Chi mi conosce, chi mi ha visto crescere,
sa che c’eri tu.
C’eri sempre.
Come certe querce che fanno ombra anche quando non le guardi.
Come quegli ombrelli silenziosi che, senza farsi notare, impediscono alla pioggia di toccarti.
Come un rifugio stabile in mezzo a giornate in cui tutto il resto vacillava.
Mi hai cresciuto con fermezza, ma mai con durezza.
Mi hai amato nel modo più pulito che esista:
senza condizioni, senza applausi, senza aspettative.
C’eri.
E bastava questo per farmi sentire al sicuro nel mondo.
E non capirò mai come facevi.
Avevi sempre una storia, un racconto, una frase,
sempre al momento giusto, sempre nel contesto perfetto.
Sembrava magia, ma era solo il tuo modo di esserci.
Di farmi sentire ascoltato. Di farmi sentire visto.
Mi bastava la tua mano sulla spalla per sentirmi pronto a fare qualsiasi cosa.
Non era forza fisica, era presenza.
La sensazione che, finché c’eri tu, non poteva succedermi niente di davvero brutto.
E quando qualcosa andava storto, il mondo non sembrava poi così spaventoso,
perché sapevo dove tornare.
Ogni passo che faccio, ogni parola che dico,
porta dentro un pezzo tuo — anche se gli altri non lo vedono.
Io lo sento.
Io non so se sono davvero riuscito a imparare tutto da te.
So solo che ci ho provato.
E ancora oggi, ogni cosa che faccio,
ha dentro anche il tuo modo di stare al mondo:
silenzioso, solido, leale.
Mi manchi.
Non è un dolore che si dice, è qualcosa che si vive.
Una presenza costante in tutto quello che adesso non posso più raccontarti.
In tutto quello che vorrei mostrarti.
Ma anche se non posso più toccarti,
so che ti porto addosso.
Non nei ricordi.
Ma nel modo in cui scelgo, resisto, cammino.
Nel mio cuore. E sulla mia pelle.
Perché tu non sei mai andato via.
E io, ovunque vada,
vado anche per te.

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