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L’autore del Tomo 4:10

Honora patrem et matrem




cap IV- I fiori della primavera sono i sogni dell’inverno raccontati la mattina



Nella macchina da scrivere quel che doveva essere l’inizio del primo capitolo…


L’altalena
dondola da sola, lui
ha lo sguardo
di qualcuno che s’è smarrito.


Appoggia le spalle curve
agli alberi sulla tappezzeria,
gli restano domande
e una coccinella sul dito.


…il ragazzo con sul dito una coccinella di questa piccola poesia si lascia scivolare sulle gambe. Ora dorme. La testa ricurva in avanti, nella sfumatura intensa di un’alba che gli pesa sulle spalle.
Il coleottero a piccoli passi torna tra gli alberi sulla tappezzeria della soffitta.
Fino ad ora non era stato molto fortunato. Era uscito di casa per trovare una foglia dove lasciarsi amare da un raggio di sole, non se ne era accorto nessuno.
Aveva altre domande, diverse da quelle dell’uomo. Le fronde mormoravano di una coccinella come lei, solo più vorace, dalla livrea arancione e gialla nel grande bosco lontano che aveva tutta l’intenzione di governare da dove lo sguardo può arrivare… fino a capire quanta sia stata la fortuna di esserci.
Un’altalena dondolava da sola, si sentiva smarrita.
Degli abeti secolari non restava niente, se non il ricordo disegnato nel cielo dai petali dei piccoli fiori. I saggi gufi, le vecchie querce continuavano a morire.
Restavano loro, i fiori. Giovani fari capaci di colorare il sole quando cieli cupi ricoprono i pensieri, piccole lucine anche quando è buio.
La coccinella si domandava come potesse un suo simile non darsi cruccio di sfregare incurante le zampette e liberare quel veleno. L’odore repellente era nell’aria.
Lei che porta in giro ogni giorno un cuoricino ovalizzato dal peso dei puntini che hanno lasciato chi legge senza la possibilità di prendere fiato.


Questo stavo scrivendo, per l’appunto di oggetti che possono diventare protagonisti e tratteggiare l'atmosfera. Ma mi interruppi.


Ora ascoltate… il caldo calmo che da sotto la coperta vi avvolge nel torpore, non è il fuoco del camino.
Sentite… non appartiene al vento nel fruscio delle foglie oltre la soglia il verso che vi desta, storditi. Lene. Avviluppati nel divano tra il sonno e il vino.
Cercate tra una virgola e il rigagnolo delle parole…
A passeggio su quello che andrò a scrivere, raccoglietemi: sono il bisbiglio che scende come il sonno e la neve, una carezza.


Narrerai di un angelo che scenderà dal cielo con in mano un sigillo –così mi disse Samaèl- da lui un barlume in sospensione si disperderà nei pensieri…


Mi pare di ricordare che tutto sia avvenuto in pochi attimi, qualche istante e poi il buio e il caos più totali. Pochi attimi ma infiniti, forti e devastanti emozioni: paura, terrore, confusione, shock e dolore. E le lamiere di un auto.
Credo fosse metà pomeriggio, e ricordo la plastica della camera iperbarica, la sonnolenza e un senso come di ebbrezza. E poi l’odore di fenolo dei camici dei sanitari, e l’agitazione e l’ansia.
Ora c’è rumore. Di voci, diverse e sconosciute. Tutte tranne forse una.
Tre figure sedute nel centro della sala, una sala enorme come quelle apparecchiate per un rinfresco. La donna accanto ai tre uomini al centro mi osserva. E’ di mezza età con un velo appena appoggiato sui capelli spettinati, vestita con fresche stoffe azzurre.
Il signore più a destra da sotto un cappello plumbeo mi indica col dito… ma dove sono, e cosa ci faccio qui?
Quella delle tre figure al centro che finora aveva tenuto gli occhi chiusi, forse sulla settantina, sollevando il capo e portandosi le mani giunte al serto di alloro sul doppiopetto mi sorride da sotto la barba curata.
Mi sollevo sulle gambe, vergognandomi un po’ per le mie braghette corte. Non riesco a togliere gli occhi da quelle mani in preghiera.
Prendo un respiro profondo rivolgendomi a quello che mi aveva indicato “…Samaèl, sei tu!? Non sono sicuro di capire… Voglio solo tornare dai miei figli e da mia moglie. E poter scrivere ancora”.


Nessuno nello studiolo. Sul carrello della macchina per scrivere, dal blocco di martelli


…la morte…
che si tratti della nera
signora con la falce
o solo tomba
di marmo
e terra, e calce





-il titolo è una citazione di Khalil Gibran




onora il padre e la madre




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Racconto scritto il 05/03/2023 - 10:45
Da Mirko D. Mastro
Letta n.255 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


…la morte…
è tornare da dove siamo venuti
che si tratti di niente
che si tratti di tutto
io ti saluto sorella vita
infinita

Ernesto D’Onise 06/03/2023 - 18:54

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Splendida nel dramma che presenta.
In te non c'è "solo" Poesia, ma quel tocco di magia che sa sempre catturare e ammaliare il lettore... complimentissimi,
Mastro Poeta, attendo...

Marina Assanti 05/03/2023 - 13:33

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Affascinante questo IV capitolo, una lunga serie di metafore che lasciano intendere ciò che potrebbe accadere nel rigo successivo od anche nel prossimo V capitolo.
Per ora però l'autore del Tomo ci dona questo bel racconto emozionante.
Complimenti è veramente coinvolgente!
Molto,molto apprezzato.

Maria Luisa Bandiera 05/03/2023 - 11:20

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Sorvolo sulle lamiere...non voglio ricordare, mentre ascolto ciò che dice il vento tra i capelli che mi porta le tue storie. Oggi hai fatto tardi..ti aspettavo da tempo..poi finalmente, la coccinella è tornata!!

Anna Cenni 05/03/2023 - 11:02

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