La mia amica Martina
Io e Martina eravamo come due sorelle, quando abitavo al paese. Poi, costretta dalle necessità familiari ad emigrare in città, ci siamo perse di vista.
Ci vedevamo regolarmente solo in occasione della ricorrenza autunnale della “prima domenica di Ottobre”, una sorta di festa del ringraziamento che vedeva coinvolte tutte le famiglie contadine. Di religioso ormai non c'era più niente, se non una visita di sfuggita al cimitero da parte di chi aveva lasciato la campagna per andare a trovare lavoro in giro per la Lombardia.
La prima di ottobre, quando ero bambina, ed oggi a maggior ragione, era ormai diventata una festa che definirei: “riunione delle famiglie disperse per le strade del mondo”.
E la cosa avveniva intorno ad un tavolo. Le specialità della zona venivano imbandite insieme ad una dosa massiccia di esagerata allegria, ed a me questo clima piaceva nella stessa misura che ad una adolescente piace il trucco e il rossetto. Anatre, galline, coniglio arrosto, verdure di ogni tipo, e Clinton, un vino che sembra fatto con le fragole ed invece viene da un vitigno americano.
È un vino di colore violaceo intenso. un forte profumo fruttato e un inconfondibile sapore aspro, non gradito a tutti. Vietato dalla legge per la sua bassa gradazione alcoolica che lo fa diventare aceto ancor prima che arrivi la primavera, viene tuttora prodotto dai contadini locali. Fanno il vino, lo bevono un paio di mesi, e poi hanno aceto per tutto l'anno.
Ogni volta io e Martina ci trovavamo a passeggiare per le vie del paese, raccontandoci le nostre esperienze. Lei era curiosa di sapere com'era la città, com'era la vita e i giovanotti che passeggiavano sotto i portici del centro, famosi in tutta la provincia.
Io ne sapevo ben poco, ma lei si beveva ogni mia notizia come se venisse dal più qualificato dei rotocalchi.
Martina era, ed è, bella. La più bella del paese, la più “figa”, come dicevano i maschi. Io un po' mi vergognavo quando passeggiavo vicino a lei, a braccetto. Lei alta, anzi altissima, e non solo nel fisico, ma anche nel portamento. Guardava sempre davanti a sé, mai in basso, mai in alto.
Era come se guardasse l'orizzonte, e non esistesse nessuno al di fuori di lei. Io invece dovevo mettermi i tacchi, ed ero minuta, poco appariscente, e vicino a quella statua mi sentivo insignificante.
Quello che impressionava era il suo incedere, il suo passo, il modo di portare avanti le gambe facendo sbalzare la gonna, tipico delle modelle. E poi quel viso, volitivo, imperiale. Credo che un viso come il suo sarebbe stato più adatto ad una Regina, non alla figlia di un contadino, e la sua naturale altezzosità degna di una donna di nobili origini.
Io le parlavo delle prime amicizie cittadine, e ridevo di quanto fossero ingenui i maschietti di città, per certe cose. Lei mi ascoltava e non rideva mai. Guardava avanti, come se aspettasse che dal confine fra la campagna coltivata a grano e il cielo spuntasse un principe azzurro degno di lei e della sua bellezza.
Francesco, il figlio di Maria Monti, quelli che abitavano nella cascina di fianco alla nostra, era l'unico che aveva il coraggio di fermarci per strada, e salutarci. Ma lui non parlava con Martina, si rivolgeva direttamente a me, ed io pensavo che anche lui volesse sapere come era la vita in città. Invece, ma questo lo seppi molto più tardi perché me lo disse davanti al mio ragazzo una volta che aveva bevuto abbastanza per perdere la timidezza, lo faceva perché era innamorato di me.
« Tu sei più bella di Martina » , mi diceva in gran segreto, « non c'è paragone. Tu hai il viso come quello della Madonna, e sei vera, lei sembra una soubrette »
Povero Francesco, i primi tempi pensavo fosse miope, oppure che Martina si fosse rifiutata di cedere alle sue lusinghe e lui ne fosse risentito, e di quella cosa ne ridevo. Ma quella di Francesco è una storia troppo bella, la narrerò in un racconto tutto suo.
Anno dopo anno vedevo Martina sempre più bella, più ambita, ricercata da tutti. Eppure era sempre sola. Aveva rifiutato ogni proposta, a quanto si diceva.
Chissà chi riuscirà a cogliere quel bel fiore, pensavo. Ed invece, la grande sorpresa. Un bel giorno seppi direttamente da lei che si sposava e mi aveva invitata per le nozze. Curiosa, le chiesi se conoscessi lo sposo. Immaginavo una risposta del tipo: no, non puoi conoscerlo, è un riccone di Parma, oppure un grande intellettuale, o un professore di scuola, insomma un personaggio di un certo spessore. Ed invece, quando mi disse che lo conoscevo, ci rimasi male. O meglio, fu una sorpresa.
« Certo che lo conosci. È Ugo, il fratello di Giuseppe, quelli che hanno la cava di sabbia sul Po », disse.
Rimasi senza parole. Ugo era un bel ragazzo, ma un po' rozzo per una “strafiga” come lei. Basti dire che era talmente naturale ed animalesco che i suoi amici di baldorie lo chiamavano scherzosamente “the best”, ma solo per rimarcare che era di istinto bestiale.
E, durante il matrimonio, non si smentì, provandoci con tutte le amiche di Martina, me compresa.

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Grazie a te!






Non so quali origini abbia, ma in sostanza la Leggenda del Ponte dell'Arcobaleno dice che tutti gli animali che non ci sono più e sono stati tanto amati in vita, si ritrovano su questo ponte dove attendono di ricongiungersi all'amato padrone.
Se ti interessa puoi cercare in internet, ma trovi anche tanti bei video su you tube, riguardo questa leggenda.
Grazie per Roger, a rileggerti

















Dalle mie parti si coltivava il clinto. I vecchi dicevano che prima che arrivasse l'irrigazione col Canale Villoresi, c'era un filare ogni tre pertiche.
Ai miei tempi erano rimasti circa un paio di filari per campo, prima che diventassi ragazzo, erano spariti i filari, e tutti i piccoli contadini.


Leggendo io ho rimosso la premessa che, giustamente, hai lasciato, proprio perché ti sei immedesimato molto bene, attraverso tua moglie, nel sentire di una donna, di una ragazza, anche perché sei una persona sensibile e dolce.
In genere i racconti sono un po' penalizzati sui siti, poi ci sono, magari, persone come me che hanno qualche problema alla vista e non possono affaticare gli occhi.
Tu continua a scrivere quel che senti che sei davvero bravo, delicato e sensibile.
A rileggerti,
Marina
p.s. noto adesso che le letture non sono poche, anzi...






La bellezza del corpo, quando c'è, è fugace.
Quella dell'anima invece traspare attraverso una bellezza naturale, semplice pulita.
Avevo anch'io un'amica che ritenevo molto bella, interessata ad apparire, avevamo 16 anni, a piacere a tutti i ragazzi. E piaceva.
Ma era una ragazza superficiale e questo, nel tempo, mi ha fatta riflettere e mi ha portata a vederla con altri occhi.
Molto ben scritto, sempre un piacere leggerti, Alex, sempre interessanti i tuoi spunti di riflessione.
Complimenti


