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Il faro

Immaginate
un faro di notte,
voi su uno scoglio.
Sull’orizzonte la linea d’acqua s’incurva,
livella a bolla ricurva misura,
la superficie è centrata:
mare piatto matto.
Non c’è neanche un venticello,
solo il vostro respiro iodato.
Il faro non lo guardate,
è lui che dispone di ciò che desiderate.
Il buio vi sconcerta
come andare a tentoni
su di un viale tutto scale.
Quando arriva il vostro turno
si gira, vi crea all’istante:
un porto rinascimentale,
un castello medioevale,
case e reti da pesca penzolanti,
una spiaggia deserta
non di sabbia
ma d’orme d’uomini,
del loro calpestio non v’è traccia,
ridonata al mare senza firme,
restituita vergine nella notte.
Ve lo figurate, poi,
se una tromba squillante d’aria
vi sollevasse in alto,
il faro vi guardasse come abat-jour
che accendete nel cuore della notte:
alcuni istanti levitati,
qualche secondo dal principio,
precipitereste senza remore
a braccia larghe,
a gambe divaricate
nel materasso oceano d’acqua.
Al faro rincresce piegarsi per vedervi
ha la schiena murata, collo chiodato, piedi arenati;
voi non nuotate, tenete gli occhi celati,
perché sventrarli a una doppia oscurità?
Quando l’orologio del mare
riterrà giunta l’ora della vostra libertà
al lido in dono la vostra vita regalerà.
Per ora accontentatevi d’essere
mezzi pesci bagnati,
mezzi uomini asciutti,
naufraghi alla deriva.


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Poesia scritta il 01/05/2025 - 05:32
Da Egidio Capodiferro
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