L’aprimitili
Quando ero un adolescente, in prevalenza nei mesi estivi dacché libero dagli impegni scolastici, da lunedì a sabato mi prodigavo come commesso magazziniere in un negozio di articoli casalinghi. Il lavoro non mi dispiaceva, ma c'erano vari aspetti negativi, tra cui la scarsa paga, che si attestava sulle duecentoquaranta euro al mese, e i clienti seccanti, impertinenti o comunque difficili da trattare. In proposito, la storia dell'aprimitili merita di essere raccontata.
Ricordo che in una vigilia di Ferragosto, a ridosso dell'orario di chiusura, entrò un'occhialuta avventrice di mezza età dall'espressione immodesta. Indossava un tailleur grigio che si addiceva ai suoi cortissimi capelli dal medesimo colore, e un paio di scarpe aperte decorate di perle. La etichettai una borghesotta anche per via della postura, come se tenesse un palo piantato nel culo.
Cominciò a gironzolare per il negozio, finché tre espositori di utensili per cucina catturarono la sua attenzione.
«Salve, cercavo un aprimitili!» esordì, rivolgendosi a me.
«Un apri...?»
«Un aprimitili!»
«Un aprimirtilli?»
«Un apri-mi-tili!» mi corresse sillabando.
«Un aprimitili» ripetei a bassa voce alzando gli occhi al soffitto alla Leo, personaggio interpretato da Carlo Verdone in 'Un sacco bello.'
Visto che non ne venivo a capo, decisi di affidarmi ad Ada, l'anziana proprietaria. In verità, avrei preferito evitare, in quanto, al pari del marito, (in quel momento assente) tendeva a lamentarsi o a rimbrottarmi se non riuscivo a servire bene i clienti.
«La signora desidera un aprimitili. Non so...» le dissi con un pizzico in ansia, senza completare la frase.
«E che è?» esclamò la principala sbuffando.
Nel frattempo la donna in grigio ci squadrava con aria sdegnata, magari pensando che in quel locale l'ignoranza regnasse sovrana. La esortammo allora a spiegarci in soldoni che cosa fosse l'arnese in questione. Niente, la rompicoglioni insisteva ad oltranza con quella maledetta parola. Aprimitili, appunto. Sembrava farlo apposta.
La tiritera fu interrotta da Pino, il figlio dei titolari, che, nonostante stesse telefonando a un rappresentante, in qualche modo aveva seguito la vicenda.
«Mi scusi, resti un attimo in linea. Giuseppe, la cliente vuole un semplice apricozze. Ah, per la cronaca: i mitili sarebbero i molluschi» mi informò con tono acido, appoggiando la cornetta del telefono sulla spalla.
La noiosa attempata venne servita e finalmente si levò dalle scatole, tuttavia quel cacchio di coltellino mi fece collezionare l'ennesimo cazziatone.
Provai a giustificarmi sostenendo che non potevano pretendere che conoscessi quel termine da intellettuale. Sindacare poi che, prima dell'intervento di Pino, nemmeno Ada sapeva in che consistesse un aprimitili, avrebbe sicuramente peggiorato la situazione, quindi lasciai perdere.
Appena rincasai attorno alle ventuno, mia madre si accorse subito che ero stizzito.
«Com'è andata la giornata? Hai fame?» mi domandò preoccupata. «Per cena ho preparato l'impepata di cozze.»
«Cozze? Non ti ci mettere pure tu!» sbraitai.
«Che è successo?»
«Guarda, un pomeriggio finito di merda. Da tagliarsi le vene... con un'aprimitili»
Ricordo che in una vigilia di Ferragosto, a ridosso dell'orario di chiusura, entrò un'occhialuta avventrice di mezza età dall'espressione immodesta. Indossava un tailleur grigio che si addiceva ai suoi cortissimi capelli dal medesimo colore, e un paio di scarpe aperte decorate di perle. La etichettai una borghesotta anche per via della postura, come se tenesse un palo piantato nel culo.
Cominciò a gironzolare per il negozio, finché tre espositori di utensili per cucina catturarono la sua attenzione.
«Salve, cercavo un aprimitili!» esordì, rivolgendosi a me.
«Un apri...?»
«Un aprimitili!»
«Un aprimirtilli?»
«Un apri-mi-tili!» mi corresse sillabando.
«Un aprimitili» ripetei a bassa voce alzando gli occhi al soffitto alla Leo, personaggio interpretato da Carlo Verdone in 'Un sacco bello.'
Visto che non ne venivo a capo, decisi di affidarmi ad Ada, l'anziana proprietaria. In verità, avrei preferito evitare, in quanto, al pari del marito, (in quel momento assente) tendeva a lamentarsi o a rimbrottarmi se non riuscivo a servire bene i clienti.
«La signora desidera un aprimitili. Non so...» le dissi con un pizzico in ansia, senza completare la frase.
«E che è?» esclamò la principala sbuffando.
Nel frattempo la donna in grigio ci squadrava con aria sdegnata, magari pensando che in quel locale l'ignoranza regnasse sovrana. La esortammo allora a spiegarci in soldoni che cosa fosse l'arnese in questione. Niente, la rompicoglioni insisteva ad oltranza con quella maledetta parola. Aprimitili, appunto. Sembrava farlo apposta.
La tiritera fu interrotta da Pino, il figlio dei titolari, che, nonostante stesse telefonando a un rappresentante, in qualche modo aveva seguito la vicenda.
«Mi scusi, resti un attimo in linea. Giuseppe, la cliente vuole un semplice apricozze. Ah, per la cronaca: i mitili sarebbero i molluschi» mi informò con tono acido, appoggiando la cornetta del telefono sulla spalla.
La noiosa attempata venne servita e finalmente si levò dalle scatole, tuttavia quel cacchio di coltellino mi fece collezionare l'ennesimo cazziatone.
Provai a giustificarmi sostenendo che non potevano pretendere che conoscessi quel termine da intellettuale. Sindacare poi che, prima dell'intervento di Pino, nemmeno Ada sapeva in che consistesse un aprimitili, avrebbe sicuramente peggiorato la situazione, quindi lasciai perdere.
Appena rincasai attorno alle ventuno, mia madre si accorse subito che ero stizzito.
«Com'è andata la giornata? Hai fame?» mi domandò preoccupata. «Per cena ho preparato l'impepata di cozze.»
«Cozze? Non ti ci mettere pure tu!» sbraitai.
«Che è successo?»
«Guarda, un pomeriggio finito di merda. Da tagliarsi le vene... con un'aprimitili»

