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La profezia

In questa vecchia Europa, quasi ogni pietra sovrapposta a un altra, ciascun crocevia, ogni arco, è testimonianza di eventi remoti, esempi di eroismo, di bellezza, spesso di ferocia e crudeltà.
Tutto ciò si può trovare, ad esempio, a Francoforte sul Meno, oggi cuore gelido della Finanza tedesca, ieri luogo dove le legioni di Diocleziano costruirono i loro accampamenti.
Lasciati i grattacieli del quartiere degli affari, tracce e atmosfere dei duemila anni di storia della città se ne possono trovare molte, ma non cercate l’antica Börnerplatz con la sua imponente Sinagoga.
Quella piazza, cuore di uno dei più antichi ghetti d’Europa, subì il destino di milioni di altri cuori, fermati per sempre dall’avvento al potere del nazismo e dalla successiva, folle macelleria chiamata “seconda guerra mondiale”.
La Sinagoga fu data alle fiamme e poi rasa al suolo nel 1938; l’area che occupava fu destinata a “migliorare la viabilità cittadina”, così recitava l’ordinanza dell’amministrazione locale che ne sanciva la totale scomparsa.
Quanto alla Börnerplatz, ebbe una sorte meno cruenta: semplicemente le fu cambiato il nome perché il signor Börne, poliedrico intellettuale dell’ottocento, in realtà si chiamava Baruch ed era un ebreo.
Il nuovo nome di quella piazza era Dominikanerplatz, e nel pomeriggio di domenica del tardo settembre 1937, due ragazze uscivano dal portone di un palazzo, proprio di fronte alla sinagoga.
Ester e Miriam, diciassette anni, erano nate a poche ore di distanza, nello stesso ospedale. Figlie di due sorelle, più che cugine erano da sempre amiche inseparabili che condividevano gli studi, i turbamenti dell’adolescenza, i segreti grandi e piccoli, e naturalmente, i divertimenti.
Chiacchierando, le ragazze si diressero verso il fiume non lontano dove, in uno spiazzo polveroso, era accampata una carovana di orsanti e saltimbanchi italiani.
«Io non ci credo: come dice mio padre, chi pretende di leggere il futuro è un imbroglione», stava dicendo Miriam.
«Può darsi, ma Solomon, Ahron e i suoi amici ci sono andati e ne sono entusiasti, pare che quella vecchia riesca a dire cose inquietanti in modo strano e convincente», rispose Ester.
«Strano è dire poco, ti ricordi quello che ci ha raccontato il professore di lettere sulla Sibilla… come diceva? Ah sì, ibis redibis numquam peribis. Furbo più che strano, direi.».
«Miriam, noi andiamo solo per divertirci, anzi, qualunque cosa ci dirà non la prenderemo sul serio, d’accordo?».
Miriam annui, poi si arrestò. Non sorrideva più.
«Certo, hai ragione, le cose serie sono altre». La ragazza indicava un grande manifesto sul bordo della strada: “Der ewige Jude”, “L’eterno giudeo”. Pubblicizzava la mostra che, appena inaugurata a Monaco, presto sarebbe giunta anche lì, a Francoforte.
Il manifesto raffigurava un ebreo ritratto secondo la visione nazista: il volto deformato da un ghigno malvagio, la barba lunga e incolta, nella mano destra alcune monete d’oro, nell’altra la falce col martello, simbolo del bolscevismo. Secondo la propaganda antiebraica, il bolscevismo era il mezzo prescelto dal complotto globale giudaico per arrivare al dominio politico ed economico sul mondo intero.
«Io non capisco tutto quello che sta accadendo» disse Ester, dopo aver letto il manifesto, «ma ascolto quello che dicono i miei genitori; sono molto preoccupati, tra l’altro devono fare mille sacrifici, abbiamo sempre meno clienti e devono anche pagare la nostra scuola. Ora stanno addirittura pensando di lasciare la Germania.».
