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NINA

Luca giunse a piccoli passi davanti alla porta di casa e si fermò un attimo a pensare.
Respirava a fatica, come se avesse appena corso una maratona olimpica, e grosse gocce di sudore scivolavano sul suo viso come tanti sciatori su di una bella pista innevata.
Rimase lì fermo, imbambolato, per quasi cinque minuti, per vedere se riusciva almeno a smettere di tremare come un frullatore. Poi, con il cuore che ancora girava come una turbina impazzita, fece per aprire la porta ma subito ritrasse la mano come se la maniglia fosse diventata di colpo incandescente o percorsa da energia elettrica.
Non c’era niente da fare, la paura non passava.
Questa volta l’aveva combinata grossa e Giorgia non avrebbe fatto sconti.
Era terribilmente in ritardo e, quanto al resto, bastava vedere come era conciato per capire che, non appena si fosse presentato, l’ennesimo rimprovero di Giorgia sarebbe calato inesorabile trapassandogli il cervello come una lama sottile e affilatissima.
“Magari capirà…”, pensò, facendosi finalmente coraggio ed aprendo piano piano la porta, con la stessa delicatezza che, di solito, si usa per non disturbare qualcuno che sta dormendo.
Il rapporto tra Luca e Giorgia si stava deteriorando sempre di più. Una pesante lastra di vetro era caduta tra loro due e per Giorgia ogni occasione era buona per rimarcare nel marito questo o quel difetto, per trovare sempre qualcosa che non andava in quello che faceva. Qualsiasi pretesto andava bene per rinfacciargli che era un buono a nulla, un incompetente, e che lei aveva fatto un grosso errore a sposare un cretino del genere.
Avessero avuto dei figli forse le cose sarebbero andate diversamente. Ma i figli, malgrado anni di cure e di illusioni, non erano arrivati e ormai Luca e Giorgia, dopo neanche dieci anni di matrimonio, vivevano distanti, ciascuno nel proprio mondo, fatto di sogni e realtà distorte, consumando la propria esistenza senza qualcuno da amare, senza un bimbo da crescere, senza altri interessi, come due naufraghi alla deriva su zattere che le onde allontanavano sempre di più.
Luca contò fino a venti e poi iniziò a salire le scale che dall’ingresso portavano su in salotto.
“Ma si può sapere dove diavolo sei stato???”. L’urlo isterico proveniva dalla cucina e percorse, come un fulmine, tutta la casa, accompagnato dal rumore di coperchi che sbattevano sul tavolo e posate che finivano per terra.
Brutto segno.
“E’ più di un’ora che ti aspetto!”, sbraitò Giorgia, piombando come un falco in salotto dove Luca attendeva la fine, immobile in mezzo alla stanza, nella speranza che l’uragano passasse senza fare troppi danni.
Ma Luca sapeva bene che quel genere di uragano avrebbe lasciato dietro di sè solo un enorme mucchio di macerie, per questo si preparò a reggere alla meglio la prima onda d’urto mentre cacciava giù un groppo alla gola grande come un cetriolo messo di traverso.
“Ma cosa credi? Che io sia la tua schiava?!?”, urlò Giorgia con un tono che saliva sempre più di intensità.
“Vedi tesoro…”, cominciò a balbettare Luca, “…stavo rientrando a casa e, passando vicino al canale…”.
A quel punto Giorgia lo squadrò per bene e dovette reggersi al tavolo per non stramazzare al suolo.
“Ma...ma…cosa hai fatto?”. Giorgia era diventata paonazza e annaspava come un malcapitato precipitato nel mare in burrasca.
In effetti, Giorgia aveva le sue buone ragioni, perché, oltre al ritardo abissale, Luca si era presentato in canottiera e bagnato dalla testa ai piedi.
Luca decise che era venuto il momento di calare l’asso e porse a Giorgia qualcosa che aveva avvolto nella camicia, sperando che, più di mille inutili scuse, servisse finalmente a spiegare tutta la faccenda.
