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Il Tomo- Reprobi Angelus 4.12

Postremo capitulum (aut quartum)
Le ore si posano lente come fa la neve




In un tailleur corvino e occhiaie in tinta con i pensieri, Lobella in compagnia del suo chignon attendeva ansiosa l’amica.
Color delle candele. I brividi crescevano semplici e discreti lungo il suo stelo esile. Cominciava a sentirsi come i bucaneve tra le dita affusolate della strega d’inverno.
Ne percepiva i sospiri.


<<Sto per andare a palazzo con Eva Kant?>> Benedetta, non l’aveva vista arrivare
<<Perdonami, quando sono nervosa dico cose sciocche… Possiamo andare>>


<E tu che ci fai qui!?> visibilmente inquieta Lobella, alla figlia in tuta ginnica scura.


Con due occhioni sagaci, da sotto la cuffia -Vengo con voi…-


<Niente affatto!>


<<Aspetta amica mia…>>


<No Benedetta, non voglio corra pericoli…>


<<Lo capisco, ma è l’unica che conosce il latino. E ho come l’impressione che ci sarà bisogno di lei>>


-Dai mamma, mettiamo fine insieme a questa storia-


<Però mi darai ascolto. Promettilo…>


-Etiam- con un pizzico di malizia -ora incamminiamoci-


Una fitta coltre di nebbia stava colando su Parco Lazienki.
Il Palazzo sull’Acqua era là.


…i bucaneve necessitano di egual cure dell'abbandono.
Non così la notte…


Come un bisbiglio.


All’ingresso una Volga nera sembrava osservarle.



…Capita che l’alba necessiti di prendersi una pausa
e capita che sia solo bianca. Come le ali di qualche angelo…


Ebbero come la sensazione che la vettura bisbigliasse.
Trasalìrono quasi.


-Entriamo… stiamo vicine- cercando di farsi coraggio la giovane Arnica, il cui nome come quello della madre ricordava per tenacia l’omonima pianta.


I lampadari di cristallo, l’oro alle pareti… ma un grosso tomo le catturò l’attenzione. Cominciò a strofinarsi la cuffia come a cercare nella memoria


-Reprobi angelus in locus tristitiae.
Ora guarderò le incisioni in acquaforte. Il diavolo è nei dettagli…-


“…ma anche nell’ultimo gradino delle scale. Quello che non esiste” una voce provata, quasi confortevole dall’ombra.
E poi da sotto un cappello plumbeo “Questa è la prima, brava ragazzina, la stanza della tristezza. Non è posto per voi”


<Io non credo al diavolo…> Lobella come avvinta da quel tono, lo stesso che nelle ultime notti le aveva tolto il respiro prima di addormentarsi.


“Peccato. Perché lui crede in te”


<Ma tu…> non doveva chiederlo, ma voleva sapere <…sei un angelo caduto?>.


“No!” la voce ora si era indurita.


I muscoli tesi lasciavano percepire non rabbia, sofferenza.
Dallo squarcio nella camicia una sola magnifica ala nera


“Ero un angelo. Gli angeli neri spazzolano le nuvole per donare la carezza della pioggia ai raccolti”


-Quanti sono gli angeli?- la ragazzina fino a quel momento ammutolita.


“Quanti lui lascia che vivano”


<Dio?!> Lobella indietreggiò, le era sfuggito.


“Dio... Dio guarda le cose dall’abito talare dei suoi uomini di chiesa.
Lui e Mefistofele erano come fratelli, e il mondo conosceva solo la pace.
Ma Mefistofele aveva un figlio. Per Lucifero l’umanità erano tessere di un domino da incoraggiare, per poi veder cadere.
Dio lo cacciò e l’amico di sempre, pur riconoscendo la giusta causa, consumato dal dolore decise di far conoscere al mondo la crudeltà delle guerre”


<E tu? > ancora Lobella, spinta dalla curiosità.


“Fui mandato nel mondo per parlare a Lucifero. Si nascondeva fuori Varsavia. Incontrai un uomo che di quel paesino conosceva il decoro, e i segreti.
Ospitava nella sua locanda una giovane donna.
I suoi capelli erano i fili con cui la notte tesse il cielo”


…e cieli diversi sulla stessa volta giacciono come macchie dello stesso pennello sulla tela…


Ancora quel bisbiglio.


