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QUALCOSA DI BELLO (Prima Parte)

Era solo davanti al computer, la testa che gli scoppiava. Si sentiva disperato. Sua figlia, finalmente si era addormentata. Sì, dopo aver pianto ininterrottamente. Più che altro, era crollata, sfinita. Era così tutte le sere, da quando sua moglie era morta. Faticava ancora ancora a crederci. Gli sembrava un incubo, dal quale non riusciva a svegliarsi. Eppure voleva svegliarsi. Si prese la testa tra le mani. Quella casa, era diventata vuota, e fredda, e avrebbe voluto distruggere ogni cosa, ogni più piccola cosa, gli facesse ricordare la moglie. Ricordare, era troppo doloroso. Soprattutto perché ancora faticava ad accettare la realtà. Avrebbe voluto sparire, lasciarsi tutto alle spalle, ma non poteva. C'era Sofia a cui pensare. Non poteva lasciarla e non aveva nessuno a cui affidarla. Certo, qualche parente, che ogni tanto provava ad aiutarli, c'era, ma interagire con la piccola, era diventato in possibile, anche lui faceva fatica. Non parlava, e se lo faceva era solo a stento, e non solo per via dell'età, prima dell'incidente si faceva capire molto di più, e poi, cosa peggiore, aveva sviluppato un vero e proprio terrore degli estranei. Dannazione! Alle volte gli sembrava che non si fidasse neanche di lui. E dire che le aveva provate tutte. Aveva chiesto aiuto a degli esperti, l'aveva iscritta in un asilo, che vantava personale con ottime referenze, e si era rivolto ad agenzie specializzare, per avere una baby-sitter qualificata ed esperta, con esperienza in casi come quelli di Sofia. Il risultato? Ormai, all'asilo non piangeva più, quando ce la portava, ma si metteva in un angolo, e restava lì, finché non l'andava a prendere. Di baby-sitter, ne avevano cambiate..non sapeva più neanche quante, tre solo nell'ultimo mese. E con ognuna di loro, non faceva che piangere, o nascondersi. Quando tornava dal lavoro, stanco, e distrutto, doveva lottare, per ogni cosa, perché di solito, la persona di turno, non era riuscita a farla mangiare, o a farle fare il bagno, o a farle lavare i denti, e di sicuro, neanche aveva provato a farle sistemare la stanza. A volte nessuna delle cose. E purtroppo, Sofia, non le faceva volentieri neanche con lui, forse perché erano cose che faceva con la madre, forse perché lui non ci sapeva fare. Dannazione! Non era facile neanche per lui! Cercò di calmarsi. Metterla a letto, era la cosa peggiore, aveva provato a farle tenere la luce accesa, a leggerle le favole, a tenere l'app, con le canzoni della buona notte, a farla dormire con sé, anche se qualcuno gli diceva che era sbagliato, ma nulla, si addormentava solo sfinita di pianto. Cosa poteva fare? E ormai, l'estate era vicina, l'asilo avrebbe chiuso, e quindi non sapeva dove portare la figlia per la mattina e il primo pomeriggio, l'ultima baby-sitter, era scappata via urlando, e non l'avrebbe convinta a tornare, neanche coprendola d'oro. Aveva telefonato a tre agenzie, specializzate, ma nulla di fatto, non avevano tate disponibili. Aveva cercato anche in rete, ma nulla. La sua ultima speranza, era un'agenzia che aveva scovato per caso, ma offriva solo baby-sitter par-time. Aveva comunque scritto, spiegando la situazione, e gli avevano risposto, che avrebbero provato a cercare una ragazza disponibile, ma già il termine “ragazza” lo rassicurava poco. E poi non sperava davvero in una risposta. Era sull'orlo di una crisi di nervi. Con una mano afferrò il mouse, e cliccò per entrare nella sua casella di posta elettronica, con l'altra si chiuse gli occhi, non aveva il coraggio di guardare. Trasse un respiro, non poteva comportarsi da codardo. Qualche pubblicità, maledetti filtri anti-spam, che non sempre funzionavano a dovere, i suoi estratti conto, mail di lavoro, qualche mail di parenti o conoscenti, e poi finalmente, la mail dell'agenzia. L'aprì con il cuore in gola. Le prime parole, “ Siamo spiacenti di...” gli tolsero dieci anni di vita. Ma si costrinse a leggere fino in fondo. Arrivato alla fine, trasse un sospiro. Avevano trovato qualcuno, ma si scusavano perché purtroppo, non era disponibile prima di tre giorni. Bene, almeno aveva il tempo di provare a far digerire a sua figlia, la notizia che sarebbe arrivata una nuova baby-sitter. Tre giorni. Prevedeva l'inferno, ma in quel momento si sentiva ottimista, forse perché aspettandosi l'ennesimo rifiuto gli sembrava fin troppo bello che avessero trovato qualcuno.


