Edificio antico, non lussuoso che fa da contrasto con le villette nuove e curate intorno.
Ho detto “non lussuoso”, ma di certo questo non significa che non fosse bello: la parete di legno di quercia, molto elegante e ancora ben curata nonostante il tempo, i fiori di accoglienza all'entrata e un classico, ma non scontato cartello, con la scritta "chiuso o aperto".
Nessuno si sarebbe mai aspettato che accadesse quel fatto, non qui, non a Beverly.
Era la mattina del 27 Agosto, ore 7 e 13 minuti.
Il paesino dormiva ancora sotto la coperta stellata del cielo e il sole stava per dare il benvenuto alla nuova giornata.
Ad un tratto, un rumore simile allo scoppiettio di un fuoco d’artificio interruppe il silenzio.
Interruppe ogni cosa.
Veniva dalla biblioteca.
2457 abitanti dormivano, ma uno no.
Tutti potevano essere i sospettati, sicuramente c’era un colpevole, sicuramente c’era stato un atto di vandalismo, ma i grandi punti di domanda che costellavano il caso si sovrastavano a tutte queste certezze.
Quel giorno mi svegliai alle 8. Sono un ragazzo che indaga, mi chiamo Davide Anselmi, frequento l’università e oggi ho deciso di raccontarvi la storia del furto del volume numero 5.
La mattina del 27 agosto,  esattamente alle  nove in punto, come  sempre,  il signor Giacomo Bottura e sua  moglie Luisa Spinelli, aprirono il portone  della  biblioteca.
Erano entrambi uomini eleganti, di classe, che svolgevano il loro lavoro con passione e amore per i loro clienti.
Quel giorno però, ogni singolo buon e gentile pensiero che occupava loro la mente, si interruppe, a causa  di una spiacevole sorpresa che trovarono in negozio: la  finestra sulla  parete  sinistra,  quella che dava sulla  “sezione libri antichi” era  aperta,  o meglio era stata distrutta  con  un martello,  si supponeva. 
I signori decisero quindi di fare un breve controllo, per vedere se mancavano dei  libri… Infatti,  come  supponevano,  un antico pezzo, se non il  più  importante della  biblioteca  di Beverly, era stato rubato.
Era il volume numero cinque, storia  della  città.
Non ricordo  molto su quel  libro a parte la copertina  umida a causa  del tempo, le pagine ingiallite  e qualche parola che purtroppo non si leggeva più.
I bibliotecari chiamarono la polizia ed esattamente tre minuti dopo, il  commissario Marchini era alla porta, pronto per  indagare.
Non dovrei dirvelo, ma  tra di loro  c’ero  anche io, il noto figlio del banchiere, classico ragazzo che si allontana completamente dalla  perfezione: all’università prende scarsi voti,  è tenebroso, strano, non ha amici… Solo una persona mi considerava in paese,  e  indovinate…  era proprio il commissario. 
Fin da piccolo avevo avuto una  passione per l’investigazione e quindi il signor  Marchini decise  di prendermi come  “aiuto  investigatore”.
Nella  stanza regnava  un silenzio tombale, che  sembrava però  essere interrotto  dalle onde  negative  che  giravano nell'aria,  anche se erano invisibili,  si potevano udire. 
Il  signor  Marchini iniziò le indagini. Prese il taccuino,  la penna e,  ultimo strumento  che  utilizzò fu la  voce.
Partì osservando il luogo dell’accaduto,  lo scrutai   attentamente e notai che ogni  tanto,  scriveva qualcosa sul foglio  ormai non più bianco. 
Alla fine, dopo solamente sei minuti disse che non avrebbe  come  sempre  fatto domande, ma  che  si sarebbe ritirato nel suo ufficio.
Mi fece cenno di seguirlo, lasciammo il luogo. 
Il commissario non disse nulla per tutto il viaggio, poi, con molta calma,  quando arrivammo nell’ufficio  mi disse  che  aveva  raccolto numerosi indizi delle piste  interessanti.  
Mi chiese  di contattare la signora  Mary Brunner. Gli chiesi come mai,  sapevo che era un’anziana,  sicuramente non avrei  mai sospettato di lei. 
Il  commissario però  mi interruppe  e  disse: “Aspetta  e  vedrai…”
Il pomeriggio,  accompagnata  dal suo bastone, la  signora  Brunner  varcò  la  porta  dell’ufficio.
Iniziò l’interrogatorio. 
“So che lei, signora,  frequenta molto  spesso la  biblioteca, è corretto?”. Partì  il commissario.
“Si,  signor  Marchini,  la  biblioteca è quasi come se fosse la  mia seconda casa.”
“Questa mattina lei dov’era?”
“Come  sempre,  mi sono svegliata alle sei,  ho  fatto  colazione e poi sono uscita a fare la  mia solita  passeggiata mattutina.”  La signora  disse queste ultime parole sottovoce,  feci quasi fatica ad udirle.
“Ah… passeggiata” disse  il commissario.
“Dove  si è diretta, signora?”  
“Sono andata a prendere il pane, poi  sono passata in piazza  e infine  sono tornata  a casa facendo il percorso  più  breve, quello che  passa per  il fiume;, mi piace sentire l’acqua  scorrere…”  
“Bene,  grazie per la sua disponibilità, arrivederci.”
