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Il palazzo della vergogna

Ammanettarlo non aveva creato problemi. Anzi sorrideva mentre i carabinieri lo circondavano, armi in pugno, sui portici di Palazzo Uguccioni in piazza della Signoria.
Una schiera di Fiorentini osservava la scena a naso in su’ nella piazza affollata da turisti errabondi.
Patergo guardava le manette ai polsi e rideva a crepapelle, continuava ad inciampare con gli stivali nei bordi del lungo mantello nero in cui era avvolto.
Il maresciallo si fece largo fino a trovarselo di fronte.
Lo guardò intensamente per cercar di comprendere dalle espressioni della faccia che persona fosse Patergo.
-Perché hai gettato di sotto quella donna? Gli chiese.
-Clementina era lo nome di costei. Quando le chiesi la mano lei si promise a me come donna di casa, e ciò fù per lungo tempo.Un dì cominciò a dipinger cose umane anziché d’agnello e pane, la tavola imbandir. Ordì, a mia insaputa un intrigo, del quale porto ancor vergogna. Ella ritrasse lo corpo nudo di un giovane a lei parente ed a tale offesa io ho posto riparo. Voi non avete visto il momento in cui l'ho legata alla ringhiera di codesto palazzo per svergognarla davanti a lo popolo e non avete visto che il vento le ha sollevato le vesti a darmi infin ragione che ella era una donna impura. Ho reso l’anima sua al cielo e lo corpo alla terra nera, che padrona ne sia, per sempre.
Il maresciallo Mazzi ebbe chiara la situazione. Un’altro pazzo in giro per Firenze. Che vive ancora fisico e mente nel passato.
Fece apporre i nastri alla zona dove si era perpetuato il crimine e condusse il Patergo attraverso i corridoi del palazzo, fin sulla piazza, dove fu fatto salire velocemente su di una volante per sottrarlo alla folla inferocita.
- Portatemi innanzi al Cocchi Renato, lo grande magistrato, che mi giudichi or per quel che feci. Ehi vi dirà che cosa giusta io ebbi a fare e liberarmi dovrete allor. Continuava a chiedere il Patergo, mentre l’auto sfrecciava a sirene spiegate.
Il carcere Gozzini lo aspettava e ci furono grida di benvenuto per il nuovo arrivato da parte degli ospiti dell’istituto di pena, che lo acclamavano lungo i corridoi.
Dopo la solita prassi fu fatto entrare nella cella 4122 occupata già da altri due detenuti.
Il giorno dopo fu rinvenuto morto, nudo, con le mani ed i piedi legati con le lenzuola alle sbarre. Sulle sue spalle era stato scritto con il sangue “ a morte i Guelfi neri”.



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Racconto scritto il 06/11/2016 - 19:33
Da paolo signorini
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