Il Tomo- Reprobi Angelus 11.12
La sesta stanza
-L’unica cosa che gli angeli ci invidiano
La sera prima della partenza di Christopher per Edimburgo, da oltre il crinale Edgar aveva deciso di scendere in paese per rifornirsi di cibo e bevande.
Con la sua andatura dinoccolata pareva un omino di pan di zenzero che si strofinava a grandi passi alle foglie di cannella.
E a grandi morsi trangugiava wafer uno via l’altro, annusando inebriato l’incarto.
< Ciao signore… mi piacciono tanto i wafer > una bambina vestita di amaranto, seduta su di un cippo muschioso.
<<Ciao, prendine uno>> Edgar cercando di scantonare.
< Signore, me ne dai un altro? >
Bloccandosi, visibilmente contrariato
<<Tieni la confezione, ma ora torna a casa>>
< Domattina il mio buongiorno avrà i capelli che profumano di latte e cacao >
Già ripartito, e di spalle
<Grazie. Devo dirti ancora una cosa, Edgar…>
Con le gambe impietrite e il cuore di corsa
<<Bimba, chi ti ha detto il mio nome…>>
<Un angioletto.
Vuole che tu porti un messaggio a una donna.
Adamantina avrà un figlio… dille di amare anche lui attraverso il loro bambino>
Uscendo dalla stanza Samaèl, verso un quadro di donna
«Anelerò ogni istante che non mi sarà concesso di pettinarle i capelli»
Edgar guardava il vecchio cippo. Nessuno oltre a lui e il cremisi di una cocciniglia sulla pagina strappata di un libro.
L’aveva sognata? E quel nome che gli pareva di avere già sentito, Adamantina!?
Corse quasi, per quanto possa correre un uomo della sua mole.
Davanti alla drogheria, col fiatone
<<Niente…>> si disse
<<non è successo niente>>
All’interno, proprio mentre stava per pagare, si accorse che dietro al bancone era affissa alla parete un’istantanea per tutto rassomigliante alla bambina dei wafer.
Così domandò al proprietario se si trattasse di sua figlia
<<Sa, l’ho incontrata poco fa… è golosa di wafer>>
Il droghiere si incupì, e con voce triste disse che si trattava di uno sbaglio… che la figlia era morta diciassette anni prima, rientrando a casa di sera da oltre il crinale.
Edgar si diradò, scordando le provviste, nella nebbia che era calata sui campi.
E sui suoi pensieri.
Qualche mattina dopo il ragazzone, rimuginando e ancora, si ritrovò senza quasi volerlo davanti alla locanda.
L’insegna Della Cannella risaltava spettrale sulla facciata bianca.
Entrando
<<Ho le galosce infangate…>>
“ Venga pure, non si faccia problemi” la voce fragile di Adamantina
“…posso farle solo un caffè, se vuole. Altrimenti deve aspettare la proprietaria. Rientrerà a momenti ”
<<A dire il vero, cerco la signora Adamantina…>> pur avendone riconosciuto il profumo.
Tentennando
<<…non so bene perché sono venuto>>
Adamantina sorrise
“Che signore strano è lei. Sono io. In che posso aiutarla?”
Edgar riferì il messaggio della bambina misteriosa, e vedendo il viso sfingeo della donna andò via in tutta fretta.
Appena fuori, nell’angolo dove ha lo scolo un fontanile rosicava l’incarto di un wafer un sorcio.
“Samaèl… amore mio” le lacrime le scivolavano sul viso come la sofferenza di cui sono gelosi gli angeli, sulle proprie vesti.
E stringeva tra le mani un fazzoletto che sapeva di miele.
Un aspetto che appartiene al lato oscuro degli uomini, la sofferenza.
Quella sofferenza che ci assimila al crocifisso.
«Hai fin qui mostrato una parte di quel che mi è stato imposto vedere nelle stanze del Palazzo.
Non potrai più esimerti ora, autore dal narrare ciò a cui dovette assistere il camionista nello spiazzo della locanda» accostato al bisbiglio impenetrabile dalla borsa da viaggio sul portabagagli posteriore nella Volga nera del lemure custode dell’ala recisa.
(in tomo invidia)
-----la chiusa è ispirata a un pensiero di Padre Pio
liber primus
Racconto scritto il 24/10/2025 - 05:45Voto: | su 0 votanti |
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