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Il sogno

Una notte d’estate un signorotto delle parti di Milano, che di professione esercitava soprusi e soperchierie, si agitava nel letto stentando a prender sonno. Era stato a un festino in compagnia di un pugno di scagnozzi che l’epidemia del tempo non aveva ancora portato via. Ma una volta a casa, dopo aver mandato quelli ad acchiappare i ratti, vuoi per il vino delle campagne di Lecco, vuoi per il caldo in aumento al nord, aveva cominciato a sentire un malessere alle membra che gli toglieva l’allegria con cui prima aveva intonato canzonacce d’osteria e sudava come un giorno sudò il vicario di provvisione alle prese con il prezzo del pane.
Quando finalmente si addormentò, fece sogni che non avrebbe augurato ai nemici della Spagna.
Gli sembrò di trovarsi dentro una chiesa, lui che non ci andava mai e che non era andato neppure al matrimonio dello zio, il conte.
Si trovava in mezzo a una folla che lo pressava e lo ostacolava, mentre affannosamente cercava di farsi strada. Erano uomini con gli occhi da fuori e labbra che penzolavano fino alla punta del mento, si capiva che non stavano bene e per questo lui voleva guadagnare l’uscita velocemente, ma quelli gli si stringevano viepiù addosso. A lui, a un galantuomo!
Sentiva intanto un dolore al fianco, probabilmente a causa della marmaglia che lo pigiava e avrebbe voluto sguainare la spada d’ordinanza per far vedere di che pasta era fatto, anzi, forse era proprio il pomo della spada a premergli contro il fianco, ma non la trovò.
D’istinto si volse verso l’altare da cui comparve un frate senza capelli e con la barba che gli si arricciava sul saio. Gli sorrideva con occhietti da far paura, in mano reggeva una spada, quella che lui non trovava, e la muoveva in avanti con aria di sfida, con l’abilità di uno spadaccino, come se non avesse sempre professato il mestiere di frate.
Intanto la folla continuava a schiacciarlo, il dolore continuava a torturarlo e lui con il fiato che gli rimaneva in gola lanciò un urlo.
Si svegliò. Tutto era scomparso eccetto il dolore al fianco, si toccò con timore e imprecò: “Lucia, figlia di un Lanzichenecco, sposta il gomito che mi punge come un filo di ferro, mi hai fatto passare una notte d’inferno!”



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Opera scritta il 27/10/2010 - 13:36
Da . Marca Budavari
Letta n.1841 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


bel racconto, complimenti. l'abilità descrittiva è la caratteristica principale, ma anche l'originalitàdel racconto è notevole. 5 stelle meritate...un nsaluto

Spartaco Messina 15/07/2016 - 19:57

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Finalmente un nuovo autore che si confronta con le scritture creative. Benvenuto

Max 27/10/2010 - 20:49

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