la domenica il museo è chiuso.
Entrai nel salone grande e m'avvicinai all'orologio.
Presi un tavolino, lo posizionai sotto di esso e vi salii su, aspettando che battesse le 5 del mattino.
Era domenica 10 maggio del 1959.
Quando le cinque scoccarono avvicinai una mano alla scritta “luna”.
Con la destra tirai fuori dalla tasca il cameo della granduchessa che avevo portato con me e lo posizionai sotto il cerchio delle cinque, dove si notava una piccola fessura che combaciava perfettamente con esso.
Con la mano sinistra spinsi in alto la quarta lettera della parola luna e, come d'incanto, nel muro di fianco all'orologio si spalancò una porticina.
Erano le cinque del mattino di domenica 10 maggio 1959.
Cento anni dopo la morte della granduchessa esattamente lo stesso giorno.


Cap. VIII
La Granduchessa


A quella ora, esattamente un secolo prima, e cioè alle cinque di domenica 10 maggio 1859 il quarto di luna era tramontato.
Saltai giù dal tavolo.
Entrai in quella buia stanza e pian piano la luce del giorno che filtrava dall'entrata svelò tutto.
Ambiente austero con pochissimo mobilio appariva alla vista.
Il corpo d'una dama incorniciato da un fastoso vestito aspettava da un secolo. Stranamente si potevano distinguere ancora le fattezze del viso: aveva posato sulla chioma un gran cappello rosso che lasciava intravedere bionde ciocche di capelli scender giù a coprire un impolverato vestito di seta rossa e nera.
Ella era adagiata su di un piccolo lettino: sembrava dormire in un sonno senza fine.
Accanto, sul comò v'era una piccola boccetta di vetro e un calamaio con dei fogli...
Presi la sua mano con fare leggero e rimasi immobile per non so quanto tempo...


Cap. IX
Spiegazione


Oramai sapevo.
La granduchessa aveva fatto ricavare all'interno della parete, dove v'erano i meccanismi dell'orologio, una piccolissima stanza segreta di cui solo lei ne era a conoscenza.
In quel luogo s'era data la morte con una boccetta di veleno.
D'improvviso avvertii un rumore, mi voltai di scatto.
La porticina d'ingresso, allo scoccare dell'ora successiva, cominciava a chiudersi lentamente.
Con un balzo venni fuori, ed essa si richiuse conservando per sempre il suo segreto.
Uscii da dove ero entrato, scavalcai il cancello d'ingresso e nell'aria fresca del mattino andai via, attorniato da un crogiolo di sensazioni.


Cap x
Il professor Stone.


Aspettai l'autobus delle 7, lo presi e scesi a Ponte Vecchio.
Ero troppo sconvolto e decisi di andare a piedi verso casa.
Volsi lo sguardo dal ponte Con velata tristezza, nascondendo a fatica le lacrime sotto un paio di occhiali scuri.
Mi parse di scorgere sull'acqua due sfuggenti figure: un uomo e una donna che, avvolti da una leggera foschia mattutina, tenendosi per mano, passeggiavano sull'acque dell'Arno.
Non riuscivo a spiegarmi la realtà e nella foga non m'accorsi d'essermi sporto oltre la murata...


“Scorre l'acqua misteriosa e nei flutti del mattino
ora vanno le stelle a riposar.
Vieni con me dolce amore
che del tempo non son più ore
che della vita non conta dolore.
Vieni fra calde braccia
nel freddo della morte
or sì ch'io son tua sorte”.


Qualche tempo dopo...
Un furgone parcheggia sul marciapiede.
Alcune persone montano una pedana elettrica con un montacarichi.
Via vai per il pianerottolo.
Un vecchio libro, un mappamondo rotto e...
Sul campanello accanto alla porta un nome.
“Prof. Stone”


«Eccomi qua, che bella storia, finalmente posso rilassarmi.
Date uno sguardo alla foto sopra il racconto.
E' una foto del mio salone di casa... come vedete la granduchessa è sempre stata con me e forse io potrei essere anche prof. Stone.
Voi che ne pensate?
Accidenti un'ultima cosa mi sfuggiva, vi siete chiesti come ha fatto la granduchessa a far arrivare le lettere a destinazione?
Se avete letto attentamente lo scoprirete.
Oppure chiedetelo a me, basta che veniate a trovarmi.
Sono su piazzale Michelangelo, guardate un po' in alto, vedete San Miniato?
Beh, domandate all'entrata, vi indicheranno...»


(Riduzione in racconto dal mio romanzo "Il cammeo della Granduchessa" anno2015©)




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Racconto scritto il 02/05/2022 - 13:49
Da Jean Charles G.
Letta n.376 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Ciao grazie del passaggio, in ogni caso penso che chi frequenti siti di scrittura lo faccia per la passione di leggere, il racconto è pubblicato ed è a disposizione del lettore nei tempi e nei modi a lui più consoni.