«Quella di chiudere le scuole pubbliche a noi ebrei è stata proprio una porcata», rispose Miriam, «anche i miei parlano di andarsene, non sanno quanto potranno resistere. È vero, nel negozio i clienti diminuiscono ogni giorno. Mio padre dice che per gli altri, i gentili, anche quelli che non ci odiano, sta diventando pericoloso persino frequentare un nostro negozio.».
«…e molti sono già partiti», la interruppe Ester. «Fra quelli che conosciamo, sono andati via i Blum, i gioiellieri con quei tre bellissimi bambini, e i Frank; Ricordi Margot, che era a scuola con noi?»
«Sì, certo, la Frank, abbiamo spesso studiato a casa sua, ricordo anche la sorellina, Anna, mi pare, così simpatica e sveglia.»
«E altri stanno per partire, tutti per Amsterdam, al sicuro.».
«Il quartiere si sta spopolando, e noi cosa faremo?».
«Miriam, noi saremo sempre insieme, vedrai, le nostre famiglie sono troppo unite. Ma adesso basta pensieri tristi, siamo quasi arrivate, cerchiamo di divertirci un pò’».
Le due amiche non ebbero difficoltà a individuare il carrozzone che cercavano: una coda di una decina di persone in attesa lo rivelava anche a una certa distanza.
Dovettero attendere più di un’ora prima di essere ammesse all’interno e subito provarono un senso di delusione: il carrozzone era buio, odoroso d’incenso e ricco di pesanti tendaggi, esattamente lo scenario che si attendevano da un antro di ciarlatani, ne avevano già visti altri. Inaspettata fu invece la reazione della donna che le accolse, una vecchia biascicante e quasi repellente.
Dopo un primo sguardo alle ragazze, la donna mormorò a bassa voce, come tra sé, due parole in yiddish: “giovani ebree”, poi aprì un grande baule e ne trasse una menorah, la posò sul tavolo e ne accese cerimoniosamente i sette lumi. Miriam e Ester si guadarono stupite. “Bel trucco, come avrà fatto a sapere che siamo ebree?” pensarono entrambe.
«Ponete la mano sinistra col palmo in alto, sotto la menorah, e fate in modo che si tocchino.».
Esaminò brevemente le mani, in silenzio. Poi ripeté l’esame con più cura, sfiorando con sorprendente delicatezza le linee e seguendole con i polpastrelli, a occhi chiusi. Infine, dopo un silenzio che alle ragazze parve lunghissimo, appuntò uno sguardo colmo di tristezza sugli occhi di Ester, poi su quelli di Miriam: «Fumo che porta morte fumo che porta vita uno vincerà per entrambe».
Pronunciò la frase cantilenando, senza pause e senza espressione. Non disse altro ma rifiutò il denaro che le veniva offerto, lasciando le due amiche deluse e turbate.
Appena fuori dal carrozzone, tentarono di mascherare l’inquietudine con una risata liberatoria, ma lo strano responso continuò a lungo a risuonare nella loro mente e s’incise nella loro memoria.
Sulla strada del ritorno, passarono accanto al manifesto della mostra. Un gruppetto di ragazzi, forse della loro stessa età, lo stava osservando discutendo animatamente. Al passaggio delle ragazze si voltarono, probabilmente solo per lanciare qualche complimento volgare, ma uno di loro le apostrofò a voce alta: «Vi conosco, siete le figlie dei giudei che hanno le botteghe nella Jordanstrasse, presto ci occuperemo delle vostre famiglie e di voi in particolare, sarà un piacere!».
Tra risate e altre minacce, Miriam ed Ester, in silenzio, accelerarono il passo, spaventate. Non riuscivano, anzi non potevano capire la ragione di tanto odio e non vedevano l’ora di parlarne coi genitori.
A pochi passi da casa, passando sotto la nuova targa che annunciava “Dominikanerplatz”, per la prima volta compresero il sinistro significato di quel segnale, apparentemente di poco conto. Dopo l’eliminazione tutta simbolica dei nomi ebrei, sarebbe forse giunta quella reale delle persone ?