Stava aspettando la baby-sitter, era anche un po' preoccupato perché quella sera aveva una cena d'affari, che non aveva proprio potuto rimandare, e il cielo sapeva se ci aveva provato. Sua figlia era scontrosa dalla mattina, non aveva neanche pranzato, sempre se non si potessero considerare, quei quattro cucchiai di cibo, che era riuscito a farle ingerire, il pranzo. Scosse la testa. Il campanello. Mai quel suono gli era parso tanto desiderabile. La donna era arrivata. Andò ad aprire con un gran sorriso, meglio non farsi vedere preoccupati, ma il sorriso morì all'istante, non era la tata, una ragazza, carinissima, ma giovanissima, stava sull'uscio.
«Guardi che ha sbagliato, il doposcuola è un piano più su.» Disse, freddo. Capitava che a volte si sbagliassero.
«Io sono qui, per il lavoro da baby-sitter.» Cosa? Quello scricciolo?
«È uno scherzo, vero? Ora si sposta, e mi presenta la baby-sitter vera, giusto?»
«Sbagliato. Io sono la baby-sitter, l'unica disponibile.» Lui la guardò. Non sarebbe durata neanche tre ore. Dannazione! L'avrebbe rispedita in dietro, ma aveva quella cena...
«Va bene entri, le pagherò il disturbo, la prego non faccia troppi danni, io ora devo uscire.» Lei lo guardò allibita.
«La bambina?» Chiese.
«Sì è nascosta come ha sentito il campanello. Odia gli estranei.» Perfetto. Pensò ironica, il padre, era un tipo assurdo, e la bambina, aveva un problema con gli estranei.
«Mi dica almeno dov'è la sua cameretta.»
«Piano di sopra, terza, porta, è quella dipinta di rosa.»
«Bene. Se deve uscire, esca. Posso arrangiarmi.» Disse con più sicurezza di quella che provava.
Lui tentennò un poco, non si fidava, ma poi capitolò non poteva farci niente. Domani, avrebbe risolto il problema. Dannazione! Perché per una volta le cose non andavano per il verso giusto?


Salì nella camera della bambina, sembrava deserta a parte l'enorme quantità di giocattoli, ma non le sfuggì, la coperta del letto alzata, e il piedino che spuntava da sotto. Fece finta di non accorgersene, si inginocchiò sul pavimento...lì c'era bisogno di un tappeto.
«Quanti bei giocattoli! Voglio giocarci, voglio giocarci!» Esclamò allegra. «Però è un peccato che non c'è nessuno che mi insegna...per esempio questi bei cubi colorati? Vediamo...no così non vanno...» Fece finta, di non riuscire a sistemarli, sapeva che lei la guardava, poi prese un altro giocattolo, e continuò la recita, fin quando, la piccola, un poco impaurita, non uscì da sotto al letto, a quattro zampe. Era bellissima, gli occhi grandi e i capelli, neri e ricci. Aveva pianto.
«Tu non tai giocare?»
«No. E tu?» La bambina, annuì, sedendosi, ma restando lontana. Provò a sorriderle.
Sofia si mostrava diffidente.
«Io sono Rebecca. Potresti insegnarmi?» la bambina la guardò di traverso. Sembrava carina, ma non si fidava. Si allontanò un poco.
«Capito. Ti sono antipatica. E non vuoi insegnarmi.» Però quella ragazza non sembrava arrabbiata, prese due cubi, senza dire nulla, e li mise uno sopra l'altro. Poi li girò verso di lei.
«Ah, allora è così che si fa! Grazie. Mi vorresti mostrare qualcos'altro?» La piccola, si guardò intorno, poi si alzò e andò a prendere un altro giocattolo.
«Teni. È Tappy»
«È bellissimo!!»
Poco a poco, facendo due passi, avanti e tre indietro per ogni tentativo, riuscì a stabilire un contatto con la piccola. Giocarono per mezz'ora, o poco più, e si avvicinava l'ora di cena. Cosa fare? Mettere in ordine, sarebbe stato logico, ma non per una bimba.
«Ehi, io ho fame. E tu?» La bimba ci pensò un po'.
«Tì.» Lei sorrise.
«Allora andiamo a mangiare. Ma prima, ci laviamo le manine, va bene?» Sofia, annuì poco convinta.


