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MORTE ALLE 10 parte II

«Non si mette bene!» Esclamò da fuori McDowell rivolgendosi ai suoi colleghi tecnici.
«Perché dici così?» Domandò uno di loro.
«A giudicare dal movimento che c’è in questo momento dev’essere successo qualcosa di grosso.»
Non ebbe il tempo di fine la frase che si spalancò la porta insonorizzata e ne uscì Sue col volto disperato e sul punto di scoppiare.
«Sue che succede?»
«CHIAMATE IL 911!! IL SIGNOR FERR HA AVUTO UN MALORE E ORA NON RESPIRA!»



In meno di dieci minuti dalla chiamata due auto erano arrivate in ufficio a sirene spiegate.
Da una scesero due agenti di polizia e il commissario Bowie. Un uomo di circa cinquant’anni con pochi capelli sulla testa e una pelata sulla parte alta. Dall’altra che era in realtà un’ambulanza scattarono fuori in tutta fretta due paramedici che con uno zaino in spalla salirono in gran fretta le scale dello stabile e si incrociarono a metà strada con uno dei tecnici che li accompagnò nella sala riunioni. I due provarono subito ad eseguire le procedure per un tentativo di rianimazione, ma quando finalmente arrivò anche il commissario era troppo tardi.
«Non c’è più niente da fare.»
Il corpo era disteso a terra a pancia in giù con una schiuma bianca che gli fuoriusciva dalla bocca spalancata.
«Che cosa l’ha provocato?» Domandò il commissario.
Uno dei paramedici fece un sospiro e guardò l’altro in cerca di un segno di approvazione.
«A giudicare da questa schiuma e dalla dilatazione delle pupille, possiamo anticiparle che quest’uomo non è morto di causa naturale.»
«Ne siete sicuri?»
«Si commissario. Qui c’è stato un omicidio!»
Un violento urlo rimbalzò sulle pareti insonorizzate della stanza quasi stordendo i presenti.
«Che cosa è successo signorina?» Rivolse la domanda a Sue.
«Stavamo parlando. Eravamo in piena riunione e così di colpo i suoi occhi si sono rivoltati all’indietro e l’abbiamo visto accasciarsi. Ha iniziato ad avere delle convulsioni e quella roba ha iniziato a uscirgli dalla bocca.» La voce di Sue era singhiozzante ma in cuor suo non sapeva se si trattasse di lacrime di dolore o di gioia.
«Qualcuno ha toccato il corpo una volta caduto?»
«Si abbiamo un addetto alla sicurezza che ha seguito anche un corso di pronto soccorso e ha provato a fargli un massaggio cardiaco.»
Il commissario sembrava incredibilmente calmo nonostante quello che era appena accaduto e non sembrava provare alcun ribrezzo nel vedere il corpo sdraiato a pochi centimetri dalla punta delle sue scarpe.
«Mi sa indicare chi è l’addetto?»
«Chris Donovan. L’uomo laggiù.»
In seguito, la stanza venne chiusa e le persiane vennero strette oscurare la vista dall’esterno.



«A chi appartiene l’ufficio qui di fronte?» Domandò il commissario rivolgendosi a Sue indicando la stanza di che si affacciava sulla stanza di Ferr.
«E’ l’ufficio del signor Donovan.»
«Agente – attirò a sé l’attenzione di uno dei poliziotti – faccia accomodare tutti i presenti nell’ufficio qui di fronte. Voglio parlare a tutti immediatamente.»
Gli agenti di polizia fecero entrare tutti i dipendenti che si schierarono lungo le pareti dell’ufficio quadrato mentre Donovan osservava incuriosito quanto stava accadendo dalla poltrona di pelle, dondolandosi con la spinta delle gambe puntate a terra.
Mentre alcuni mantenevano un rigoroso silenzio mantenendo lo sguardo a terra, Sue e Sarah dovettero farsi forza a vicenda per non scoppiare a piangere. Anche Carmen venne chiamata dagli agenti mentre era presa a pulire il pavimento dei bagni. Il suo volto era quasi di un bianco cadavere dal terrore.