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Commenti
Bravo Giuseppe, il tuo dire è molto interessante. Ti leggo sempre volentieri.





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Certamente la cliente è stata un osso duro, ma per l'amore di lavorare, benchè mi pagassero due lire, ho bevuto il calice amaro fino in fondo, anzi due, considerando pure l'altra signora della fonduta.
E come ciliegina sulla torta:
le cozze che mia madre mi preparò per cena nonostante ero urtato dalla cliente "cozzara" le ho mangiate con appetito e quelle più ermetiche le ho aperte con la forchettina, altro che apriminchie emh... aprimitilli!!! :D :D :D
E come ciliegina sulla torta:
le cozze che mia madre mi preparò per cena nonostante ero urtato dalla cliente "cozzara" le ho mangiate con appetito e quelle più ermetiche le ho aperte con la forchettina, altro che apriminchie emh... aprimitilli!!! :D :D :D


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Grazie Santa e Maria Isabel.
Indubbiamente la cliente aveva coniato un termine che a detta sua era comprensibile. (infatti uno degli ex titolari ci era arrivato subitissimo però il testa di cavolo si è ben guardato a darmi subito aiuto/ausilio)
Non dimenticherò mai questo episodio, tra l'altro anche in base a dei miei precedenti lavori me ne son capitate di cotte e di crude in quei quattro tediosi anni in cui ho fatto lo schiavo/commesso/magazziniere!

Indubbiamente la cliente aveva coniato un termine che a detta sua era comprensibile. (infatti uno degli ex titolari ci era arrivato subitissimo però il testa di cavolo si è ben guardato a darmi subito aiuto/ausilio)
Non dimenticherò mai questo episodio, tra l'altro anche in base a dei miei precedenti lavori me ne son capitate di cotte e di crude in quei quattro tediosi anni in cui ho fatto lo schiavo/commesso/magazziniere!




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Molto simpatico nel tuo stile... capitano di episodi così a noi stranieri... scrivi molto bene!! Aspetto il prossimo!! Un besote (beso grande) 



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Ahahahah....spero che poi tu ne abbia regalato uno anche a tua madre! Scommetto che da allora ogni volta che mangi le cozze non puoi fare a meno di pensare alla stupidità di quella signora. Inoltre mi hai fatto ricordare lo sketch del "Sarchiapone". Anche se è una storia autobiografica sei comunque bravo nel saperla narrare. Un abbraccio.






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Ahahahah....spero che poi tu ne abbia regalato uno anche a tua madre! Scommetto che da allora ogni volta che mangi le cozze non puoi fare a meno di pensare alla stupidità di quella signora. Inoltre mi hai fatto ricordare lo sketch del "Sarchiapone". Anche se è una storia autobiografica sei comunque bravo nel saperla narrare. Un abbraccio.






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