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L’autore del Tomo- Appendice

Gesù di quercia



Il librone gli indolenziva le braccia ad ogni passo, come se le pagine aumentassero, quando Simone raggiunse nel cortile i fratelli solo ora di ritorno dal funerale senza salma.


Dal tomo scivolò fuori una sorta di dattiloscritto che restò lì a terra, quasi che l’aria si fosse placata perché qualcuno potesse docilmente raccoglierlo.


Lo fece Nicolò, tredici anni <…è la scrittura di papà> accompagnando lontano una lacrima col dito.


Simone cercò di riprendere invano i fogli…


<<Quel Christopher non deve aver saputo dell’esistenza di questa parte aggiuntiva…>> lo precedette Samuele, anche lui diciassette anni ma da compiere.


<Chi è Christopher!?>.


–Non lo ricordi?- Simone asciugando col fazzoletto una piccola lacrima rimasta sul viso del fratello -Era l’agente letterario di nostro padre-.



Nicolò senza indugiare


«…ci chiesero di ricostruire il fatto.


Vollero da noi molti dettagli su come avevamo passato le ore tra le tredici, quando ci avevano visti tornare dalla chiesa verso il camposanto, e le diciassette di quel due di novembre che cambiò forse per sempre le vite degli abitanti del piccolo paese lungo la statale di Varsavia.


Un camionista, un ragazzotto giulivo di centottanta chili che continuava a portarsi le dita tozze sulla fronte quasi a spolverare i pensieri, insisteva nel dire di averci visti nei pressi di una Volga nera coinvolta in un brutto incidente. O ciò che ne restava.


Quel pomeriggio il profumo di cannella e zenzero insieme a una fitta coltre di nebbia investiva la statale.


Ma il fatto è che trovarono un signore elegante all’altezza del cippo del chilometro 13 a pochi metri dalle lamiere, in un cappotto plumbeo come il cielo. Il petto rosicchiato forse dai ratti, e un tovagliolo amaranto nel taschino con su scritta la lettera I.


E io e Samaèl davanti a una vecchia lapide tra le erbacce. Una foto sbiadita sotto il muschio, tanti rovi.


Fummo i primi a essere interrogati. Ci chiesero che ci facessimo lì in quel camposanto sconsacrato. Ogni due di novembre, disse Samaèl, mi reco sulla tomba della povera Adamantina, una ragazza di queste parti.


All’interno della locanda l’Ispettore Capo seduto all’angolo davanti alla finestra con un caffè macchiato caldo e un croissant parlava con un anziano che fino a un attimo prima dormiva su una sedia, nel tavolo dirimpetto un reverendo in viaggio per l’arcidiocesi di Varsavia.


Iniziando a sorseggiare il caffè si mise ad ascoltare i discorsi degli avventori, quanto di più concreto potesse ottenere a questo punto dell’indagine. Parlavano di una donna che un anno prima fu ritrovata nel suo appartamento. Dicevano che chi la rinvenì, le trovò la testa sfondata da un oggetto dagli angoli squadrati e regolari. L’ispettore trasalì, e chiese di avere i dettagli del caso ad un agente.


Era la giovane Adamantina, di nuovo quel nome. Anche quel due di novembre trovarono un fazzoletto candido nella sua manica con scritta la lettera P.


Il gendarme tornò qualche minuto dopo con i risultati della perquisizione all’autoarticolato abbandonato nello spiazzo: sul sedile del passeggero ondeggiava appena un fazzoletto dal profumo di miele con una T scritta sopra. Niente altro, tutt’intorno campi e solo campi di zenzero.


Oramai era chiaro… lungo la statale per Varsavia si aggirava un omicida seriale.


Oppure il diavolo, Samaèl da sotto un cappello plumbeo come il cielo in quel meriggio».



<<Pare intrigante, un rebus diabolico di livello…>> Samuele interrompendo la lettura <<…chissà perché nostro padre non ha messo questa parte nel romanzo!!>>.


