e ancora stupisce l’odore di quella “stua” di legno che fin da bambino ti conduce per via.
I prati di fresco tagliati dai forti profumi di erbe che trascini in città e quei sapori del mangiare sui prati. 
Quel sentire il sole, innescare i moti dell’aria intorno. 
E le gare di allora, a dare per primo un nome a quella 
nube rincorsa, da veloce e mai sazia sorpresa. 
E rotolare sul pendio nel fieno appena seccato, gioia 
per noi, un po’ meno per chi aveva falciato e sgridava.
Vivere tramonti alle nove di luglio, a seguire l’ombra  
ritirarsi fino a nascondersi nella sera, e fermarsi 
distesi, ascoltare campane inondare la valle e 
conosciuti fremiti, accartocciarti l’anima, ogni volta stupita. 
Le campane di Aprica ancora, rimangono dentro
un timbro noto solo lassù che ti porti a Bologna 
come di una gioia, unita a una pena che non sai e
ti manca.
            
 Poesia scritta il 09/02/2013 - 20:38
Poesia scritta il 09/02/2013 - 20:38| Voto: |  su 2 votanti | 

 Claretta Frau
Claretta Frau   10/02/2013 - 14:38
 10/02/2013 - 14:38  Daniela Cavazzi
Daniela Cavazzi   10/02/2013 - 12:54
 10/02/2013 - 12:54  
                        