Il commissario entrò nella piccola stanza e fece un cenno col capo rivolto a Donovan.
L’uomo all’inizio non sembrò capire ma alla fine interpretò il gesto come un caloroso invito ad alzarti dalla poltrona per lasciargli il posto.
Il commissario si lasciò cadere sullo schienale e osservò tutti i presenti schierati in fila di fronte a lui.
Gli sguardi dei presenti erano tutti puntati su di lui come fossero un plotone di esecuzione e lui la vittima designata con la differenza però che stavolta il condannato stringeva tra le mani un fucile e i fucilieri sembravano intimoriti di incontrare presto una pallottola.
«Signori voglio essere chiaro con voi. Il vostro collega – prese il portafogli per guardare il nome sui documenti – Maximilian Ferr è stato assassinato. Avvelenato per l’esattezza e ora non so come sia stato possibile, ma dato che la morte è avvenuta in questo ufficio e sono abbastanza sicuro che l’assassino è qualcuno dei presenti. Per questo motivo nessuno di voi andrà a casa fino a quando non avremo fatto un po’ di luce sulla situazione.»
«Andiamo commissario!» Rispose bruscamente Donovan.
L’uomo lo fulminò con lo sguardo e iniziò a cercare tra le patenti che in precedenza si era fatto consegnare.
«E mi dica signor… Donovan giusto?!»
«Si esatto.»
«Da quello che mi è stato riferito appena arrivato, lei è stato l’unico dei presenti a toccare il corpo non appena è accaduto il fatto giusto?»
«Si esatto! Ho solo applicato quanto appreso al corso di rianimazione.»
«Dunque, qui ci sono diversi testimoni che l’hanno vista toccare il corpo e su di esso ci sono le sue impronte. Potrei portarla in commissariato e trattenerla fino al rapporto del medico legale che casualmente potrei far ritardare per cause sconosciute. se ha tanta fretta di uscire da questo ufficio. Sono certo che un cambio di location le farebbe bene. Che ne dice di una cella di detenzione temporanea?»
Donovan abbassò la testa e si zittì.
«Ripeto un’altra volta e spero si tratti dell’ultima. Nessuno e ripeto nessuno uscirà dall’azienda fino a quando non saremo riusciti a sbrogliare la situazione è chiaro?»
I presenti non risposero. Si limitarono ad annuire con la testa.
«Dunque, approfittando di questa stanza procederemo qui agli interrogatori.
Nel frattempo, ritornate tutti alle vostre scrivanie lasciando qui il cellulare per cortesia. Chi invece non l’ha con sé in questo momento lo consegnerà all’agente alle mie spalle che farà un giro a controllarvi tutti mentre tornate a posto. Direi di cominciare proprio da lei signor Donovan. Data la sua enorme fretta sono certo che vorrà collaborare con la legge affinché il caso si risolva presto?!»
Tutti i presenti uscirono dalla stanza lasciando i cellulari e furono posizionati in una scatola di cartone avvolta dal nastro di Amazon a quello di Ferr che gli era stato estratto dalla tasca con dei guanti in lattice dal commissario.
Ad uno degli agenti chiese di posizionarsi davanti alla porta dell’ingresso laterale della sala riunioni, mentre all’altro fu chiesto di tenere sotto controllo i presenti e di avvertire al minimo problema.


Bowie fece accomodare Donovan di fronte a lui.
«Prima di tutto voglio avvisarla che registrerò questa nostra conversazione con il mio telefono.» Dopo averlo estratto dalla tasca interna della giacca lo posizionò sulla scrivania con l’applicazione del microfono attiva.
«Nome completo?»
«Chris Donovan Junior.»
«Da quanto lavora in questa azienda?»
«Due anni e sette mesi.»
«Mansione?»
«Responsabile reparto commerciale e vendite.»
«Ha famiglia?»
«Si, perché?»
«Pura curiosità! In che rapporti era con la vittima?»
«Era il mio capo. Avevo stima per lui. Era un grande capo.»