La cucina, era enorme, attrezzata e fredda. La bambina sedette sulla sua sedia, e si mise a guardarla, un po' incuriosita, un po' ostile. E Rebecca, immaginò che si stesse chiedendo quale intruglio le avrebbe propinato. Prese alcune, formine dalla sua borsa, e preparò due frittatine, leggere a forma di cuore e stella. La piccola, quando le vide rimase, stupita.
«Quale vuoi delle due?»
«Quetta» Indicò il cuore. Rebecca sorrise. «Va bene.» Ma passata la novità, si accorse che la piccola, non mangiava.
«Ti aiuto? Oppure facciamo un gioco?»
«Gioco?» Rebecca annuì. E si mise a tagliare la frittata a piccoli pezzi, poi fece l'aeroplanino. Un classico, ma Sofia si divertì.
E il gioco durò tutta la cena, eccezion fatta per la frutta.


«Sofia, si sta facendo tardi, mettiamo a nanna i giochi?» La bambina la guardò stranita, ma poi la seguì nella sua stanza. Dove Rebecca improvvisò uno strano rituale della buona notte, con lo scopo di mettere a posto i giocattoli.
«Sei stanca?» Le chiese. Sofia scosse la testa.
«Che ne dici di andare a giocare, nella vasca?» Aveva notato prima, che c'erano dei giochi appositi, in bagno.
«Pecché no». Rebecca le sorrise e la prese per mano.
Dopo il bagnetto, lei era più bagnata della piccola, per fortuna aveva un ricambio.
La bambina, guardava il letto, ma non si avvicinava. Le aveva fatto lavare i denti, e le aveva messo il pigiamino.
«Sofia, leggiamo una favola?» Le chiese, salendo sul letto per prima. La piccola la guardò, poi la seguì con un libro.
Rebecca, l'abbracciò di modo che potesse vedere le figure, e poi cominciò a leggere, facendo i rumori e cambiando voce, ogni tanto l'accarezzava. La piccola, sembrava davvero spaventata, e lei voleva rassicurarla. A poco a poco, scivolò nel sonno. Prima di addormentarsi, le chiese se sarebbe tornata, e lei le disse di sì, anche se in realtà non dipendeva da lei, ma dal padre. La baciò in fronte, un gesto spontaneo, per una bambina tanto dolce. E scese.


Entrò in casa, aspettandosi le solite urla, ma invece, silenzio. Cos'era successo? Chiuse la porta, e andò a cercare la “baby-sitter”. La trovò in cucina, che rassettava.
«Non è compito suo. Dov'è Sofia?»
«Non mi da fastidio, e mi tiene occupata. La piccola dorme.» Dormiva?
«Cosa? Di già? Avrà pianto tutto il tempo.» Lei lo guardò stupita, ma per chi l'aveva presa?
«Senta, la piccola ha mangiato...riordinato i giochi e fatto il bagno...poi l'ho messa a letto.» Lui la guardava. Non ci credeva.
«Sta parlando di Sofia? Mi prende in giro?»
«Non è stato facile, se intende questo. E mi dispiace ma non c'è stato verso di farle mangiare la frutta.» La frutta? Stava sognando? Era ubriaco?
«Voglio vedere mia figlia.»
«Non la svegli.» Lui la guardò scioccato.
Salì, piano, Sofia era nel suo lettino, con alcune bambole e dormiva. Sembrava tranquilla. Incredibile. Scese di nuovo senza fare rumore.
«A quanto pare le devo delle scuse.»
«Torno domani, prima di colazione...per le 7:30, così posso preparare tutto con calma, le sta bene?»
Lui annuì, e poi l'accompagnò alla porta. Era ancora incredulo. Ma l'indomani, si disse, avrebbe constatato di persona.