20 gennaio 1940


«Mamma e papà mi mancano. Se avessimo insistito per restare, alla fine avrebbero ceduto; io sono più che preoccupata, l’Italia non è un paese sicuro per loro.».
Se avessero fatto, se avessero visto, se avessero detto… troppe volte la vita delle persone è stata decisa, nel suo bivio cruciale, da una piccola parola: “se”. Nella sua ingannevole brevità, quel “se” racchiude spesso un grido di rimpianto, una sentenza senza appello.


Miriam fumava nervosamente una sigaretta, lo sguardo alla scia turbinosa che, sotto di lei, il grande piroscafo “Orazio”, veterano della rotta che da Genova portava all’America del sud, lasciava tra le onde agitate.
«Sì, forse siamo state troppo arrendevoli. Se avessimo discusso, pregato, magari pianto come quando eravamo bambine, saremmo ancora con loro e non ci toccherebbe aspettare un mese prima di riabbracciarli, e non voglio pensare al peggio.».
Miriam ed Ester erano state costrette a imbarcarsi da sole su quella nave, diretta verso una nuova vita e una sicurezza da ritrovare. A Valparaiso erano attese da amici, fuggiti prima di loro da quella Germania decisa a liberarsi in qualsiasi modo della popolazione di origine giudea.
Un’associazione umanitaria aveva organizzato quel nuovo Esodo verso una terra promessa ma, una volta arrivate a Genova, molte famiglie si erano trovate a un bivio.
Il controllo minuzioso dei documenti, e in particolare dei visti di transito, da parte delle autorità italiane aveva di fatto impedito a molti l’imbarco sull’Orazio. Sorte toccata pure ai genitori di Miriam e di Ester.
«Voi siete in regola, non dovete perdere la nave. Partite, a Valparaiso ci saranno gli amici ad aspettarvi, abbiamo già telegrafato. Noi ci siamo prenotati sull’Augustus, partirà tra un mese; passerà in fretta e ci riabbracceremo.».
Era giustificato il timore per una sosta forzata in un paese, l’Italia, il cui regime aveva emanato già nel 1938 severe leggi razziali mirate a emarginare chi professava la religione ebraica o fosse comunque ebreo per discendenza. Sino a quel momento, tuttavia, il regime fascista era stato tollerante con quel flusso di emigranti forzati che da paesi quali Germania, Austria e Polonia raggiungeva i porti di Genova e Trieste per riacquistare oltre gli oceani libertà e dignità.
Se le ragazze avessero saputo la verità che si celava dietro quegli intoppi burocratici, sarebbero state più che preoccupate, spaventate.
Non si trattava di semplice zelo e pignoleria nei controlli: era invece il frutto di un documento riservato col quale il governo “raccomandava” alla polizia di frontiera di “non agevolare” l’esodo degli ebrei. Un prologo ai primi internamenti di ebrei, anche stranieri, che sarebbe scattato pochi mesi dopo.