Il commissario fece un sospiro mentre si alzò in piedi e si sfilò la giacca posizionandola sullo schienale della sedia. Ne uscì un uomo un po’ cicciotto vestito con una camicia a quadrettini bianchi e azzurri con due enormi bretelle nere che sorreggevano i pantaloni a cui era legato il distintivo della polizia e la pistola con la fodera.
«Signor Donovan non devo certo ricordarle che mentire durante un’indagine è reato e posso inoltre assicurarle che non ci saranno ripercussioni per quanto mi sta per raccontare. Come vede l’unica persona che può fare qualcosa si trova sdraiato lì a terra sotto quel telo bianco nell’attesa dell’arrivo dei medici legali e della scientifica. Forza mi dica la verità!»
Ci mise due o tre secondi per prendere coraggio.
«Va bene le dirò la verità! Era una merda! Un figlio di puttana! Un lurido sacco di letame puzzolente! Dicono che nessuno meriti di venire ucciso, ma lui è la pura eccezione! Le posso già dire una cosa che le eviterà di perdere tempo con gli altri interrogatori. Quel pezzo di merda ci aveva appena comunicato di aver venduto la società e che saremmo stati tutti licenziati. Non so chi sia il colpevole ma posso dirle che questo è un movente bello e buono per uccidere.»
«Ecco qui. Ci è voluto tanto?» Prese un foglio dove precedentemente aveva fatto uno schizzo in scala della sala riunioni, tavolo e sedie incluse - «Signor Donovan mi indicherebbe per favore dove era seduto al momento della morte del signor Ferr?»
«Esattamente lì alla sedia a sinistra della vittima.»
«Abbastanza vicino per poter mettere il veleno nel suo bicchiere ma abbastanza lontano dalla porta per poter scappare dall’uscita della sala riunioni che da sull’ingresso esterno degli uffici.»
«SENTA LEI…»
«Stia calmo! Le mie sono solo congetture. Per il momento è tutto può accomodarsi fuori. La farò richiamare nel caso dovesse servire altro.»
Donovan sbuffò e si avviò fuori dal suo ufficio.
Il commissario prese una penna e tirò fuori dalla tasca una piccola agendina in pelle che era spesso portarsi dietro per segnarsi gli appunti. Su di essa aveva in precedenza segnato tutti i nomi dei presenti quel giorno e con decisione tirò una riga sopra il nome dell’uomo appena interrogato quasi a inciderci.
«Alza solo la voce ma in realtà è più innocuo di un agnellino. Passiamo al prossimo.» Esclamò sbuffando.
Venne chiamato Matthew Penny.
A differenza del collega apparve molto tranquillo e disinvolto durante l’interrogatorio.
«Nome completo?»
«Matthew Daniel Penny.»
«Da quanto lavora in questa azienda?»
«Circa diciotto mesi.»
«Mansione?»
«Vice responsabile vendite.»
«In che rapporti era con la vittima?»
L’uomo chinò la testa emettendo un pesante sospiro.
«Chris mi ha detto solo di non mentirle quindi le dirò la verità. Anche io come praticamente tutto l’ufficio penso, odiavo quel vecchio! Immagino che il mio collega le abbia detto della vendita della società.»
«Si, il signor Donovan mi ha accennato qualcosa.»
«Beh diciamo che avremmo perso tutti il lavoro per colpa sua.»
«Invece ora?»
«Da quello che so la società ora passa di mano al vice direttore.»
«E dove si trova questo vice direttore in questo momento?»
«Non lo vediamo in azienda da una settimana. Tratta clienti esteri ed è sempre in viaggio per qualche riunione o evento.»
Il commissario gli passò un bigliettino e la penna e gli chiese di scrivergli nome e cognome oltre a un numero di cellulare a cui contattare il vicepresidente.
«Mi indichi dove era seduto nel momento in cui il suo ex titolare si è accasciato a terra.»
Gli allungò il foglio con il disegno.
«Ero seduto accanto a Donovan. Di fronte a Britney Downey su questa sedia.» Indicò la poltrona che dava le spalle alle finestre in vetro puntate sulla trafficata strada di fronte all’azienda.