Piccoli rivoletti d’acqua scendevano dalle gambe di Luca e disegnavano forme distorte sulle piastrelle del pavimento.
“Ma guarda cosa hai fatto, deficiente!”, gridò Giorgia con le lacrime agli occhi, “Guarda come ti sei ridotto!”. Poi vide bene quello che Luca le aveva appena dato ed esplose definitivamente.
La camicia era stata trasformata in una specie di fagotto e, nelle mani di Luca, si muoveva come se fosse dotato di vita propria. Ma non vi era nulla di soprannaturale, perché subito spuntò un musetto striato con lunghi baffoni e due profondissimi e sfavillanti occhi color ametista.
“Era finito nel canale o forse qualcuno ce l’aveva buttato dentro…e così io…”, gorgogliò Luca, fissando la moglie come uno scolaretto che, dopo un compito difficilissimo, attende con trepidazione il voto della maestra.
E il voto arrivò puntuale e non tradì le aspettative: “Un perfetto imbecille! Ecco chi ho sposato, Un uomo assolutamente irresponsabile, incapace ed incredibilmente stupido!”, urlò Giorgia, “Ma questa volta hai superato te stesso!”.
Giorgia si accasciò su una sedia e si prese la testa tra le mani. “Sei un idiota! Conciarsi in quel modo! E per che cosa? Solo per uno stupido sacco di pulci!”.
Le speranze di Luca si sciolsero come un panetto di burro lasciato sotto il sole di Ferragosto.
“Ma non è un sacco di pulci è un…”, intervenne Luca accennando un timido tentativo di difesa.
Giorgia si alzò di scatto dalla sedia. “Non me ne frega un bel niente!”, lo interruppe bruscamente, puntandogli contro il dito accusatore, “Solo un cretino come te poteva fare una cosa del genere!”.
“Ma non potevo lasciarlo là dentro!”, cercò di giustificarsi Luca, “E poi, pensavo che ...”, la voce si incrinò e una lacrima gli solcò il viso. “Ecco…pensavo che…avrebbe potuto farci compagnia… come quel figlio tanto desiderato che non abbiamo mai potuto avere…”.
Dio solo sapeva quale sforzo aveva sopportato Luca nel pronunciare quelle parole senza scoppiare a piangere, ma Giorgia, imperterrita, gli voltò le spalle e si diresse velocemente verso la camera da letto.
“Un figlio! Solo un fallito come te può pensare di poter sostituire un figlio con una bestia!”, urlò sbattendo la porta, “Questa è la ricompensa per essermi messa con un idiota! Fossi almeno stato capace di farli, i figli!”.
Luca la inseguì e cercò di dire qualcosa, ma Giorgia si era già barricata “Sono stufa di vivere con un derelitto! Ti mollo qui. Torno da mia madre!”.
Luca si buttò in ginocchio e pregò in lacrime Giorgia che non lo abbandonasse. Si umiliò in tutti i modi, perché non lo lasciasse solo. Fu tutto inutile.
“Sbarazzati di quella bestiaccia e abbi il coraggio di diventare uomo!”, sentenziò Giorgia la mattina seguente uscendo di casa con le valigie.
Luca guardò l’auto di Giorgia scomparire in fondo al vialetto e si avviò a trascorrere il suo primo giorno di esilio. Per prima cosa scartò l’idea di andare a ributtare la bestiola dove l’aveva trovata. “Forse, a mente fredda, troverò una soluzione…”, pensò, “…oppure qualcuno mi aiuterà…”.
E siccome il nuovo inquilino era a tutti gli effetti da considerarsi assunto in pianta stabile, cominciò subito col cercargli un nome.
“Dato che sei stato salvato dalle acque...”, disse tra sé e sé mentre lo accarezzava, “…ti chiamerò Mosè!”.
L’animale, dal canto suo, sembrò approvare la scelta, perché continuò a strisciargli tra le gambe con la coda ritta.
