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la guerra ed io

Quando fui chiamato per andare a combattere, mi sentivo orgoglioso, non vedevo l’ora di andare in guerra per la difesa della mia patria; ero al settimo cielo, ma dopo solo pochi giorni passati al fronte, capii improvvisamente cosa mi aspettava… Scrivevo a casa lunghe lettere straripanti di nostalgia, all’incirca una volta ogni dieci giorni e alla mia fidanzata scrivevo anche più spesso. Ogni tanto mi capitava di aiutare alcuni miei compagni a scrivere, perché erano analfabeti, ma spesso venivamo interrotti da qualche improvviso attacco. Avevamo paura ininterrottamente, eravamo terrorizzati all’idea di essere raggiunti dai nemici e infatti una mattina… io e altri due soldati siamo andati in perlustrazione e pensavamo di aver scoperto l’accampamento avversario ma fummo inaspettatamente sorpresi: uno di noi fu colpito da un proiettile assassino e io fui fatto prigioniero insieme all’altro mio compagno. Passammo tutto il giorno in una stanzetta buia e fredda, sorvegliati. Un terrore indescrivibile cresceva dentro di noi, la paura ci impediva di parlare, non riuscivamo a muoverci, e il tempo scorreva lentamente ma inesorabile. Verso sera venne un uomo alto, ostile, che parlava un italiano strano, non riuscivo proprio a capire di dove fosse esattamente. Prima fece alcune domande al mio amico sventurato, poi venne da me. Mi chiese dove fossimo accampati, ma io tacqui, poi minacciò che ci avrebbero fucilati ed io, con un filo di voce, pietrificato dalla disperazione, pronunciai il nome del primo paesino sperduto che mi era venuto in mente. Quasi mi illusi che non si fossero accorti dell’inganno, ma poi fummo portati di fronte a un muro, il plotone si preparò davanti a noi, e l’ultima cosa che percepii fu un rumore assordante mentre rividi la mia vita intera passarmi davanti in un lampo e infine allontanarsi da me, che non sentivo più niente, sommerso dal buio.



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Racconto scritto il 13/08/2013 - 14:45
Da claudia montenegro
Letta n.1520 volte.
Voto:
su 4 votanti


Commenti


Cara Claudia, hai una visione un po' distorta delle cose. Il mio commento è stato un libero diritto di espressione, né più né meno come il tuo di pubblicare. Come però si usa nell'esprimere una opinione, è bene che questa sia motivata. Così ho fatto. Anche in tono pacato e rispettoso. Non è stato di tuo gradimento? Potevi controbattere, spiegare il tuo intento e finiva tutto lì. Il tuo “sinceramente neanche il tuo racconto mi fa impazzire” che hai anche ripetuto con un "non mi piace", sono asserzioni prive di motivazione, quindi li reputo commenti poco educati, diciamo di ripicca. Non ho alcun problema nell'accettarli, al contrario di te e confermo anche a te la mia decisione di non più commentare.
Un saluto.

sergio boldini 18/08/2013 - 14:14

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A mio parere la costruzione di questo racconto andrebbe modificata. L'io narrante non può descrivere la parte finale della sua vita da morto. Il racconto dovrebbe interrompersi nel momento in cui l'io narrante viene prelevato dalla stanza. Da quel momento non dovrebbe più essere l'io narrante a raccontare ma una terza persona che, nel modo scelto dall'autore, entra in gioco per descrivere l'eventuale fucilazione. C'è poi, sempre e solo a mio parere, un abuso degli aggettivi in “ente” (improvvisamente, inaspettatamente, ininterrottamente, etc) che, in uno spazio così ristretto, creano nel lettore l'immagine di una ripetizione che non c'è.

sergio boldini 15/08/2013 - 14:52

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