«E mi dica perché non è intervenuto a dare una mano al suo collega?»
«Vuole scherzare? Ero pietrificato dalla paura!»
«Perché non ha chiamato il 911 allora?»
«Durante le riunioni il capo pretende, volevo dire pretendeva che tutti i cellulari venissero spenti. Ci vuole troppo tempo per riaccendere questi smartphone. Sue è stata molto tempestiva a fiondarsi fuori a chiedere a quei tre imbranati di chiamarvi.»
«Imbranati?»
«Sono solo tecnici. Comunque, Sue è stata davvero tempestiva.»
«Come se sapesse quanto stava accadendo?»
«Io questo non l’ho detto commissario.» Sorrise.
«Ma l’ha pensato ne sono certo.»
«E questo è forse un reato?»
Il commissario stava iniziando a infastidirsi.
«Vada fuori per cortesia. Abbiamo finito!»
L’uomo si alzò fece un cenno col capo e si avviò verso il suo ufficio.
«Un ultima cosa commissario.»
«Mi dica.»
«Credo che dovrebbe davvero controllare la signorina Sue. Dato come la trattava direi che aveva più di un motivo per farlo fuori.»
«Lei sta lanciando accuse pesanti signor Penny.»
Il viceresponsabile rispose con un ghigno quasi malefico. Si voltò e si uscì.
«Agente!»
«Mi dica commissario.»
Il poliziotto che stava controllando il corridoio si affacciò dalla porta.
«Prenda questo numero e lo contatti. Lo metta al corrente di quanto accaduto e mi ci faccia parlare, chiaro? Ho come il sospetto che questa faccenda non sarà facile da sbrogliare.»
«Sono arrivati quelli della scientifica li faccio entrare?»
«Si fategli delineare la zona della sala riunioni e fategli fare i controlli di rito.»
Due uomini armati di valigetta entrarono nella stanza e indossando la tuta e i ferri del mestiere, iniziarono a ispezionare la zona.
Bowie li raggiunse in gran fretta.
«Voglio un riscontro immediato di tutto. Impronte. Tracce chimiche. Segni. Qualsiasi cosa ci possa essere. Grazie.»
I due uomini fecero un cenno col capo e si inginocchiarono sulla vittima che nel frattempo era stata coperta da un telo fornito poco prima dalla signora Carmen dopo averlo preso dallo sgabuzzino che si trovava dietro ad una porta nel bagno.
Bowie riprese posto sulla poltrona nell’ufficio pronto a riprendere i colloqui.
«Commissario abbiamo il vice direttore al telefono.»
L’agente arrivò talmente di corsa che quasi sfondò la porta.
Bowie gli strappò il telefono con foga.
«Qui parla il commissario Bowie della polizia di parlo Salt Lake City. Parlo col signor» prese dalla tasca il biglietto col nome «Arnold Page?»
«Si sono io commissario. Che cosa è successo? Perché questa chiamata?»
Sembrava incredibilmente agitato e spaventato.
«Signor Page la chiamo dagli uffici della sua società. Mi dispiace comunicarle che questa mattina è stato commesso un omicidio.»
«COSA?»
Staccò il telefono dall’orecchio per lanciare uno sguardo cagnesco all’agente che gli aveva passato il telefono.
«Vi avevo detto di metterlo al correte!»
«Ci ho provato ma appena ho detto di chiamare dalla polizia ha iniziato a urlare.»
Fece un verso di disappunto e riprese a parlare al telefono.
«Il direttore di questa azienda il signor Maximilian Ferr è stato assassinato stamattina.»
Calò un silenzio glaciale.
Il commissario contò tre respiri completi prima di riprendere a parlare.
«Ho bisogno di farle un paio di domande per favore. Se la sente di rispondere?»
«S-Sì mi dica.»
«Per prima cosa dove si trova in questo momento?»
«Mi trovo in un hotel a Monaco. In Germania.»
