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Come un Cane a Natale

A passo nudo tra i meandri dell'ennesima città dispersa, nell'anno dell'Ingiuria, l'unico suono che poteva disturbare era quell'incessante silenzio, dove neppure il vento urlava più le sue grida. Una luce fiocca filtrava tra le nubi nero fumo così basse e dense da sentirsi quasi accarezzati da quell'appiccicosa umidità che dominava ogni angolo delle strade. Tante questioni irrisolte nella mente rimbombavano e dentro a quel frastuono di pensieri l'incertezza, la solitudine e lo sgomento affioravano distorcendo l'unica emozione straordinariamente inesistente, non vi era più alcun senso di paura. Libero e vuoto, come stanza buia sovrastata dal silenzio, in attesa di nuova locazione per essere rivissuta, libro con migliaia di fogli bianchi sfogliati dal tempo più occupato a contare le pagine anziché accorgersi dell'inesistenza del racconto nel libro stesso.
Poco o nulla interessavano viaggio e destinazione, dato che ogni angolo era lecitamente chiamato casa, dove piedi nudi dovevano affrontare impervie e sconosciute vie per poi ritrovarsi nel medesimo tragitto fatto e rifatto cento e mille volte ancora.
Il fiuto era l'unica salvezza, odori e vibrazioni rendevano famigliari posti forse già visitati in passato, dove in quell'ombra di colori grigi, sagome vaganti oscillavano qua e la piuttosto distanti, il fiuto quasi canino separava con criterio la distinzione tra esseri umani, natura e cibo.
Il cibo, la preda più ambita dall'essere vivente, con anni di esperienza riuscire a determinare qualsiasi pietanza, la provenienza ed eventuale ubicazione, ed in particolare se avesse già un padrone o meno, ma quel giorno era differente, non era un giorno come tanti, benché non potessi udire la sua voce, sentivo il suo profumo, sapeva di giovinezza floreale, mentre una mano si posò dolcemente sulle mie rugose che riposavano sulle ginocchia adagiate su quell'asfalto freddo e duro, le sue mani così calde e morbide stavano riempendo in quell'instante stanze vuote e pagine di libri mai scritti.
Un alito di menta mi invase il viso, parla, stava cercando di dialogare con me e anche se non riuscissi a sentire cosa mi stesse dicendo, anche se i miei vecchi occhi oramai troppo stanche per guardare, anche se oramai disfatto dalla vita e dal tempo, cercando di camuffare i denti non più con lo smalto di prima giovinezza, le dedicai il mio più bel sorriso, lei comprese, e nuovamente una mano premurosa si posò sulle mie. Dopo poco altri odori mi invasero, era cibo, cibo vero e non avanzi, pietanze probabilmente appena sfornate.
Ricordo ancora ogni singolo profumo, eppure se il mio stomaco fosse arrugginito riuscii ad assaggiare ogni singola prelibatezza...non era un giorno come tanti, non come quei giorni di attesa per poi ritrovarsi sotto ai denti un pasto già utilizzato da chi tanto ne aveva avuto e per l'ennesimo atto di inumana golosità fallita decideva di rinunciare all'ultimo pezzo e anche se non sapessi ne il giorno, ne il nome della donna che mi fece la carità, ne il nome della città in cui stavo, posso dire che è stata senza dubbio la mia ultima cena di Natale...



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Opera scritta il 03/01/2016 - 21:50
Da Nome e Cognome
Letta n.1162 volte.
Voto:
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Commenti


Troppo interessante questo modo di scrivere, originale nella forma e nel contenuto. Molto buona anche l'idea per introdurre questo quadretto letterario nel tema della Cena particolare... unico appunto, che tuttavia non inficia le 5 stelle del voto, la stesura frettolosa...vedi errori di ortografia ( ne anziché né, o fiocca invece di fioca...ed altro), alcuni refusi e lapunteggiatura, buona ma non impeccabile.

Gennarino Ammore 04/01/2016 - 07:18

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