Rebecca si era presentata puntuale, e gli aveva ribellato la cucina, che ora profumava di dolci. Quando era andato ad aprirle, era appena uscito dalla doccia, giusto il tempo di infilare pantaloni e maglietta pulita. E lei era entrata come un uragano. Si era precipitata in cucina, aprendo quella specie di borsa da Mary Poppins e tirando fuori, quella che le era sembrata una quantità industriale di zucchero, farina e pentole e padelle. E in breve tempo si era messa a preparare pancake, cialde e chissà che altro. Erano cose, che si vedevano nei film, o al massimo nei cartoni.
Sofia, svegliata dal profumo, era scesa dal lettino, e aveva raggiunto la cucina. E ora era sulla soglia, con una manina si stropicciava gli occhi, con l'altra trascinava Tappy.
Quello che l'aveva scioccato però era vedere sua figlia, mangiare. Certo, aveva fatto i capricci, aveva scelto dei cibi, e poi aveva cambiato idea, ma poi aveva mangiato tutto. Rebecca sembrava avere una pazienza infinita. Per ogni protesta della piccola, aveva una risposta, ed un sorriso. Per la prima volta, andò a lavoro un poco più calmo. Sicuramente la ragazza, non era adatta, e non aveva esperienza, ma fin quando a sua figlia andava bene, lui non avrebbe fatto obiezioni. Sua figlia. Gli si strinse il cuore, era la prima volta in quei mesi, che si era svegliata senza urlare, e che aveva fatto colazione, con un po' d'interesse. Era ancora presto però per esprimere un parere, magari quello della mattina e della sera prima, era stato solo un caso. Già altre volte si era sbagliato.


«Sofia, hai ancora fame?» La piccola la fissò per un po'.
«No.» Rebecca le sorrise.
«Allora, metto via queste cose, e poi ci vestiamo. Ok?»
la piccola annuì. Era un amore, col pigiamino e il pupazzo. Le sorrise, sincera.
«Cosa vuoi fare oggi?»
«Bho...» La piccola sembrava confusa.
«Cosa fai di solito?» La piccola la fissava stranita, come se non capisse.
«E...e...Ebecca...tei arrabata?» Chiese, guardando il pavimento. Certo che non era arrabbiata, ma di cosa aveva paura? Posò la pentola, si asciugò le mani e corse ad abbracciarla. Era così piccola, e calda, e profumava di buono.
«No, tesoro. Cercavo di capire che gioco fare. Se ti ho fatto paura, scusa.» Sofia ricambiò l'abbraccio, non subito, ma lo fece, e questo era importante. Voleva dire che si fidava.
«Va bene. E il gioco?» Rebecca le sorrise.
«E se invece andassimo a spasso e a comprare un tappeto?»
«Pappeto?» Rebecca sorrise.
«Tappeto. Sì, da mettere nella tua stanza, così, ci possiamo giocare sopra e leggere.»
Sofia annuì. Forse era un rischio portarla fuori, ma era una bella giornata e alla bambina avrebbe fatto bene un po' di sole.


Era stanco. Ormai era ora di pranzo, e non osava chiedersi se Sofia avrebbe mangiato o meno. Entrò in casa, e rimase sorpreso, regnava il più completo silenzio. Cosa era mai accaduto? Forse la baby-sitter era andata via, e sua figlia si era nascosta? Dannazione. Seguendo un impulso andò prima in cucina, c'era uno strano profumo nell'aria, ma la cucina era pulita. Sul tavolo, però c'era un piatto coperto e un biglietto: “per il signor Leonardi” Qualcuno aveva pensato al suo pranzo, ma Sofia? Salì nella cameretta, della bambina, aprì la porta e rimase scioccato. Sua figlia e la baby-sitter se ne stavano sdraiate su di un enorme tappeto, che copriva tutto il pavimento, ma da dove diavolo era saltato fuori? Ma non era quello, certo che l'aveva sconvolto, quanto la scena. Sua figlia sembrava serena mentre ascoltava una favola, che la baby-sitter le stava leggendo. Poi la piccola, alzò lo sguardo e lo vide.
«Papà, io e Ebecca, abbamo compato un nuovo pappeto.» Da quando sua figlia non pronunciava una frase così lunga? E pensare che quella ragazza era lì da meno di un giorno.
«Lo vedo.» Sorrise a sua figlia.
«Ha bisogno di qualcosa?» Chiese Rebecca, non immaginava che sarebbe salito. Era naturale che volesse controllare, ma quella per la piccola doveva essere l'ora del pisolino, altrimenti non avrebbe avuto abbastanza energie per il resto della giornata.
«Dopo, se ha tempo vorrei parlarle.»
«Certo.» Lui sorrise ancora alla figlia e andò via. Era un tipo strano, ma aveva il suo fascino.
«Ebecca..stoia!» Rise e tornò a concentrarsi sul libro, che stava leggendo alla piccola.


Fine prima parte.




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Opera scritta il 27/07/2018 - 20:58
Da Marirosa Tomaselli
Letta n.778 volte.
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