La  signora uscì dalla  stanza  con molta calma,  la vidi poi allontanarsi lungo la  via  principale e  dirigersi poi verso casa. 
Al commissario erano bastate poche parole, poche domande, semplici ma che colpivano l'obbiettivo.
“Davide va pure, devo ragionare.” Mi disse qualche minuto dopo il  commissario.
Mi voltai,  salutai e lasciai  l’ufficio. Il  commissario aveva aperto il vaso della  ricerca, dell’indagine. Ormai  non si poteva più tornare indietro. 
Calava la notte su Beverly, tutti avrebbero avuto un sonno tranquillo, tutti, tranne quello di un animo colpevole,  che era sicuramente agitato. 
La  mattina dopo mi diressi verso l’ufficio del commissario, ma  con molta  sorpresa lo incontrai mentre si dirigeva verso la biblioteca.  Lo seguii.  
Aveva un passo agitato, quasi simile ad una corsa. 
Quando ci si trova davanti ad un cavallo infuriato  è sempre meglio non agire, quindi  decisi di non dire nulla, neanche una parola. 
Arrivammo alla  biblioteca,  osservai il  commissario,  non mi aveva ancora guardato in faccia.
Si sedette  su una sedia, io rimasi in piedi. 
Poi, finalmente, parlò: “Penso di sapere chi è stato, ma prima  dovete darmi il numero del signor Carlo Binacchi.” 
“Si, certamente…” Risposero i bibliotecari all’unisono. 
Non capii perché  proprio il banchiere era  a New York se non sbaglio, quindi  non era nemmeno qui il giorno  del furto…
Fatto sta che, il  mio ormai amico commissario, decise di chiamare il banchiere.
Non mi permise di ascoltare la  telefonata.  
Uscì dalla  stanza dove si era richiuso dopo un’ora  e finalmente, disse quello che aspettavo da tempo: “Ho risolto il caso”.
“Seguimi” disse  poi, rivolto a me.  
Ce ne  andammo. I dubbi dei bibliotecari salivano, ma è proprio questo elemento che fa suscitare l’emozione di scoprire il criminale. 
Arrivammo nell’ufficio, il sole ne illuminava le  pareti rosee. 
Il commissario  mi fece cenno di sedermi e  così feci. 
Poi parlò come non mi aveva mai parlato. 
“Sai, in questi giorni ho interrogato tutto il  vicinato,  tutte le  persone  residenti vicino alla  biblioteca, tutti, tranne te.”
Ci fu una pausa, iniziavo ad agitarmi,  anche  se non sapevo il motivo.
“Tu mi dicesti che  quella mattina  ti svegliasti alle otto, e poi andasti in biblioteca… ma come facevi a sapere dell’accaduto?”
“Signore,  non starà dubitando  di me, vero?” Dissi preoccupato. 
“No… ragiono e basta.”
“Comunque, tu sapevi dell’accaduto.  Ieri ho richiamato l’anziana  signora  che di solito va in biblioteca…  come  si chiama…  non mi ricordo.  Comunque, lei mi  disse che  quella  mattina ti vide davanti alla biblioteca. Ho quindi chiamato il banchiere che ha familiari che abitano intorno, anche qui, la mamma  dell’uomo mi disse che ti ha visto alle  7.00 correre per il paese. Senti, se devi confessare fallo, altrimenti lo farò io.”
Decisi di non dire nulla.
“Ok, vado avanti. Ho controllato l’altezza della  finestra, per sfondarla serve una certa altezza, almeno 1 metro e  70 centimetri, questo dato mi ha fatto escludere dall’elenco dei sospettati tutte le vecchiette del paese. Per  di più, ho notato un piccolissimo pezzo di stoffa nera, lana, simile proprio alla tua berretta incastrata alla porta.  
Sul pavimento le orme, rimaste a causa della polvere,  erano di un  piede circa numero 40,  cosa che possiedono in molti, ma poi, guardando le tue scarpe, mi sono reso conto che avevano la stessa forma delle impronte. Non sospettai subito di te, ma  con  quel colpo di classe… il giorno prima del furto lasciasti la facoltà e ti iscrivesti in polizia, mi scrivesti un messaggio davvero commovente … non hai però pensato a tutti gli altri particolari e questo fa di te un ladro molto fragile,  con poca esperienza.
Rimasi a bocca aperta, ma il commissario non mi diede  nemmeno il tempo di parlare.
“Mi manca solo un movente, me  lo  sai spiegare?” 
Mi aveva colto con le  mani nel sacco,  la nebbia invadeva la mia  mente.  
“Sì, è vero,  ho rubato il volume numero 5. Il  movente, commissario, è completare la  collezione  di libri che  il nonno aveva iniziato.”
Dissi solo queste parole. 
Tutti gli indizi mi portavano alla  deriva.  
Colpevole. Innocente.  Luce. Buio. Buono. Cattivo.
La  mia  anima  era  colpevole, la  mia mente invasa dal buio,  per tutti ora  ero un cattivo.
 Racconto scritto il 10/04/2020 - 20:46
Racconto scritto il 10/04/2020 - 20:46| Voto: |  su 0 votanti | 
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