“I tuoi me li ricordano Lobella.
Ci innamorammo. Adamantina fu l’occasione per Mefistofele di esigere da Dio una punizione esemplare, al pari di quella inferta al figlio.
E Dio lasciò che mi recidesse un’ala.
Ma a Lucifero non bastava…” cadde in ginocchio “…e la uccise”


<Adamantina, che bel nome… come il colore tra lo scarlatto e il vermiglio> un po’ a disagio, Lobella.


-O come il cuore del cristallo, l’adamas- senza togliere lo sguardo dal tomo, Arnica -di grande purezza e forza –

<<Voglio aiutarti…>> Benedetta, commossa.


“L’hai già fatto, lasciando che tuo marito trovasse come lenire il suo dolore.
Zelo porterà da Adamantina il cippo di frassino.
Ora dovete andare. Se riuscirò ad attraversare le dieci stanze di questo palazzo, mi sarà dato di vederla un’ultima volta”


<Cosa ti aspetta?>


“Il manto della neve dà mitezza… sotto il picco; come l'indulgenza di chi ha curvato il dorso. Li accomuna l'asperità del declivio.
Lobella, mie signore… un giorno ci sarà bisogno di una di voi, e quel giorno colei dovrà essere viva. Andate. Adesso!”



Le ore si erano posate lente come fa la neve.
Con l’ala a brandelli ma le anime ricongiunte, Samaèl chiuse un attimo gli occhi… il cippo era al suo posto, e lo scavo fatto.
Accarezzò i cenci della veste vermiglia, e si sdraiò accanto a lei.
Poi si guardò l’avambraccio. Il fedele ratto capì che il momento era
giunto. Due lacrime gli scendevano lungo il braccio


“Amico mio…”


Iniziò a rosicchiargli il petto, e il cuore di un angelo fece ritorno a casa.



Un profumo di cannella e zenzero accarezzò il vetro anteriore dell’autoarticolato amaranto che percorreva la statale oramai da una buona mezz’ora, costretto alla deviazione da un incidente nel quale al ragazzotto alla guida parve fosse coinvolta sola una Volga nera. Forse un prete e una suora, spauriti ma fortunatamente per loro illesi.
Procedeva quasi a passo d’uomo da un po’ cercando di immaginare il volto del padre appena gli avrebbe mostrato il nuovo trattore Fiat che stava per regalargli, quando sul bordo della strada gli sembrò di scorgere una figura vermiglia, e frenò bruscamente.
Il tir aveva appena smesso di ancheggiare, che si sentì ringraziare


«Vado solo poco più avanti... c’è una locanda. Mi chiamo Adamantina, e tu? »


‘Edgard ’ in uno spiffero di voce.


Scesero entrambi. All’omone giulivo di centottanta chili caffè macchiato caldo e croissant parvero tutto ciò che potesse desiderare.
Si sedettero all’angolo rischiarato dalla finestra.


«Non capisco, il mio Samaèl aveva detto che si sarebbe fatto trovare al tavolo dirimpetto alla finestra. Arriverà…» e sorrise.


Un topino intanto le era salito sulla mano… capì in quell’istante che per lei aveva dato la sua vita.


Del tramonto ne fanno qualcosa che tutti si fermano a guardare, due occhi innamorati.
Di questo dovrebbe essere sparso il mondo.



Asciugò due sole lacrime con un fazzoletto candido da cui si poteva sentire il miele.





in calce


Il lettore risulterà plausibilmente confuso…
Sul manoscritto inspiegabilmente abrasa la firma dell’autore
“…confusio in mente est ordo in anima”



- “…la confusione nella mente è ordine dentro l’anima”, le ultime parole di Samaèl



-----Benedetta verso l’inizio cita Eva Kant, personaggio femminile

del fumetto Diabolik creato dalle sorelle Giussani




liber primus




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Racconto scritto il 22/09/2025 - 06:43
Da Mirko D. Mastro
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