–Lascia continuare Nicolò. Forza fratellino- Simone con aria interrogativa.



«In una postura innaturale, la testa incanutita tra le braccia pesava sulla ruota di un vecchio trattore. Ritrovarono così giorni dopo l’anziano fattore nella masseria oltre il crinale. Stessa dinamica, e di nuovo un fazzoletto nel taschino. Di nuovo una T scritta sopra.


La sera prima della riapertura del Palazzo sull’Acqua all’interno del Parco Lazienki, sempre in quel crinale fu la volta di una bambina vestita di amaranto. Il suo corpicino in parte come rosicchiato fu ritrovato seduto, messo in posa su di un cippo muschioso. La figliola del droghiere del paese. Accanto a lei dei wafer privi dell’incarto, avvolti in un tovagliolo. Questa volta la lettera era una A.


Quando il corteo d’accompagnamento della bimba e le sue esequie alla sepoltura arrivò nei pressi della locanda, stavamo all’interno del Palazzo per la mostra del pittore Vassilacchi, rivale del Tintoretto detto il Furioso, che ogni due di novembre inaugura la stagione del Parco.


Il reverendo aveva chiesto di presenziare la cerimonia funebre prima di ripartire alla volta di Varsavia.


Stavamo davanti all’impenetrabile dipinto dell’Apoteosi dell’Ordine dei Benedettini. Accanto, sulla parete un chiodo e il segno di un crocifisso.


Era un’opera maestosa. Nell’ammirare il dipinto in tutta la sua magnificenza si respirava qualcosa di inquietante… nella grande tela quei vuoti ombreggiati tra le figure dei religiosi si mutavano in due enormi fessure: gli occhi di una bestia immonda sembravano sfidare l’osservatore».



<Ora leggi tu, Simone. Così potrai sentire papà vicino… C’è ancora sulla carta l’odore del suo tabacco>.



«Mentre dinanzi alla salma nella liturgia fu il momento del requiem, volle mettermi a conoscenza Samaèl che in latino quadro si dice PITTA… Ripensai ai fazzoletti ritrovati sulle vittime, alle lettere.


Dopo quel lutto ne seguirono altri, voluti però da Dio.


L’assassino battezzato dalla stampa locale come La bestia dell’Aliense misurò le profondità degli inferi, per poi fare ritorno nel dipinto dentro il Palazzo sull’Acqua.


Le auto azzurre e bianche liberarono lo spiazzo della locanda, così come Samaèl la mia mente.


Da quel giorno nessuno dovette più preoccuparsi, cessò la paura.


Fino ad oggi.


Un profumo di miele. All’altezza del cippo del chilometro 13 una Volga nera sembrava osservarmi…».








-un bisbiglio, da piè di pagina: Non potevano sentirmi i miei ragazzi.


Li guardavo dal tomo, e non seppi raccogliere la lacrima dal dito di mio figlio…




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Racconto scritto il 27/02/2023 - 07:30
Da Mirko D. Mastro
Letta n.215 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Favoloso!
C'è anche Adamantina... interessantissimo e trascinante capitolo... resto sospesa nell'attesa.
Complimenti, Mastro Poeta, di cuore

Marina Assanti 27/02/2023 - 11:06

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Questo è uno schianto!! E a quel bisbiglio a piè di pagina io sgrano gli occhi, bellissimo,questo capitolo è tanto più dolce del suo inizio...e allo stesso tempo più thriller. Scorre tutto come un fiore gettato nel mare!! Complimentissimi!!

Anna Cenni 27/02/2023 - 10:50

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Bello, una lettura scorrevole e coinvolgente fino alla fine dove il racconto lascia il desiderio e l'attesa di un proseguire.
Letto tutto d'un fiato, in questa lettura tra personaggi già conosciuti tempo fa nel tomo ho trovato una comprensione più chiara del contesto.
Complimenti!

Maria Luisa Bandiera 27/02/2023 - 09:26

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