Una rapida visita dal veterinario, però, mandò in frantumi questo proposito, perché, pur essendo perfettamente in salute, il gatto si rivelò in realtà...una gatta!
Luca, a malincuore, dovette rinunciare al nome Mosè, però si era intestardito su un nome che ricordasse l’accostamento all’acqua. La ricerca non fu una cosa semplice ma, pensa oggi pensa domani, Luca optò alla fine per i nomi delle Tre Caravelle, perché, anche loro in fondo, avevano sfidato e vinto le acque.
Già, ma quale delle tre scegliere? Luca eliminò subito “Santa Maria”, perché l’accostamento gli sembrava un po’blasfemo e poi anche “Pinta”, perché dava l’idea di un gatto ubriacone.
“Ecco!”, gridò infine, soddisfatto della travagliata scelta, “Ti chiamerò Nina!”.
La gatta non sembrò affatto contrariata dal nome, né da tutto il trambusto che Luca aveva messo in piedi per affibbiarglielo: gli saltò in grembo e cominciò a fare le fusa, finché si addormentò pacifica, lasciando Luca ad assolvere alla poco comoda funzione di cuscino.
Nina si dimostrò un animale affettuoso, socievole e molto intelligente. Stava sempre con Luca e lo seguiva dovunque egli andasse.
Con la mente sgombra da i pensieri e allietata dalla compagnia della bestiola, Luca si dedicò a tutte quelle piccole cose che aveva in sospeso da tempo e che aveva sempre rimandato.
Quanto lo aveva deriso Giorgia per questo. Per il suo continuo volersi applicare su cose futili, come l’hobby del modellismo, del giardinaggio o della scrittura, senza badare, invece, alle cose più importanti e redditizie, come, ad esempio, cercarsi un lavoro vero, di quelli ben pagati, che permettesse di cambiare vita, di andarsene da quelle quattro mura piantate in mezzo alla campagna desolata, abitata da gentaglia rozza e maleducata, ed approdare, finalmente, nella grande città piena di negozi e di luci sfavillanti, dove le strade erano sempre affollate di bella gente anche a notte fonda.
E il fatto di poter dedicarsi ora, liberamente, a tutte queste cose senza essere criticato o insultato, lo faceva sentire meno solo. E meno stupido.
Il Sabato successivo Luca decise di sostituire alcune tegole del tetto che un temporale di qualche giorno prima aveva divelto. Prese la lunga scala dal garage e si arrampicò, mentre Nina rimaneva accovacciata ad attenderlo giù da basso.
Lavorò quasi tutto il pomeriggio poi, verso sera, mollò tutto. Avrebbe terminato il mattino dopo e, poiché era sfinito dal caldo e dalla fatica, decise di non riporre gli attrezzi e di lasciare la scala appoggiata al muro.
Rientrò, si fece una lunga doccia, si preparò un panino e si sprofondò sul divano a guardare la televisione con una bella bottiglia di birra, mentre Nina si accomodava sulla sua sedia preferita.
Era ormai notte fonda, quando Luca sentì un rumore provenire dalla finestra della cucina.
Le aveva spalancate tutte per creare un po' di corrente e alleviare la morsa del caldo di quel Luglio infuocato.
In un primo momento non ci fece molto caso: dopotutto la porta di ingresso al pianterreno era sprangata e, del resto, abitava in campagna, dove non c’erano gli stessi pericoli di una grande città.
“Magari è solo un colpo di vento o...forse un pipistrello che…”, pensò per trovare un barlume di sicurezza.
Poi, però, come un flash, gli venne in mente la scala che non aveva voluto riporre in garage e i battiti del cuore iniziarono ad accelerare.
Luca abbassò il volume della TV e tese l'orecchio, cercando di captare un altro rumore, ma non sentì nulla. Il silenzio profondo della campagna circostante era rotto solo dai richiami dei grilli e delle rane che se ne stavano tranquilli al fresco in mezzo all’erba alta o sugli argini dei fossi.