Miriam ed Ester stavano ancora parlando dei loro timori mentre il cielo al tramonto, di un rosso cupo screziato di nero, non prometteva nulla di buono. Infatti, il viaggio dell’Orazio era iniziato sotto cattivi auspici.
Salpata il giorno precedente da Genova con rotta per lo stretto di Gibilterra, presto la grande nave fu nelle acque territoriali francesi.
Poco dopo, l’Orazio fu affiancata da due motovedette, partite da Tolone, che le imposero di fermarsi per una ispezione. Si voleva controllare che il piroscafo trasportasse solo civili e non avesse a bordo, a nessun titolo, materiale bellico.
Le operazioni durarono ore. La nave, pur lontana dall’essere stipata, aveva imbarcato oltre quattrocento passeggeri e circa lo stesso numero di persone d’equipaggio; di ciascuno furono ancora una volta esaminati i documenti con pignoleria esasperante.
Nulla di sospetto emerse né tra gli imbarcati né dal contenuto delle stive. Ma tutto questo doveva già essere noto alle autorità francesi, che disponevano di un ottimo servizio di spionaggio nei porti italiani.
Terminata l’ispezione, nel tardo pomeriggio fu concesso all’Orazio il permesso di ripartire.
Ester e Miriam, appoggiate al parapetto del belvedere di poppa, avevano gli occhi arrossati dal fumo denso che le caldaie, alimentate al massimo, lasciavano fuoruscire dall’alta ciminiera. Il comandante aveva ordinato l’avanti a tutta forza per cercare di recuperare il tempo perduto e le macchine, così sollecitate, emettevano più fumo e particelle incombuste di quanto facessero di solito,
La cosa però non disturbava né le due ragazze né molti altri passeggeri della terza classe. Nella prospettiva di condividere per settimane i dormitori maleodoranti, in molti preferivano il freddo e il fumo dei ponti all’ara aperta.
Miriam era turbata anche da un fatto avvenuto durante l’ispezione.
«Quel francese che mi ha controllato i documenti, mi ha guardato in modo strano quando ha visto che ero ebrea.».
«Ma certo, Miriam. Ti avrà guardato perché sei una vera bellezza, gli uomini si voltano quando passi, lo sai.».
Miriam sorrise appena, scuotendo la testa.
«No, sarò prevenuta, ma mi pareva più disprezzo che altro e poi, non so, aveva un mezzo sorriso cattivo, era come se… ma forse devo ancora abituarmi al ritorno in un mondo normale, dove l’essere ciò che siamo non ci rende inferiori, spregevoli».
Ester non rispose, come se stesse pensando ad altro,
«Tutto questo fumo non ti ricorda qualcosa?» disse alla fine
«Forse alludi alla vecchia zingara e alla sua profezia? Sarà questo il fumo del quale parlava?».
«Sì, pensavo proprio a lei, chissà cosa voleva dirci, in realtà. Sempre che avesse qualcosa da dirci e più ci penso e più sono convinta che fosse un’imbrogliona».
«Un’imbrogliona non penso, visto che ha rifiutato di farsi pagare, forse voleva solo divertirsi a spaventarci.».
«Spaventarci? Per così poco? A Francoforte c’è stato chi ha saputo farlo molto meglio, io mi sveglio ancora la notte con gli incubi!»
Ester rabbrividì, non solo per il vento gelido che spazzava la nave. «È passato un anno e poco più, non è bastato a farmi dimenticare il terrore di quella notte e non ne basteranno cento. Quelle belve impazzite che hanno incendiato la sinagoga, e poi sembrava che volessero ucciderci tutti, hanno distrutto le nostre botteghe e ci hanno rovinato! Ricordi? Gridavano “porci giudei, sarete tutti spazzati via”… facevano sul serio, ho visto le loro facce stravolte dall’odio. “La notte dei cristalli” la chiamano, ci scherzano persino!».
Mentre le due amiche conversavano e l’Orazio procedeva sulla sua rotta, a nord, nella valle del Rodano, il Mistral stava rinforzando, e più si avvicinava alla foce, nel golfo del Leone, più ancora rinforzava. Presto, al largo, le sue raffiche superarono i quaranta nodi, sollevando le onde di tempesta che rendono temute quelle acque sin dai tempi lontani delle navi fenicie.