«Le premetto già che questa conversazione verrà registrata tramite un’applicazione della polizia installata sul dispositivo dal quale la sto chiamando. Quindi qualsiasi cosa dirà sarà utilizzata in sede di indagine. Mi risponda solo sì se ha capito.»
«Sì!»
«Bene allora cominciamo. Mi serve il suo nome completo.»
«Arnold Page.»
«Mi occorre anche qualche informazione sulla vittima. Abbiamo guardato il suo telefono e nel suo portafogli ma non sembra esserci alcun riferimento a parenti o amici.»
«Viveva da solo. Mai sposato e dopo aver perso i genitori in un incidente quando era piccolo è stato cresciuto dai nonni materni che sono ormai morti da tempo.»
«Posizione nell’azienda?»
«Vicedirettore e amministratore delegato della società.»
«Da quanto tempo lavora per questa azienda?»
«Da quando è stata fondata. Saranno sei anni tra due mesi.»
«In che rapporti era con la vittima?»
«Abbiamo sempre collaborato. Ma a differenza sua che preferiva restare sempre in ufficio, io mi occupavo delle trasferte e degli incontri con clienti e fornitori o di partecipare a eventi del settore.»
«Quindi era al corrente?»
«Al corrente di cosa? Dell’appuntamento delle 10? Sono giorni che me ne parla. O dovrei dire parlava.»
«Da quello che ci è stato detto l’incontro di oggi serviva per annunciare la vendita della società.»
Ci fu un breve istante di silenzio seguito da un forte sospiro.
«Quel figlio di puttana alla fine lo ha fatto.»
«Deduco che la cosa non è nuova per lei.»
«Vorrei poter dire di no, ma è da settimane che faceva battute al riguardo. A questo punto posso solo dedurre che non si trattava di battute.»
«A quanto pare no.»
«Veramente un bastardo!»
«Mi dica c’è qualcuno qui in ufficio che potrebbe portare rancore verso la vittima?»
«Ha carta e penna?»



Dopo quella telefonata il commissario riprese i colloqui chiamando a sé in ordine i due tecnici e poi Sarah Downey.
La signorina era segnata in volto. Gli occhi gonfi provavano che aveva da poco pianto ma il commissario proseguì con le domande di rito.
«Nome completo?»
«Sarah Downey.»
«Mansione in questa azienda?»
«Lavoro alla fatturazione. Mi occupo della parte economica.»
«Da quanto tempo lavora qui?»
«Da circa quattro anni come mia sorella.»
«In che rapporti era con la vittima?»
«Inserivo le fatture. Praticamente non avevamo rapporti diretti. Praticamente non ci parlavamo.»
«Capisco.» Prese il suo taccuino dove aveva segnato quanto gli era stato detto prima dal vicepresidente al telefono. «Da quello che sappiamo in questo ultimo anno ha più volte richiesto un aumento di stipendio che le è sempre stato negato dal signor Ferr.»
Il volto di Sarah si fece scuro.
«Chi le ha detto questo?»
«Risponda soltanto alla domanda.»
«Si è vero. Ho fatto mille cose per lui. Ho fatto sparire fatture che non riguardavano proprio spese aziendali.»
«Di che genere?»
«Ecco non so se dovrei parlarne.»
«Non mi occupo di contabilità. Sono qui per risolvere un caso e non mi interessano gli aspetti economici di un’azienda, ma mi occorre avere il quadro completo per capire cosa è successo questa mattina.»
La donna chinò il capo e iniziò a sfregarsi le mani nervosamente.
«Il signor Ferr era un giocatore d’azzardo. Aveva enormi debiti che risanava con le casse della società. Mi chiedeva di registrare false fatture per coprire le uscite agli occhi degli investitori e del vicepresidente.»
«Di che cifra stiamo parlando?»
«Svariate centinaia di migliaia di dollari.»
«La definirei una carta a suo favore.»
«A prima vista potrebbe sembrare ma…»
«Ma?»
«Mi aveva minacciato di licenziare mia sorella se avessi provato a parlarne con qualcuno.»