“Beh, potrei andare in cucina a prendermi un’altra birra e, intanto, darei un'occhiata…”, pensò, sogghignando per non lasciarsi condizionare dalla paura.
Si alzò stiracchiandosi ma, quando si voltò, vide un'ombra frapporsi tra la tenue luce lunare che penetrava dalla finestra della cucina e il corridoio che portava al salotto.
Mentre fissava quella sagoma immobile gli si gelò il sangue nelle vene e il sorrisetto beffardo stampato sul volto scomparve in un attimo.
Sentì il cuore arrivargli in gola, mentre una goccia gelata di sudore gli scivolava sulla guancia.
“Chi è là? Sono armato!”, ruggì con voce cavernosa, sperando che l'intruso scappasse, anche se, l'unica arma di cui al momento poteva disporre era solo il telecomando del televisore.
Gli venne in mente che aveva anche un grosso coltello da macellaio, che però si trovava in cucina.
L'ombra iniziò ad avanzare lentamente verso di lui. Luca era pronto a scattare come una molla: aveva tutti i muscoli in tensione.
Dalla penombra comparve prima un volto seminascosto da un berretto da baseball calcato fin sopra le orecchie, poi una figura snella e longilinea che portava jeans logori ed una t-shirt bianca che lasciava scoperti avambracci abbronzati e abbondantemente tatuati.
Aveva un coltello infilato nella cintola e nella mano destra teneva una pistola.
Mentre Luca osservava quella sagoma e quegli occhi che lo fissavano come un predatore fissa il suo futuro pranzo, fu raggiunto dalla perentoria domanda: “Dov’è la cassaforte!”.
Luca schizzò dalla poltrona come un grillo, usando il tavolo come temporanea barriera protettiva.
Il rapinatore ruotò lentamente il capo e armò il cane della pistola, facendogli capire che sarebbe finita molto male.
Nina sembrava non essersi accorta della presenza dell’intruso e continuava a dormire, appallottolata sulla sedia, come se niente fosse.
Luca voleva uscire da lì. Con una pistola puntata, anche fuori avrebbe rischiato grosso ma, almeno, sarebbe stato libero di correre via nell’oscurità e al diavolo se il rapinatore gli avesse sparato. Là fuori, di notte, avrebbe anche potuto mancarlo.
Ma lì dentro, in quella stanza, no.
La porta di ingresso era al piano di sotto ma, per raggiungerla, avrebbe dovuto eludere il rapinatore che gli stava bloccando l’unica via di uscita, senza contare che, per far scattare tutte le serrature, occorreva troppo tempo.
“Sono in trappola!” si ripeteva ossessivamente.
Non poteva neanche telefonare alla Polizia, perché il telefono si trovava in corridoio e il cellulare, come al solito, lo aveva lasciato chissà dove.
Luca attese che il rapinatore si avvicinasse di più al tavolo e poi fece per scattare verso la porta che dava sulle scale. La mossa si rivelò sbagliata, perché, ovviamente, l’intruso fu più svelto: agguantò Luca per il collo e lo stese senza troppi complimenti.
Nina, a quel punto, si destò di colpo, si rizzò e cominciò a soffiare verso il rapinatore, il quale stava puntando la pistola alla testa di Luca. Nina balzò dalla sedia e attaccò il rapinatore ad una gamba, soffiando e graffiando.
Il rapinatore bestemmiò e con un calcio si liberò di Nina sbattendola con violenza contro il muro. Poi, prese la mira e fece partire un colpo, ma Nina, veloce come il vento, schizzò sotto il tavolo e il colpo la mancò di un niente.
Intanto Luca, liberato dalla presa, tentò di rialzarsi, ma il rapinatore si girò, lo colpì con una ginocchiata allo stomaco e gli puntò di nuovo la pistola contro. “Stavolta è davvero finita…”, pensò ansimando Luca con gli occhi serrati, aspettando di sentire quel botto che avrebbe messo fine a tutto.