L’Orazio, ben più robusto di quei fragili legni e costruito per affrontare gli oceani, iniziò ugualmente a rollare e beccheggiare sempre più violentemente.
Verso le 23, anche l’ultimo dei passeggeri che avevano affollato gli spazi all’aperto trovò rifugio all’interno, nei dormitori, al riparo dal vento e dalle ondate che si rompevano sullo scafo.
Il mal di mare colpiva praticamente tutti, e lo spettacolo, oltre che l’odore, non era piacevole.
Miriam ed Ester furono tra le ultime a cedere ma, una volta nelle loro cuccette, si addormentarono col sonno profondo dei giovani.
Nel ventre della nave, i motori avevano ridotto i loro giri, non si affronta una tempesta navigando a tutta forza, e il loro battito regolare contribuiva a ritmare il respiro profondo dei dormienti. Soprattutto quello dei passeggeri di terza classe, alloggiati nei ponti inferiori, vicino al calore e al rumore della sala macchine.
Nella notte tutto pareva procedere regolarmente, nella grande nave bianca vegliava soltanto il personale di turno.
Sul ponte di comando, il secondo ufficiale controllò ancora il grande cronometro di bordo, doveva fare un’annotazione sul registro del turno. Erano esattamente le cinque e dodici minuti, mancavano quasi due ore al sorgere del sole e l’Orazio si trovava venticinque miglia al largo della costa francese.
L’ufficiale fu scaraventato sul pavimento da una esplosione che squassò la nave. L’origine fu subito chiara: il cuore pulsante dell’”Orazio”, la sala macchine.
Le fiamme si levarono immediatamente e la nave iniziò a imbardare, appesantita dall’acqua che entrava da un ampio squarcio sulla linea di galleggiamento.
In pochi minuti la situazione fu drammaticamente chiara all’esperto comandante, accorso subito in plancia: diede ordine di lanciare il segnale di SOS e abbandonare la nave.
Il panico s’impadronì dei passeggeri ma venne ben tenuto a freno dall’equipaggio, guidato da un Comandante del quale la marineria potè essere fiera. Per buona sorte, quel tratto di mare era tanto tempestoso quanto frequentato. Quattro motovedette francesi e il transatlantico “Conte Biancamano” si trovavano a poche miglia e altre navi erano a qualche ora di navigazione in più. Captata la temuta sequenze di punti e di linee del segnale di soccorso, tutte cambiarono immediatamente rotta, convergendo a piena velocità verso il luogo del disastro.
Il fumo delle loro ciminiere, quel fumo “che porta vita”, in breve fu visibile sia dalle scialuppe sballottate dai marosi, sia da coloro che ancora si trovavano sull’Orazio, in preda alle fiamme e prossimo a spezzarsi in due tronconi.
In breve tempo iniziarono le operazioni di salvataggio, difficili per le condizioni del mare e più ancora per le fiamme galleggianti che si alzavano dagli oli combustibili rilasciati dalle ferite mortali dell’Orazio.
Il buio della lunga notte invernale era solcato dai fasci luminosi dei riflettori, puntati dal Biancamano e dalle altre unità, Così guidate, le scialuppe dei soccorritori, a forza di remi, fecero la spola, faticosa, rischiosa ai confini dell’eroismo, sino a quando non si ebbe la ragionevole certezza di aver raccolto tutti i sopravvissuti
Alla fine, quando si riuscì a fare il conteggio preciso dei superstiti raccolti da ciascuno dei soccorritori, all’appello mancarono oltre cento persone, tra passeggeri ed equipaggio.
Alcuni, vittime del mare in tempesta che non era stato clemente con chi, nel panico, si era tuffato dall’Orazio per sfuggire alle fiamme.
Ester e Miriam ebbero un destino diverso.
Travolte da altri passeggeri terrorizzati, non riuscirono a risalire le scale verso il ponte scialuppe e la possibile salvezza. Cadute, calpestate, tramortite, la loro vita si spense quando il fumo “che porta morte” vinse la gara fatale con quello “che porta vita” e le raggiunse, strisciando come una serpe per poi soffocarle nelle sue spire.