«Capisco. Vada pure ora. La ringrazio per quando mi ha detto.»



Sue era seduta alla sua scrivania incapace di proferir parola. Quanto era accaduto l’aveva scioccata a tal punto da costringere l’operatore dell’ambulanza che insieme al collega erano arrivati alla chiamata di McDowell a visitarla.
Mentre il pulsossimetro a pressa stava compiendo il suo lavoro dall’indice della sua mano sinistra, il ragazzo di carnagione scura e dalla leggera striscia di ispidi capelli neri cercava di tirarle su il morale.
«Coraggio signorina cerchi di riprendersi.»
Le sfilò il misuratore dal dito e le prese la mano tentando di darle conforto.
Avvertì un gelo tale da spaventarlo.
Dentro di lei Sue avvertiva un miscuglio di sensazioni contrastanti tra di loro. Il doloro per aver perso una persona con cui aveva collaborato negli ultimi anni, mista ad una fortissima paura di rimanere senza lavoro che le attorcigliava lo stomaco. Una sensazione di rabbia per non essersi accorta di nulla unita ad un senso di paura nel pensare che qualcuno di quelle persone con cui aveva collaborato in quell’ufficio poteva essere stato capace di un simile gesto. Iniziò ad avvertire anche un lieve timore salirle da dietro la schiena.
Il suo sguardo si perse nel vuoto del corridoio fino a posarsi su Britney Downey sulla scrivania in fondo al corridoio, che subito la ricambiò con un altrettanto sguardo quasi di studio. Si voltò poi lentamente verso la zona dei tecnici dove notò McDowell che stava praticamente facendo la stessa cosa con Donovan che dopo aver passato un abbondante quarto d’ora nella zona break e si era accomodato su una sedia nell’angolo dell’accoglienza accanto alla porta automatica d’ingresso.
Poi notò Penny che nel mentre sorseggiava un caffè fumante poggiato con la schiena al muro accanto all’ufficio di Donovan, si guardava intorno con aria sospettosa.
In quell’ufficio era calato silenzio spezzato solo da qualche frase dei tecnici. Si poteva avvertire una tensione quasi palpabile. Tutti i legami che si erano stabiliti nel tempo, si erano improvvisamente incrinati rendendo tutti i presenti diffidenti l’uno dell’altro.
Dopo pochi istanti dall’ufficio degli interrogatori uscì Sarah con gli occhi gonfi e arrossati. Il continuo passarsi il fazzoletto aveva fatto arrossare la zona delle narici e i segni sulle guance lasciavo intuire il suo stato di tensione momentanea.
«Signorina Britney – urlò il commissario – avrei bisogno di parlarle per favore.»
«Mi scusi commissario – lo interruppe bruscamente Penny – ma è ormai arrivata ora di pranzo e noi vorremmo mettere qualcosa sotto i denti.»
«Le consiglio vivamente di non ascoltare il suo stomaco. Come ho già detto per il momento nessuno si muove da qui.»
«Come diavolo fai ad avere fame in un momento simile?!» Esclamò McDowell.
«Sta zitto tu!»
«Che succede Matthew, non vedi l’ora di scappare?»
«Non cascherò nei giochetti di un patetico smanettone di computer. Non hai qualche mouse a cui cambiare le batterie?»
Quella frase fece scattare in piedi McDowell che fu immediatamente redarguito dal commissario.
«Un’altra parola e vi faccio sbattere dentro a entrambi.»
Quella sceneggiata fu una prova inconfutabile del clima di tensione che si poteva respirare.
Britney si alzò dalla scrivania e raggiunse la porta dell’ufficio di Donovan non prima di aver lanciato ancora una volta un’occhiata quasi al fuoco nei confronti di Sue.




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Racconto scritto il 19/04/2020 - 21:15
Da Edoardo Glorioso
Letta n.671 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Un bel thriller ben stilato e molto scorrevole e coinvolgente, ma mi sono persa la prima parte che dovrò andare a leggere, piaciuto!

Maria Luisa Bandiera 20/04/2020 - 08:10

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