Nina sbucò improvvisamente da dietro il divano e balzò sul tavolo. Rimase lì immobile con il pelo ritto e gli occhi gelidi che brillavano nella penombra. Dalle fauci socchiuse saliva un brontolio sordo, continuo e feroce.
Il rapinatore, innervosito, lanciò un’altra bestemmia e diresse la pistola verso l’animale, preparandosi a premere il grilletto.
Ma Nina fu più veloce. In un attimo prese lo slancio e attaccò di nuovo.
E, questa volta, mirò dritta agli occhi.
Il rapinatore urlò di dolore e cercò di strapparsi dal viso quel demonio che lo stava graffiando e morsicando.
Nell’impeto della lotta perse il coltello, ma riuscì a sparare un altro colpo che, per fortuna, centrò il soffitto.
Nina, come una leonessa, non dava tregua alla sua vittima: copiosi rivoli di sangue colavano dal viso dello sconosciuto e si riversavano lungo il collo e fin sulla t-shirt. Poi, nell’estremo tentativo di divincolarsi, il rapinatore perse l’equilibrio e cadde battendo la testa.
Rimase immobile, steso sul pavimento. Nina mollò la presa e cominciò a girargli intorno, emettendo suoni simili a ruggiti soffocati.
Rinvenne quasi subito, ma ormai il coltello era finito sotto il tavolo e la pistola stava nelle mani, non troppo ferme in verità, di Luca.
Nina, dal canto suo, lo stava ancora marcando stretto con movimenti che non promettevano nulla di buono.
Allarmati dagli spari, alcuni vicini avevano chiamato la Polizia. Gli agenti sfondarono la porta e tutto finì lì.
La vita ricominciò come prima e, dopo una decina di giorni, Giorgia telefonò.
Non appena sentì la sua voce, il cuore di Luca esplose di gioia, perché sperava che, complice il periodo di lontananza, il muro che da tempo li divideva stesse finalmente per sgretolarsi.
“Allora, ti sei finalmente deciso a mettere la testa a posto? Ti sei sbarazzato di quella bestiaccia?”, domandò perentoria Giorgia con un tono di voce che ricordava molto da vicino un tribunale dell’Inquisizione.
Luca non fiatò. Osservò con attenzione il telefono e poi volse lo sguardo verso Nina che, tranquilla, stava effettuando un’accurata toilette sul tavolo.
Rimase lì imbambolato a riflettere sul fatto che la sua testa era effettivamente ancora al suo posto, ma solo grazie ad una serie di coincidenze, tra le quali l’intervento di Nina, che aveva messo in gioco una delle sue sette vite, ma non lo aveva lasciato solo.
Tornò a concentrarsi sul telefono.
“Beh, ti decidi a parlare o hai per caso intenzione di farmi stare qui tutta la giornata?”, incalzò Giorgia con acredine.
Ma Luca, ormai, non l’ascoltava più. Aveva allontanato la cornetta del telefono dall’orecchio, mentre l’angoscia gli serrava il cuore in una morsa spietata.
Ora, con le lacrime agli occhi, fissava ancora Nina che, terminate le grandi pulizie, stava cercando una posizione comoda per schiacciare l’ennesimo pisolino.
E quando Giorgia, infine, gli chiese stizzita se avesse finalmente scelto se preferiva vivere con una moglie o con uno stupido sacco di pulci, Luca si asciugò il viso e sorrise.
Poi, fece un bel respiro e comunicò a Giorgia la risposta.



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Racconto scritto il 08/02/2023 - 11:00
Da Paolo Guastone
Letta n.286 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Grazie Aquila della Notte per aver letto il racconto. Sono contento che ti sia piaciuto.
Farò tesoro del tuo consiglio.

Paolo Guastone 09/02/2023 - 08:30

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La scrittura è bella, ma è troppo lungo.
Dovresti dividerlo in tre puntate.

Aquila Della Notte 08/02/2023 - 18:47

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