Presto la guerra, con ben altri massacri e le sue distruzioni, fece dimenticare il naufragio dell’Orazio, le sue vittime in gran parte ebree, e i sospetti che molti avanzarono sulle cause.
Si disse che i servizi segreti nazisti fossero riusciti a infiltrare un agente tra gli ispettori francesi saliti a bordo. Anzi, che la stessa ispezione fu decisa su pressione di agenti nazisti infiltrati.
Sempre secondo questa versione, fu l’agente salito a bordo che, fingendo di effettuare le verifiche al carico, riuscì a piazzare un ordigno a orologeria nella sala macchine.
Tuttavia, il mistero dell'esplosione non fu mai indagato e il relitto dell’Orazio giace ancora, dimora inviolata di creature marine e resti mortali, sui fondali del Golfo del Leone.




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Opera scritta il 17/03/2016 - 06:15
Da mario malgieri
Letta n.1169 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Un racconto molto bello. Il contesto storico e l'atmosfera che hai saputo creare con grande maestria, hanno reso la lettura del tuo racconto molto piacevole e coinvolgente.La storia del naufragio dell'Orazio non la conoscevo.5*

Gabriella De Gennaro 20/03/2016 - 19:15

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Luciano, innanzitutto grazie degli elogi e del voto. Sì, le due ragazze sono un'invenzione, destinate al sacrificio per rievocare uno dei periodi più bui della storia recente.

mario malgieri 18/03/2016 - 07:41

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Salvo, in effetti la storia dell'Orazio la conoscono in pochi, come se fosse stata rimossa dalla storia, sovrastata da altre ben più note, come quella del Titanic e del Lusitania. Io la conoscevo perchè mia madre ne fu testimone oculare, fa parte dei racconti di famiglia. Graie per l'apprezzamento e il bel voto

mario malgieri 18/03/2016 - 07:39

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Racconto pregevolissimo, complimenti. Le due giovinette ebree, descritte mirabilmente, e che danno respiro narrativo a questo fatto storico, sono invenzione dell'autore? Un saluto

Luciano Bellesso 18/03/2016 - 02:12

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Ciao Mario,
la storia dell'Orazio non la conoscevo.
Tutto il racconto è veramente pregevole scritto con precisione e proprietà di linguaggio, racconto i fatti come fossero accaduti ieri. Certo la ferocie del nazismo e l'acquiescenza del fascismo si conoscono bene, ma è soltanto entrando nel particolare che si può capire il dolore di chi ha subito e la bestiale malvagità di chi ha causato. Grazie.

salvo bonafè 17/03/2016 - 18:35

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Carla, per quanto possa sembrare lontano, quel periodo storico, con tutte le sue sofferenze, per me non è così remoto. Pensa che un testimone oculare del rogo e dei salvataggi, a bordo di una delle navi accorse, fu mia madre. Da lei ho appreso la fine dell'Orazio, vicenda davvero misteriosa e tenuta quasi nascosta.
Grazie per l'apprezzamento e il bel commento

mario malgieri 17/03/2016 - 17:58

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Grazie Rocco, sia per l'augurio, che contraccambio trasformato, data l'ora, in buona serata, che per il profondo commento e l'apprezzamento

mario malgieri 17/03/2016 - 17:52

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E' un bellissimo racconto, specchio di un periodo storico molto sofferto ..una delle tante pagine di dolore per chi ha subito mortificazioni e sofferenze indicibili e pagine di vergogna per chi ha perpetrato simili misfatti e non ha saputo o voluto intervenire come avrebbe dovuto.Molto bravo Mario,nella stesura di questo racconto,mi ha coinvolta dall'inizio alla fine tenendo legata ad ogni rigo la mia viva attenzione. i miei complimenti.5*

Carla Davì 17/03/2016 - 10:08

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UN RACCONTO SEQUELATO OCULATAMENTE PER QUANTO PORTATO NEL CUORE NEL CORSO DEGLI ANNI. ESPRESSIVAMENTE MEDITABILE: DALLA GUERRA SOLO DISTRUZIONE E... MESTI RICORDI PER CHI SOPRAVVIVE.
SERENA GIORNATA MARIO.
*****

Rocco Michele LETTINI 17/03/2016 - 08:47

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