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Una libellula a Benevento

Il vento, ferendo, si scontra con il mio volto. Gli occhi socchiusi scrutano l’intensa tonalità di verde che possiede questo luogo. C'è un buon odore. Benevento ha l'aria saporita.


Siamo io e mio padre di ritorno dopo un sopralluogo di lavoro.


C’è uno spiazzale che costeggia la statale con una piccola panetteria e qualche altra costruzione. Decidiamo di fermarci lì a mangiare un trancio di pizza.


Ferendomi la lingua masticando, osservo il paesaggio che mi circonda. C’è la panetteria, vero, ma anche piante ed alberi e dietro l’edificio la campagna. Le costruzioni sono basse, permettono libero accesso all’orizzonte dai colori soffici. Con queste premesse, crolla il grattacielo di tensioni che avevo accumulato poco prima. Personaggi importanti, parole formali e finti sorrisi. Odio tutto questo.


Ferendomi gli occhi con queste belle immagini, sono distratto da un’auto che giunge a velocità moderata. Lenta arriva e lentamente il motore si spegne. Una donna aiuta l’anziano padre ad uscire da quell’ammasso di ferro e pneumatici un po’ datati.


-Papà, che vuoi da mangiare?-


Il padre indica il balcone al primo piano che sta sopra la panetteria. L’anziano avrà avuto almeno ottant’anni, ma gli occhi sono vivi, luminosamente vivi.


La donna sbuffa alla richiesta del padre, entra in panetteria ed ammirando la vetrina si perde nella scelta.


L’anziano è fuori, lì fermo ad osservare il balcone.


Non ha molta voce, però si sforza:


-Michele- dice.


Mastico a fatica continuando a ferire la lingua, la farcitura della pizza è saporita mischiata al mio sangue, ha gusti genuini, percepisco un silenzio di sottofondo che tranquillizza il cuore che batte velocemente.


La ragazza dietro al bancone si chiama Morena, è circondata da piante ed avvolta da farina che la ricopre come un velo di flanella. Tra panini e pane cafone risaltano i suoi azzurri occhi e le carni soffici.


-Michele,ti vuoi affacciare o no? Tieni le mie carte napoletane- urla il vecchio.


Intanto,


Mio padre si è inoltrato dietro la panetteria, che è campagna aperta. Non parliamo molto, sprechiamo tempo a fingere di essere duri l’uno con l’altro. Ferendo il tempo non si concretizza amore, eppure, sono convinto che dentro un dolore che s’impara ad amare.


Morena è sicuramente una bella ragazza e continua a guardarmi. Non ho il coraggio però, non davanti a mio padre.


Perciò mi avvicino all’anziano e guardando il balcone vuoto gridiamo:


-Michele.


Io urlo Michele, ma guardo Morena sorridendo, e poi guardo mio padre, e allora il viso si fa serio e la mia lingua ferita comincia a pulsare e, nel dolore misto a confusione del contesto, mi scappa una dichiarazione:


-Michele io ti voglio bene.


L’anziano mi guarda confuso e Morena dietro al bancone comincia a ridere.


Io però mi perdo:


Sarebbe bello poter raggiungere mio padre più in là, e raccontargli queste immagini.


Morena viene vicino e mi allontana dall’anziano, si presenta e mi stringe la mano:


-Michele è morto tre anni fa, questo nonnino si chiama Antonio, è il suo migliore amico. Non lo sa che Michele è morto. Un mazzo di carte li tiene ancora legati-


-E’ romantico- risposi


-Tu non sei di qua


-No, io sono di Napoli, ma passerò di qui spesso, per lavoro, almeno tre mesi.


-Allora ci vedremo spesso spero. La mia specialità è la pizza con i funghi, ma è già finita.


-Si. Tornerò, in qualche modo dobbiamo convincere Michele ad affacciarsi a quel balcone.


-In effetti, perché no?-.


In effetti, perché non provare, per una volta, a fregare il tempo? Comprare un paniere e legarlo a quel balcone, metterci un mazzo di carte dentro. Guardo mio padre da lontano e penso che, in effetti, sarebbe bello raggiungerlo e parlare con lui,nel silenzio della campagna solo le nostre voci. Un dialogo tra due uomini e nient'altro.


Ma torna Morena, con un bicchiere di vino spezza i miei pensieri:


-Questo è un aglianico che facciamo noi qui.


Butto giù in un sorso,mi scalda delicatamente, la ringrazio e provo a raggiungere mio padre, che però ha abbandonato la campagna, è già in macchina, mi aspetta per ripartire fumando una sigaretta. Il tempo mi batte nel ritmo, ancora una volta, così come si prende gioco di quel balcone, e di tutto ciò che ferendosi prova dolore e smette di provarci. Però, la mia lingua adesso pulsa meno, forse per via del vino, ma in questo posto un po’ della mia anima ha deciso di restarci, e tutto sommato, è un dolore diverso quello che provo, non come la ferita sulla lingua, non come l'ansia di notte, è invece una fitta nelle stomaco, e non è la pizza di Morena, ma solo la consapevolezza di essere vivo. Presente.


E se continui a crederci, ad essere caparbio come quel nonnino che urla il nome del suo amico, ti rendi conto che non sempre un dolore fa male,


E forse, a dirla tutta, questa volta in realtà ho pareggiato il tempo.


Saluto Morena:


-Tornerò presto, c'è un balcone da salvare-.


Non sarà Romeo e Giulietta,


Ma forse tornerò anche per lei. Entro in macchina, guardo mio padre e mi lascio andare ad un sorriso.


Ogni tanto una libellula posa sopra Benevento, il fragore di un’auto in corsa però la fa scappare via. In quell’auto siamo io e mio padre in silenzio, che torniamo a casa.




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Racconto scritto il 05/04/2021 - 12:21
Da Bruno Gais
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