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Pianeta di servizio

PIANETA DI SERVIZIO



Malkda guardava attraverso l’oblò.
La tempesta asturiana aveva ormai toccato il massimo grado di intensità. Fra poco i venti di origine magnetica si sarebbero placati e la sottile polvere di piriastrite, dai riflessi argentei, si sarebbe di nuovo depositata sulla superficie del piccolo pianeta disabitato. Successivamente una perturbazione subatomica avrebbe esercitato i suoi influssi imprevedibili.
A Malkda piacevano quei momenti di pausa, causati dall’instabilità atmosferica. La sua dimora climatizzata le dava un senso di sicurezza e di protezione mentre all’esterno infuriava la burrasca. E poi c’erano quei bei colori cangianti, creati dalle sottili e volteggianti particelle di minerale combustibile.
Momenti come quelli rappresentavano solo una magra consolazione.
Da un po’ di tempo Malkda sentiva di scivolare nell’apatia. La vita monotona su Astur, nel sistema di Tauri, stava diventando insopportabile. Vedeva solo astronauti di passaggio e quel suo compagno e collega. È vero, godeva di qualche passatempo e di un po’ di sesso liberatorio. Ma poi c’era l’inconveniente di trovarsi tra i piedi quei maledetti robot addetti ai servizi e alla manutenzione delle pompe di rifornimento. Una noia mortale. Ormai si era pentita di avere seguito Marikdo Jan su quel corpo celeste solitario.
La fredda luce di Tauri tornava a rischiarare la superficie arida e irregolare, su cui si stendevano le costruzioni della stazione di servizio. Ad un tratto risuonò l’avviso di atterraggio. Qualcuno arrivava. Alla buon’ora!
- Malkda – risuonò la voce di Marikdo Jan, – apri il locale e attiva i robot cucinieri. Quella gente sarà affamata. Io intanto preparo la pompa 7/B con bocchettone ipercubico. Si tratta di una nave da Orione. Forse sono quegli invertebrati schifosi, abili commercianti e imbroglioni, in viaggio verso Herculis, o addirittura verso Proxima o Sole.
La donna ebbe un fremito. – Non ne vedo da almeno cinquecento asturgici. – Una specie di nausea cominciò a formarsi in un angolo remoto del suo apparato digerente.
Invece non si trattava degli sgradevoli molluschi.
Sull’altro lato del bancone, c’era adesso un essere umanoide, come lei: muscoli lucidi, mascella quadrata sporca qua e là di olio, capelli biondi tagliati cortissimi. Indossava uno strano pantalone bisunto, con le spalline che passavano sopra un poderoso petto nudo. Doveva essere un terrestre, un appartenente a quella razza piuttosto primitiva che da poco tempo aveva iniziato la sua avventura nello spazio. Su quel pianeta di servizio e di rifornimento non era ancora passato nessuno di loro. Malkda riconosceva la razza per averla vista sull’enciclopedia galattica.
Accese il traduttore istantaneo che portava appeso al collo e azionò la funzione “lingua terrestre”. Una bella conversazione ci stava bene con quell’individuo così attraente.
- Desidera?
- Vorrei un hamburger ben cotto con patatine e tanto ketchup.
- Subito, signore.
Lei andò nel retro per dare gli ordini al robot cuciniere. Guardò dall’oblò e vide sulla pista l’astronave del terrestre. Incredibile! Si chiese come avesse potuto viaggiare, nell’iperspazio, un velivolo tanto assurdo.


Era stato un colpo di fulmine.
Malkda poteva dire di essersi innamorata. Lui non aveva la coda, ma questa poteva considerarsi l’unica differenza degna di nota, a parte il colore della pelle che faceva un piacevole contrasto con il blu elettrico di lei.
Adesso guardava il suo uomo sotto la pensilina. Era a torso nudo, con quel berretto ridicolo su cui campeggiava una conchiglia gialla, simbolo della ditta di carburante che erogava con quel tubo nero e flessibile.
Malkda diede un’occhiata allo squallido paesaggio: rocce rosse, colline sassose piene di arbusti e piante spinose dalla vaga forma umana. Il tutto sotto un sole spietato, che creava colori tanto diversi da quelli di Astur, nel sistema di Tauri.
Accanto alla bassa costruzione, correva un nastro d’asfalto con una riga gialla nel mezzo. E su di esso, ogni tanto, transitava uno di quei veicoli che lui chiamava automobili.
Gli si avvicinò:
- Che stai facendo? – chiese con l’aiuto del traduttore istantaneo che riproduceva tutte le lingue della Galassia.
- Sto preparando la cisterna – rispose lui con noncuranza. – Nel pomeriggio arriverà il rifornitore della Shell.
Malkda raccolse la lunga coda serpentina e si sedette all’ombra, su uno sgabello di metallo.
- Continuo a chiedermi come tu abbia potuto portarmi in questo fetido buco – disse lei dopo un momento.
- Lo sai che non ti ho portato io. Ti ho trovata lungo la strada, in pieno deserto, a cinque miglia dalla mia stazione di servizio. – Si girò verso di lei, pulendosi le mani con uno straccio unto. – Mi sei piaciuta subito. Sei una vera attrazione. Credo che tu possa fare la mia fortuna.
- Quante volte ti ho detto che tu mi hai prelevato su Astur, il pianeta di servizio e di rifornimento dove lavoravo con Marikdo Jan! O meglio io mi sono innamorata di te e non ho saputo resisterti. Ti ho seguita, senza pensare che sarei caduta dalla padella nella brace.
Lui sorrise. – Io quel pianeta me lo sono sognato. Nel sonno, ogni tanto viaggio con la mia personale astronave lungo le rotte della Galassia. Sarà per via di quei libri che ho sempre letto fin da bambino. – Le si avvicinò: - Ma tu sei reale, in carne e ossa. Sei piovuta dal cielo… Sei la mia gattina blu.
- Tu mi hai mentito – disse lei. Era imbronciata. – Hai detto che mi avresti portato in giro per la Galassia, mi avresti fatto vedere cose meravigliose. Invece…
- Sei capitata a cinquantadue miglia da Warm Springs-Nevada, in questa stazione di rifornimento. – Le mise le mani sulle spalle e la guardò con quell’espressione che di solito le rivolgeva quando andavano a letto.
- Non pensi che possa annoiarmi a starmene in questo posto? – insistette lei. Prima, su un pianeta di servizio… Oggi sotto un sole spietato che sbiadisce il colore della mia pelle.
Lui le diede un colpetto sui fianchi e disse:
- Vai in cucina a preparare qualcosa. I conduttori dell’autocisterna saranno affamati.
Mentre andava verso la porta dell’autogrill, Malkda pensò che, prima o poi, sarebbe passato qualcuno… e l’avrebbe portata via di lì.




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Opera scritta il 24/09/2016 - 11:10
Da Giuseppe Novellino
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