Jean C. G. 07/05/2022 - 19:33

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10 capitoli in una volta?
Peccato, scrivi bene, ma saranno pochi a leggere tutto.

Aquila Della Notte 05/05/2022 - 22:08

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Chapeau... ne farò tesoro

Mirko D. Mastro 03/05/2022 - 13:28

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Ecco appunto correggo "più" in "può"...

Jean C. G. 03/05/2022 - 12:56

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Grazie a te Mirko, aggiungo che la prima cosa da fare è capire dove più arrivare la propria scrittura umilmente e attraverso studio, letture e puro esercizio. Il talento va bene ma bisogna curalo e soprattutto bisogna saper accettare il giudizio critico sulla tua opera perché attraverso la critica costruttiva si cresce molto e si migliora sempre. Nessuno di noi è esente da errori e mai si smette di imparare. Compreso questo se uno ha voglia bisogna non mollare mai cercando di non cadere nelle finte chimere e rimanendo con i piedi molto per terra. Ricordatevi che nessuno regala niente, bisogna conquistarsi le cose sul campo e con sudore, i titoli lasciamoli ai nobili e soprattutto impariamo che sono gli altri che giudicano ciò che noi scriviamo e le etichette non dobbiamo mai mettercele da soli, sarebbe un errore gravissimo. E poi buon divertimento e buona scrittura a tutti nel rispetto di tutti gli autori presenti perché ognuno ha un grande valore da esprimere.

Jean C. G. 03/05/2022 - 12:54

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Grazie Jean, parole preziose. Ti ringrazio moltissimo

Mirko D. Mastro 03/05/2022 - 10:50

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Ciao e grazie Mirko.
Tre sono le questioni rilevanti per pubblicare.
1 Pubblicazione con editore conosciuto e sicuro.
2 Distribuzione del libro
3 Promozione del libro stesso.
Possiamo auto pubblicarci e autopromuoverci sia in cartaceo che on line e in tal caso la cosa è complessa e varia molto, bisogna avere fortuna...
Molto meglio inviare e affidarsi a un grande editore.
Evitare tutti coloro che chiedono soldi per pubblicare, non si va da nessuna parte, ti rimane il libro come mera soddisfazione.
In Italia la poesia non vende nulla o quasi, meglio nel mondo anglosassone e in America latina.
On line si può provare con Amazon o altre entità ma se manca il grande riscontro della visibilità non si va da nessuna parte.
Rari casi di fortunate circostanze hanno premiato in America scrittori che hanno iniziato sui forum.
I concorsi poetici sono per il 90% inutili farlocchi per spillare soldi e ammaliare chi non ha esperienza proponendo inutili e ammiccanti chimere dietro pagamento.

Jean C. G. 03/05/2022 - 09:03

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Opera di altissimo livello e di grande trasporto.
In seguito, se non ti disturba, magari ti chiederò due dritte su come e con chi sia meglio pubblicare...

Mirko D. Mastro 03/05/2022 - 04:59

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Sono tornata a rileggermi alcune parti, specie quelle poetiche.
E' meraviglioso, Jean... mi fa sentire piccola piccola...
Serena notte e grazie

Marina Assanti 02/05/2022 - 23:23

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Grazie di cuore Marina e grazie Anna. Ho scritto un surreale ambientato a Padova, in futuro lo pubblicherò qui. Grazie ancora una serena notte.

Jean C. G. 02/05/2022 - 18:56

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E' splendido, splendido!
Una narrazione che seduce e trasporta il lettore nella realtà del racconto, in atmosfere misteriose e romantiche.
Firenze l'ho visitata una sola volta, tanti anni fa, ma come non ricordare i luoghi citati?
Complimenti sinceri, Jean, tornerò a rileggere, per mio piacere, alcuni punti, perché i miei occhi non mi consentono di abusare di loro, ma questo tuo era troppo interessante e ben scritto per non terminarlo...
Un saluto,
con tutta la mia stima,
Marina

Marina Assanti 02/05/2022 - 17:43

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È che la città la descrivi così bene che sembra di essere dentro un film ma certe cose non si chiedono scusami tanto!!

Anna Cenni 02/05/2022 - 17:41

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Puoi scrivere anche su padova dove ho studiato e che non vedo da tempo? Grazie!!Son sfacciata vero? Un saluto!!

Anna Cenni 02/05/2022 - 17:13

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Dovevo solo fare una pausa di lavoro invece...racconto avvincente di quelli che non smetti di leggere per arrivare alla fine e scoprire...che è bellissimo come le poesie come cammei inseriti dentro!! Poi conoscendo Firenze mi ci son trovata proprio dentro!! Complimenti!!

Anna Cenni 02/05/2022 - 17:11

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